La “Moby Prince” era una bella nave, in grado di accogliere 1590 persone e di trasportare comodamente nel suo vano garage che la percorre da poppa a prua 360 autoveicoli.

Nel labirinto di cabine al suo interno, trovavano posto una discoteca, due boutique per lo shopping, un ristorante, un self-service, una sala videogioco e due con poltrone reclinabili per chi preferiva una sistemazione più economica rispetto alle cabine. In quella che sarà la sua traversata numero 19 della stagione, gli eventi lasceranno il posto alla tragedia. Alle 22.25 del 10 aprile 1991, nella rada del porto di Livorno, il traghetto passeggeri “Moby Prince” della compagnia Navarma appena partito con direzione Olbia e la petroliera “Agip Abruzzo” all’ancora nella rada del porto entrarono in collisione. La prua del traghetto squarciò una delle cisterne con il greggio trasportato. Dalla fuoriuscita del liquido si scatenò un violento incendio.

Nonostante la vicinanza al porto, l’incendio fuori controllo provocò ingenti danni sia alla petroliera sia al traghetto. Tutte le 30 persone di equipaggio a bordo della petroliera non riportano danni fisici. Molto più tragico il bilancio sul traghetto. Delle 141 persone a bordo, 65 membri dell’equipaggio e 76 passeggeri, l’unico “fortunato” superstite fu un giovane mozzo napoletano.

Nel più grave incidente della marineria italiana morirono 140 persone. Il petrolio fuoriuscito dallo squarcio sulla fiancata destra della “Agip Abruzzo” si riversò in mare, mentre buona parte investì in pieno la prua della nave-passeggeri. Le due navi al momento dell’impatto si avvinghiarono e i comandanti, giustamente, non ordinarono “macchine indietro” perché presumevano che la situazione avrebbe potuto peggiorare. Per qualche motivo però, dopo alcuni minuti, le due navi iniziarono a staccarsi. Le lamiere cominciarono a sfregare tra loro provocando delle scintille che innescarono il greggio. Per il traghetto passeggeri cominciò l’inizio della fine.

Il fuoco si sviluppò all’interno del garage, da prua verso poppa e dal basso verso l’alto. Un marinaio scese nel ponte auto a poppa insieme con altri compagni, ma vista la gravità della situazione decise di tornare indietro, salendo nella zona dei saloni. Passando per le cabine scorse i passeggeri che correvano avanti e indietro spaventati, in preda al panico. Il traghetto, come poi sarà accertato, sfondò la settima delle ventuno cisterne della petroliera penetrando per diversi metri sul lato destro della “Agip Abruzzo”.  

Il comandante della petroliera, per quanto possibile, cercò immediatamente di affrontare l’emergenza e contrastare l’incendio, ma tutto fu inutile. Le richieste di assistenza da parte degli operatori radio della petroliera e della nave passeggeri furono molto affannate e concitate, ma ancor più confusionarie nei minuti iniziali furono le risposte che giunsero dalla centrale operativa della Capitaneria di Porto di Livorno. La notte del 10 aprile 1991 è così entrata nella storia come la più grave tragedia della marineria mercantile italiana.

Purtroppo, da allora, ci sono stati processi e sentenze, senza che però nessuno sia stato giudicato colpevole. L’obiettivo di ogni cittadino, così come il legittimo desiderio dei familiari delle vittime, è quello di chiedere giustizia, chiarezza e comprendere perché dopo trent’anni d’indagini, processi, prescrizioni, commissioni d’inchiesta e interventi di legge, questa vicenda debba, in nome del popolo italiano, ancora trovare la verità vera, tuttora avvolta da troppi misteri e nessun responsabile della tragedia.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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