Clery Celeste

Amore, inquietudine, felicità (poca) e dolore (tanto). Sono solo alcuni dei sentimenti contrastanti racchiusi nei versi della giovane poetessa Clery Celeste. Basta poco per schiantarsi con gli ambienti, spesso ospedalieri, che fanno da scenario alle difficoltà della vita. Non stiamo infatti parlando di scritti che si è abituati a studiare sui banchi di scuola firmati dai grandi autori. La contemporaneità dei drammi e delle situazioni descritte attraverso la penna della forlivese ci fanno immergere profondamente nello vicenda cruda, così come è per chi ne è il protagonista. E ci fa provare emozioni, spesso dure ma realistiche, che nel bene o nel male ciascun lettore ha dovuto affrontare nel corso della vita. La raccolta di poesie è all’interno de “La Traccia delle Vene”, primo libro della ventitreenne edito da LietoColle con la collaborazione di PordedoneLegge per la versione in pdf da poter tranquillamente leggere su ciascun dispositivo di ultima generazione.

Cosa l’ha spinta verso il mondo della poesia tra tutta la tecnologia moderna?
“Mi è venuta da dentro la volontà di riversare i miei pensieri e sfoghi. Ho iniziato a scrivere a  13-14 anni e solitamente si tiene un diario in cui riversare i propri sentimenti, invece io ho pensato allo ‘spezzare le frasi’ attraverso la forma in versi. E’ l’unica forma che mi soddisfa. Crescendo ho poi imparato a gestire le emozioni e a compiere un lungo lavoro dietro la stesura: leggere i classici, mettermi a confronti con altri autori, avere autocritica. I versi diventano quindi una via di comunicazione”.

I giovani e la lettura, il binomio non va molto a braccetto.
“Non credo si legga poco, ma lo si fa male. Mi spiego meglio: denoto che la qualità di ciò che si legge è bassa. Il motivo? Ci vuole fatica a cercare autori che possano trasmettere concetti complessi. Le persone si impegnano poco a trovare un tema da approfondire. Una lettura impegnativa richiede tempo e pazienza per ottenere le risposte che si cercano”.

Verso quale meta la porterà “La Traccia delle Vene”?
“E’ un bel trampolino di lancio ma non so dove possa portarmi, il tutto sta nell’impegno e nel credere nel proprio lavoro. E’ un libro vero, in cui raccolgo 8 anni della mia vita, nel senso che penso che la poesia sia il luogo più sincero in assoluto con se stessi, fino al dolore. E’ un bel punto di partenza e sono contenta di essere arrivata.

E’ previsto anche un tour promozionale.
“Insieme ad altri tre autori, prenderò parte al “Tour della Gialla” in cui presenteremo i nostri libri che fanno parte della “Collana Gialla Pordenonelegge”. L’iniziativa è al primo anno di vita ma appariremo il 20 febbraio a Milano, il 19 marzo alle 18.30 a “Spazio 100300” (Via Centotrecento, Bologna), mentre ad aprile Genova e a concludere maggio con Venezia”.

E’ disarmante, quasi arrendevole, mettersi di fronte al dolore degli ambienti ospedalieri. Quanto hanno influito i suoi studi in medicina a tal proposito?
“Hanno influito tanto. Il bello di fare uno studio apparentemente non umanistico permette di spaziare nelle cose. L’ambientazione ospedaliera compare spesso così come il dolore, sia fisico che emotivo, a cui non ci si può abituare. E’ sempre presente e nessuno ne è mai immune. Essere catapultata da un giorno all’altro in questo mondo non è facile. Bisogna rimanere professionali, ma un operatore sanitario deve essere in grado di saper gestire le necessità del paziente e le sue emozioni”.

Nella società moderna la sessualità è molto strumentalizzata. Un po’ come la Sua visione di “siamo uno scambio di liquidi” e “un semplice trasferirsi di fluidi”.
“Il testo di riferimento è molto critico, cinico e offre spunti di riflessioni nel lettore, soprattutto nel finale in cui il valore si riscatta. L’amore non è solo qualcosa che si sente ma il cercare un gruppo complementare dal punto di vista biologico. Io voglio crederci: non è solo sentimento ma anche un fattore di testa”.

Tutto intorno sembra senza speranza, finché “per ogni incavo nella roccia si trova sempre un granchio pronto a occuparlo”. Esiste quindi un barlume di serenità?
“Ogni essere umano, alla fine, trova il suo posto nel mondo. E’ difficile smussare gli spigoli ma nella natura c’è un equilibrio e bisogna ricercarlo nella coppia e nella vita”.

Serenità o gioia che durano poco, basti pensare al bambino che nasce ed è già vicino alla morte.
“E’ il determinismo della condizione umana”.

Nella seconda parte Lei si rivolge invece alla quotidianità e alla natura.
“Sono molto legata alla natura che ci spiega l’istintività di come siamo fatti. Ho voluto confrontare e ritrovare gli aspetti dell’ambiente anche nell’uomo”.

Lo strazio vero e proprio La colpisce direttamente nella poesia dedicata a Nicolò.
“Era uno dei miei migliori amici ai tempi delle scuole medie. Morì all’improvviso durante un allenamento di calcio a causa di una malformazione cardiaca. Questo avvenimento è stato il mio primo lutto che mi ha dato coscienza della morte. Ho capito che quella persona non l’avrei più vista e non ci avrei più parlato. Da quel momento ho compreso che il suono della voce è la prima cosa che scompare dai ricordi inerenti ad una persona che non c’è più”.

La vita frenetica impone “telefonate col numero anonimo”. Cosa deve riscoprire l’essere umano al giorno d’oggi per ritrovare lo spirito di un tempo?
“Ogni giorno occorre cercare la verità ed essere onesti con se stessi. Solo allora si potrà esserlo con gli altri e viverci insieme”.

Persone come alberi, sangue come linfa. Dove si nasconde la luce del sole?
“Un essere vivente così delicato sfida la gravità per crescere e porta la linfa dal basso verso l’alto. Dunque possiamo farcela anche noi che abbiamo un’anima e una coscienza per andare a cercare il meglio e raggiungere la nostra fonte di vita”.

“Angoli bui della paura”. Quali sono al Suo interno?
“Il buio non si conosce ed è inesplorato ma chiunque lo cela al proprio interno: non essere capiti, non essere abbastanza per se stessi e gli altri, non sapere cosa fare della propria vita. Ognuno ha le sue profondità e ne ha paura. Mi chiedo se gli altri siano in grado di accettare e prendersi cura di questi angoli oscuri e di aiutare ad illuminarli per non averne più paura”.

A cura di Marco Rossi

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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