È il quarto episodio registrato dal 2016 e il sesto dal 1998. Lo sbiancamento avviene quando il corallo è stressato da temperature dell’acqua sopra la media. Il corallo allora espelle l’alga fotosintetica con il quale abita che lo alimenta e gli conferisce gli attraenti colori. Se le temperature tornano regolari in tempi brevi, cioè prima che i coralli abbiano esaurito le loro riserve alghe unicellulari, i coralli riescono a vivere, perché forniscono a questi microorganismi il 90% del fabbisogno energetico richiesto per la calcificazione, la crescita e la riproduzione.
La diffusione dello sbiancamento dei coralli tropicali è iniziata alla fine degli anni Ottanta, con un primo grave evento a livello globale nel 1998. Nel 2008 oltre 3.000 scienziati riuniti per il Simposio Internazionale sulle barriere coralline indicavano il cambiamento climatico come una delle più grandi minacce alla sopravvivenza delle barriere coralline, raccomandando una drastica riduzione delle emissioni di gas serra nei 10 anni a venire per garantire la loro conservazione. Una previsione più che passata, è vetusta. La situazione è rimasta uguale se non peggiorata con le emissioni in atmosfera che non sono state tagliate, ma sono aumentate a livello mondiale. E anche la temperatura media globale è aumentata di oltre 1 grado centigrado rispetto ai livelli pre-industriali e i fenomeni di sbiancamento si ripetono ad una velocità pericolosa.
Dopo lo sbiancamento del 2017 sono stati registrati riduzioni fino a un 89% nella crescita di nuovi coralli, se poi i coralli vengono colpiti nuovamente dal fenomeno la ripresa dell’ecosistema è compromessa, per sempre.
Non si tratta “solo” di proteggere gli oceani, ma i milioni di persone che da questo ecosistema dipendono: a essere in pericolo non ci sono infatti solo le attività economiche, ma la sicurezza di aree costiere sensibili che in assenza delle barriere coralline il rischiano tsunami ed erosione.
A cura di Televideo – Foto Getty Image