Il delicato equilibrio che ha consentito finora di contenere la guerra dentro i confini ucraini in questa domenica mattina sembra incrinarsi pericolosamente. L’Europa si è svegliata con la notizia del raid sull’International Peacekeeping and Security Center di Yavoriv, che non solo dista solo 25 chilometri dal confine polacco, ma è soprattutto il luogo dove a settembre si sono tenute esercitazioni militari delle forze armate ucraine in coordinamento con la Nato. Tutt’ora, secondo Kiev, ci lavorerebbero istruttori militari stranieri. L’attacco è avvenuto all’indomani dell’avvertimento del vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov, sul fatto che “i convogli di armi straniere” sarebbero stati ritenuti “obiettivi legittimi per le forze armate russe”. Ma non è l’unica coincidenza temporale a cui fare caso.

Dodici missili sono infatti caduti stanotte nei pressi del consolato americano a Erbil, capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, senza fare vittime ne feriti: l’edificio è nuovo e ancora non è occupato. I Guardiani della rivoluzione, corpo delle forze armate dell’Iran, hanno rivendicato l’attacco, dicendo di aver mirato a un centro di addestramento dei servizi d’intelligence israeliana del Mossad.

I due scenari distano oltre duemila chilometri, ma sono meno slegati tra loro di quel che potrebbe sembrare. Innanzitutto, funzionari statunitensi citati dai Wall Street Journal mettono in relazione il raid di stanotte con quello con il quale lunedì scorso Israele aveva bombardato un deposito di armi e munizioni vicino all’aeroporto di Damasco, in Siria, uccidendo due ufficiali della guardia rivoluzionaria iraniana. Damasco, Teheran e Mosca sono alleate nella guerra civile siriana.

Israele non è invece parte belligerante, ma individua da tempo nell’Iran una delle principali minacce alla propria sicurezza e non è certo la prima volta che colpisce obiettivi iraniani in Siria. Teheran è impegnata da tempo in difficili colloqui con l’Occidente sul proprio programma nucleare, bruscamente interrotti due giorni fa, quando l’accordo sembrava imminente, in seguito alla richiesta russa che le sanzioni imposte per il conflitto in Ucraina non andassero limitare la sua capacità di commerciare con Teheran. Sempre il Wall Street Journal riporta oggi che l’amministrazione Biden sarebbe pronta ad escludere la Russia dai negoziati se Mosca non rinunciasse alle condizioni che ha posto.

Tra chi sicuramente ha gli occhi bene aperti ci sono gli stati baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, tutti e tre membri Nato, tutti e tre confinanti con la Russia. Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina, ha dichiarato oggi che sarebbe proprio la Lituania il prossimo obiettivo di Putin. Kiev non ha fornito evidenze a sostegno di questa previsione, non si può escludere si tratti di propaganda, ma è innegabile che nelle tre piccole repubbliche ex sovietiche la preoccupazione c’è. “Siamo preparati all’eventualità di affrontare lo stesso tipo di incursioni militari” che hanno colpito l’Ucraina, ha detto a Politico Europe il colonnello dell’esercito estone Andrus Merilo, a capo della base Nato di Tapa, in Estonia, sulla quale sventolano le bandiere di Regno Unito, Unione Europea, Francia e Danimarca e dove ogni giorno hanno luogo esercitazioni e attività di addestramento che coinvolgono soldati e mezzi di diversi paesi occidentali.

A cura di Stefano Severini – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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