Fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Roma divenne la capitale della “ dolce vita”, un movimento di tendenza che coinvolse attori e registi, ma anche l’alta borghesia dell’epoca del boom economico. Era il periodo in cui ci si lasciava andare ai divertimenti e al clima goliardico in una delle piu’ belle citta’ del mondo.

A Cinecitta’ si giravano film italiani ma anche americani, in particolare Via Veneto si gremiva di fotografi e paparazzi, ma anche di scrittori come Ennio Flaiano, che sceneggio’ il film “ La Dolce Vita” di Federico Fellini. Nei caffe’ e nei ristoranti si potevano incrociare i play-boy del momento e le nuove stelle e stellette emergenti. E se in citta’ si respirava un clima mondano, parimenti nasceva un movimento culturale rappresentato dalle nuove avanguardie del Gruppo 63 , con Nanni Balestrini e Umberto Eco.

Nei bar di Piazza del Popolo si incontravano intellettuali del calibro di Alberto Moravia , Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino e Goffredo Parise, signori costoro che non disdegnavano le feste e i salotti della buona borghesia, e nemmeno i locali come il Piper, dove si esibivano artisti di fama internazionale.

Poi arrivo’ il 1960, l’anno dei cambiamenti: inizio’ l’era del centrosinistra e negli Stati Uniti venne eletto il primo presidente cattolico, J.F. Knnedy. In questo scenario, Roma, si puo’ ben dire, visse la sua “dolce vita”, con Fellini, Antonioni e Visconti, ma fu anche l’epoca delle polemiche e delle censure. I mutamenti riguardarono anche la musica, e’ di quegli anni il mito dei mitici Beatles. Nasceva un mondo nuovo con nuove luci e ombre raccontato da Alberto Moravia ne” La Noia” e da Federico Fellini nel film “ La Dolce Vita”. Girato a Cinecitta’, il film narrava con sarcasmo la societa’ del boom economico, svelava luoghi significativi di Roma.

Chi della mia generazione non ricorda quando Anita Ekberg entro’ nella Fontana di Trevi e il delirio che ne esplose? Scrissero giornalisti, e quell’immagine divenne il simbolo di un epoca intera. La dolce vita e’ stato il segnale che l’Italia usciva dal dopoguerra e si apriva a tutte le inquietudini e contraddizioni della contemporaneita’. Il girovagare di Marcello attraverso quegli scenari da rotocalco , rappresenta una ricerca autentica. Il dato piu’ importante resta la narrazione classica del film: il viaggio dell’eroe alla ricerca della propria realizzazione professionale ed esistenziale. C’e’ poco da aggiungere, in questa dichiarazione, tra le piu’ citate del repertorio felliniano, essa sintetizza la straordinaria capacita’ dell’autore, artista visivo e visionario, di cogliere in un dettaglio il senso di una rivoluzione sul piano del costume, dei comportamenti, della vita quotidiana.

E di costruire a partire da questo un intero universo, a un tempo estetico e morale. Il grande Pier Palo Pasolini a proposito di questo film ebbe a dire che La dolce vita e’ un film cattolico. Che appartiene stilisticamente alla grande produzione del decadentismo europeo. Un esempio di film ideologico costruito come perfetta macchina di spettacolo ma la cui struttura ideologica poteva portare a esiti di astratta faziosita’. Esso mostra senza moralismi l’Italia entrata nella modernita’: post Miracolo, proiettata nel Boom, consumistica, ricca, un po’ dissoluta, un paese che cambiava faccia e stili, non piu’ patria degli Umberto D. o degli Zampano’.

Ero a Roma , in questi giorni di ritrovata liberta’ post pandemica, e, ne ho respirato tutto il languore, anche di decadentismo poetico. Mi sono seduta sui bordi di Fontana di Trevi, tra un mare di gente proveniente da ogni dove, assetata di vivere ogni angolo di questa citta’, che nella sua imperfetta e dolente decadenza ci appare ancora piu’ speciale, grande e fragile come poche al tempo stesso. Ma non e forse anche questo un segno distintivo di questo nostro tempo? E allora mi e’ tornato in figura il film! Che inizia con un immagine stupenda nella sua forza polemica e sintetica: quell’elicottero che sorvola l’acquedotto romano e punta verso il Vaticano reggendo un’immensa statua di Cristo benedicente.

In quell’alleanza di progresso tecnico e di irrazionalismo, di scienza e di religione, e’ perfettamente individuato il conflitto che e’ alla base delle contraddizioni e dei tormenti della nostra societa” Quel film e’ stato la rappresentazione di quella realta’, e termino con le parole del grande poeta Pasolini che disse: “ Cio’ che conta in Fellini e’ cio’ che di eterno e assoluto permane nella sua ideologia genericamente cattolica: l’ottimismo amoroso. Guardate la Roma che egli descrive: e’ difficile immaginare un mondo piu’ perfettamente arido. Ma essere riusciti a vedere purezza e vitalismo in questa Roma arrivista, superstiziosa e fascista, mi sembra una cosa incredibile.

Bisogna davvero possedere una miniera inesauribile di amore per arrivare a questo” Ebbene,io dico : questo pensiero si chiama POESIA!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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