L’ordigno, deflagrato nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura il 12 dicembre 1969, devastò cose, ma soprattutto persone: donne, uomini e bambini, lasciando un enorme buco specchio della situazione italiana di quegli anni. Nelle settimane precedenti, il Paese ha vissuto, infatti, l’autunno caldo del 1969 – cui ho partecipato in prima persona dall’altra parte della barricata – in una cornice di proteste e manifestazioni sindacali che avevano risvegliato anche gli animi degli studenti nelle università. I funerali di Piazza Fontana costrinsero i milanesi a “salutare”, in un gelido dicembre, diciassette vittime, senza dimenticare gli ottantotto feriti, tra cui un bambino, il cui sangue era ancora fresco sulle ferite.

I media si fecero immediatamente portavoce dell’accaduto e comunicarono la notizia della cattura dei due presunti colpevoli. Giuseppe Pinelli, poi deceduto in maniera sospetta, durante un interrogatorio nella questura di Milano, e l’anarchico Pietro Valpreda, additato come responsabile per lungo tempo. Ci furono conseguenze immediate che comunque durarono nel tempo. Le indagini non trovarono un vero colpevole fino al 2005, data in cui i responsabili – neofascisti di Ordine Nuovo – Franco Freda e Giovanni Ventura, sono stati identificati da una sentenza di Cassazione, ma non processati a causa della loro precedente assoluzione definitiva che risaliva al 1987.

Il processo distinse l’esplosione da tutta quella serie di attentati politici in capo alle Brigate Rosse, chiarendo le colpe della matrice ideologica eversiva di estrema destra. Furono dieci i processi totali che scossero la giustizia italiana negli anni successivi al disastro: un viaggio burocratico, tra le carte e i faldoni, che si mosse tra Milano, Catanzaro, Bari e Roma. In un arco di quasi vent’anni furono portate alla luce una serie di depistaggi che attribuirono gravi responsabilità ai terroristi neri. La vicenda che ha investito i tribunali italiani si è poi tramutata in un processo simbolico allo Stato e al suo sistema giudiziario.

Nel cinquantaduesimo anniversario della strage di Milano, con la speranza che la memoria delle vittime funzioni da deterrente per il futuro, restano tuttora i frammenti di un’Italia spezzata. Rimangono le figure mute degli innocenti e delle vittime dell’ossessa caccia alle streghe che ha puntato il dito contro anarchici e comunisti. Accanto a esse restano impuniti gli esecutori e l’ambiente politico che, in qualche modo, hanno legittimato e nascosto la verità. Rimane la sconfitta di una fazione che avrebbe voluto instaurare un nuovo regime, ma che si è trovata a fare i conti con la forza della democrazia in un’Europa in cui le bombe, purtroppo, erano protagoniste. 

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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