Appena si ha l’occasione di varcare la soglia di un Tribunale e di entrare in un’aula di giustizia, lascritta, a caratteri macroscopici e in stampatello, è ben visibile e posta in alto dietro le poltroneriservate ai Magistrati giudicanti.

E’ un principio sancito nella nostra Costituzione e garantisce che la Legge non fa alcuna distinzione,di nessun tipo: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senzadistinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali esociali».
Come sempre, però, le mere enunciazioni astratte e prive di applicazione concreta, rimarrebbero solo mere clausole di stile e tutt’al più un esercizio retorico. Ecco il motivo per cui la nostra Costituzione impone allo Stato di farsi parte attiva e «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese».

Non mi va di cadere nei luoghi comuni e quindi non mi dilungherò sugli errori giudiziari, sulle incompetenze, le superficialità e la cattiva fede che caratterizza la nostra giustizia, come quelle di qualsiasi altro Stato. Essa è fatta da uomini, fallaci ed imperfetti per natura. Il loro linguaggio è (o meglio, dovrebbe essere) quello delle Sentenze, impugnabili nei gradi di giudizio che lo Stato e la legge italiana (ora anche europea) mette a disposizione.
La prima ragione per cui, almeno in Italia, la legge non è uguale per tutti, deriva proprio da come la Costituzione ha delineato il nostro sistema giudiziario.
Per garantire l’indipendenza della magistratura e la sua libertà, è stato stabilito che ciascun giudice è «soggetto solo alla legge», nel senso che può applicarla ed interpretarla senza essere vincolato a precedenti di altri Giudici. Così, non di rado, succede che la stessa problematica, affrontata da due magistrati diversi, sia decisa in modo diametralmente opposto. Addirittura all’interno della stessa Cassazione, una sezione può decidere in un modo ed un’altra in un altro circa lo stesso fatto.
Quindi, anche laddove una questione appare ormai certa e consolidata nella giurisprudenza perché diverse pronunce hanno deciso tutte nella stessa direzione, può sempre mutare proprio in virtù di tale principio.

La Legge non è, in concreto, uguale per tutti anche per i possibili errori in cui possono imbattersi coloro che la devono applicare e far rispettare. Un giudice, nell’emanare una sentenza di primo grado, può incorrere in diversi errori e la Legge, fortunatamente, dà la possibilità al cittadino di impugnare tale sentenza e far ricorso in appello. Non tutti lo fanno, però, e per le ragioni più disparate: non hanno o non vogliono spendere soldi, non hanno più fiducia nella giustizia, non vogliono aspettare tanto tempo e così via. Chi, invece, persevera e spende somme di denaro per riconoscere i suoi giusti diritti ed interessi, riesce ad ottenere, anche se solo dopo tanto tempo, il
riconoscimento di quello che gli spetta o di quello che chiede.
Chi invece non vuole o non può affrontare un secondo giudizio ne subisce le conseguenze, spesso ingiuste.
La legge non è uguale per tutti anche quando la sentenza è corretta: i tempi, estremamente variabili, dei processi italiani, portano spesso a doversi confrontare con sentenze ormai inutili o, spesso, ineseguibili perché, nel frattempo, la controparte è deceduta, fallita, scappata all’estero.
Inoltre, la Legge cambia con il mutare dei tempi e delle situazioni: sentenze che potevano andar bene qualche anno fa non potrebbero trovare, oggi, alcuna giustificazione in quanto sarebbero superate ed anacronistiche.

Ulteriore corollario, è il principio per cui la legge non può avere effetto retroattivo, per cui chi ha subito un determinato trattamento non può poi rivendicarne un altro solo perché le norme sono cambiate (tranne le norme penali, in cui vige il principio del trattamento più favorevole al reo, che si applicano anche a chi ha già in corso un processo).
Vi sono poi, i gruppi di pressione (detti, in termine anglosassone, lobby), che cercano di influenzare con varie strategie dall’esterno le istituzioni per favorire particolari interessi e per ottenere appositi provvedimenti in favore della propria categoria.
Quasi mai la legge che interviene a favore di determinati soggetti ha un effetto neutro per tutti gli altri: essa, in sé per sé, è il contemperamento di interessi ed è chiamata a stabilire quale tra questi deve prevalere rispetto agli altri contrapposti. Quindi è chiaro che non appena esce una norma c’è sempre un gruppo di soggetti che ne ricevono un vantaggio e altri uno svantaggio secondo una valutazione fatta – in astratto – dal legislatore.
La legge è e non può non essere generale ed astratta e non può essere ad personam, cioè fatta per un solo soggetto o per una determinata categoria di soggetti. Risulta innegabile (chi non lo riconosce peccherebbe di ingenuità) che tali requisiti vengono spesso disegnati su misura, fino a individuare i beneficiari in pochissimi soggetti. Non si può, infine, non considerare come le suggestioni umane abbiano un rilievo significativo se si pensa che ogni persona è una sintesi di elementi endogeni ed esogeni, laddove per questi ultimi si intende il personale vissuto collegato con relazioni umane: è chiaro che il personale vissuto di ciascuno influisca sulle scelte, così come è normale che il personale vissuto di un giudice influisca sulle sentenze.

A tal proposito, come non ricordare le affermazioni memorabili del grande giurista Calamandrei, laddove raccontava di essere sicuro di perdere una causa in Cassazione, ma poi riusciva a vincerla, grazie ad un giudice che aveva subito un torto analogo a quello rappresentato dall’avvocato; oppure come non ricordare anche l’episodio eccezionale, narrato sempre da Calamandrei, della causa persa in una certa sezione della Cassazione, mentre lo stesso giorno in altra sezione altri giudici valutavano in modo diverso un’analoga questione giuridica ed il cliente, un po’ arrabbiato, chiedeva al proprio avvocato spiegazioni, lasciando ipotizzare l’insufficienza dell’avvocato scelto, che
rispondeva, più o meno: “Stia tranquillo non ho sbagliato difesa, ma solo la porta…”.

Ad ogni modo, è pur vero che il sistema attuale appare comunque il migliore possibile: un diritto basato su suggestioni umane e vissuti personali è pur sempre un diritto umano, di gran lunga da preferire rispetto all’applicazione tecnologica del diritto.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Imagoeconomica

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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