Continuando a parlare in questa seconda parte dell’artista americano, dopo cinque anni, la famiglia Hendricks tornò a Mill Valley, nello Stato della California, dove continuò a lavorare come critico di Musica Jazz per il quotidiano, il San Francisco Chronicle e tenne lezioni sulla Storia del Jazz alla California State University di Sonoma e all’Universty of Berkeley of California.

Inoltre nel 1973 Hendricks collabora con il batterista Art Blakey e la sua formazione I Jazz Messagers, in due brani, Moanin composta dal pianista Bobby Timmons e al brano composto dal sassofonista Benny Golson, dal titolo, Along Come Betty, questo brano è apparso nel long playing del batterista Art Blakey.
Il suo album dal titolo Tell Me the Truth, prodotto da Ben Sidram nel 1975, e pubblicato dalla label Arista Records.
Seguirono varie produzioni discografiche, tra le quali dopo Tell Me the Truth, su label Muse Records del 1982 un long playing dove Hendricks si presentò con una formazione chiamata Jon Hendricks & Company, di cui faceva parte la figlia Michele.

Inoltre collabora con i vecchi amici The Manhattan Transfert che nel 1985 l’album Vocalese, vinse il prestigioso premio il Grammy Award, per sette volte.
L’artista americano ebbe l’onore di fare parte del comitato Kennedy Center Honors sotto i Presidenti Carter, Regan e Clinton.
Il Kennedy Center Honors è conosciuto in Italia come il premio Kennedy.
Sono dei premi annuali statunitensi conferiti a coloro che si sono distinti per il loro contributo all’arte e alla cultura.
La cerimonia si tiene dal 1978 a Washington, presso il Kennedy Center.
I premi sono stati ideati dal produttore cinematografico George Steven Jr.
Il suo album in studio a per titolo Freddie Freeloader, ed edito dalla label giapponese Denon Records, questo lavoro discografico è stato nominato al prestigioso premio Grammy Award ed è stato pubblicato nel 1990, e presentava una formazione di All Stars di tutto rispetto, dal chitarrista George Benson, ai cantanti Al Jarreau, Bobby McFerrin, al pianista Tommy Flanagan, Jimmy Cobb, Larry Goldings, al trombettista Wynton Marsalis, a sassofonista Stanley Turrantine, al trombonista Al Gray e al gruppo vocale dei The Manhattan Transfert e all’Orchestra di Count Basie.

In questo disco voglio ricordare un brano della nostra canzone italiana del celebre cantante Bruno Martino Estate, In Summer, che Jon Hendricks la canta stupendamente, tanto che quando andò ad Umbria Jazz e la cantò dal vivo, il pubblico gli attribuì un lungo applauso e un ovazione per la bravura e per l’interpretazione di questa canzone.
Nel nuovo millenio Hendricks è tornato nella sua città natale Toledo, nello Stato dell’Ohio, per insegnare all’università di Toledo, dove è stato nominato Distinguished Professor of Jazz Studies e ha ricevuto un dottorato Onoris Causa, in arti dello spettacolo.
È stato inoltre selezionato per essere il primo artista di Jazz americano a tenere una conferenza alla Sorbona di Parigi.
Il suo gruppo di quindici voci, la Jon Hendricks Vocalstra, si è esibito alla Sorbona nell’anno 2002, ottenendo appezzamenti dal pubblico e dai critici presenti.
Hendricks ha inoltre scritto un’opera, i testi di alcuni pezzi classici tra cui “On the Trail dal Grand Canyon Suite del compositore Ferde Grofe.
La formazione ha eseguito in prima assoluta una versione in stile vocalese di Scheherazade di Rimsky-Korsakov con la Toledo Symphony Orchestra.
Nell’estate del nuovo Millenio Hendricks è la sua formazione I Four Brothers andarono in tournée, un quartetto composto dall’artista americano, Kurt Elling, Mark Murphy e Kevin Mahogany.

Lavoro poi all’impostazione dei testi e dell’arrangiamento del secondo concerto per pianoforte di Rachmaninoff, nonché su due opere editoriali librarie, insegnando e facendo tournée con la sua formazione, la Vocalstra.
Scrisse anche i testi del piano prelude n°1, del compositore e direttore George Gershwin, per un opera discografica dal titolo Pieces 8 Agross the Blues Meridian, opera realizzata nell anno 2004.
Inoltre l’artista americano partecipa in ruoli campo nei film, White Men Can’t Jump del 1992 e People I Know del 2002.
Appare anche in un film documentario dal titolo No One But Me, parlando e raccontando la storia della sua compagna di band e amica, la cantante Annie Ross.
Il grande artista americano Hendricks sempre appagato dal suo lavoro continua la sua professione in questo periodo appare anche in tre brani della formazione JC. Hopkins Biggish Band Meet Me at Minton’s del 2016.

Esegue poi il brano in vocalese Suddenly (In Wolked Bud), brano tratto dal long playing Meet Me at Minton’s, e inoltre canta in duetto How I Wish (Asek Me Now), con il cantante vincitore del Concorso Thelonious Monk nel 2016, Jazz Meia Horn.
Il grande Jon Hendricks al momento della registrazione aveva 93 e Horn ne aveva 23 di anni.
Un lavoro discografico importante lo impegna all’età di 96 anni, la liricizazione completa dell’album dal titolo Miles Ahead, compresi gli assoli del trombettista Davis e le orchestrazioni del compositore Gil Evans, la grande opera discografica di Miles Davis, l’dea fu concepita e completata da Hendricks 50 anni dopo, aver concepito l’idea di questa opera che Miles Davis realizzò Miles Ahead, punto un opera del jazz moderno.

Questa opera fu presentata per la prima volta, in anteprima a New York City, con la partecipazione del Choir Britannicondon Vocal Project, con la presenza dell’artista americano Hendricks e che fu l’opera poi registrata in studio e commercializzata il long playing.

In un’intervista del magazine italiano Musica Jazz, lo ricorda nel 2010, autore è il giornalista Enzo Capua della Redazione.

“Mister Hendricks il 16 settembre 2011 lei compirà ben novant’anni, e tutt’oggi è ancora attivo, con un’energia che sembra inesauribile. Qualsiasi cantante di jazz che si voglia cimentare nello scat o nella difficile arte del vocalese le deve molto, se non tutto.
Com’è nata questa sua formidabile carriera?”.

“Ho cominciato a undici anni e non mi sono fermato più.
Cantavo e ballavo già a quell’età in un locale a Toledo in Ohio, dove sono cresciuto. Sa chi mi accompagnava? Art Tatum. È stato il mio primo maestro, colui che mi a indirizzato verso il canto.
In verità già cantavo a otto anni! Mio padre era pastore della Chiesa Metodista Episcopale a Network, Ohio, la mia città di nascita.
Poi fu trasferito a Toledo. Siccome Toledo era un’importante nodo ferroviario e di autobus, da lì passavano tutte le grandi orchestre che erano in tournée.
Si era agli inizi della Grande Depressione e, visto che ero un ragazzino piuttosto sveglio, mi piaceva andare nei ristoranti a raccogliere qualche centesimo cantando. Mi ricordo un posto italiano: facevo anche O Sole Mio accompagnato da un pianista [e ne canta in perfetto italiano l’inizio].
La passione per il canto è nata in chiesa: mia madre mi portava lì a cantare, visto che fin da bambino avevo una bella voce. Art Tatum abitava a due passi da casa mia: invece di andare a giocare con gli altri ragazzini, andandando ogni giorno da Art a imparare la musica. Lui suonava delle frasi complicate al pianoforte e mi diceva: “Canta un po’ questo!”.
E io eseguito. Fu lui a raccomandarmi ai gestori dei vari locali : “Ascoltate questo ragazzino”, diceva: “ne vale la pena!”.
Sua madre, all’inizio, gli aveva regalato dei rulli di pianola la cui musica era eseguita da un duo pianistico. Siccome Art non vedeva quasi niente, ignorava che qui brani erano suonati da due persone e imparò a eseguire quei pezzi da solo, alla perfezione! […]”.
Il giornalista di Musica, le fa un’altra domanda.

“[…] Quindi da giovane lei era già un professionista…”

“Si andavo dove potevo: tutto l’Ohio, il Michigan, l’Illinois. Ero diventato abbastanza conosciuto in quelle parti degli Stati Uniti. Poi arrivo la guerra e dovetti andare soldato. In Inghilterra, nella forza area di terra, dove caricavamo gli aerei che partivano per le missioni.
Nel giugno del 1944 ero nella quarta ondata dello sbarco in Normandia.
Fui piuttosto fortunato perché, come sa, le prime ondate subirono devastanti perdite umane… Alla fine della guerra torniamo Toledo e riuscii a mettere in piedi un gruppo con tre ragazzi che suonavano pianoforte, chitarra e basso. Ma erano senza batterista così presi delle lezioni molto veloci, comprai una batteria ridotta all’osso e cominciai a suonare. Ero diventato un batterista!
“Quelli erano i tempi del primo bebop. Doveva essere impressionante sentire quella musica dopo gli anni difficili della guerra”.
“Quando ascoltai per la prima volta Salt Peanuts fu un vero shock! Quel pezzo mi faceva impazzire.
Comunque quelle frasi così sincopate mi richiamavano alla mente Art Tatum! Credo che sia lui il vero padre del bebop. Tutto ciò che i boppers facevano veniva direttamente da lui.
Charlie Parker, mi raccontò che quando, appena arrivato a New York, era finito a fare il lavapiatti al Famous Door, Tatum andò a esibirsi in quel locale per due settimane. Parkerne rimase sconvolto e disse: “Tornerò a Kansas City per imparare a suonare il sax contralto così come quell’uomo suona il pianoforte”. Tatum mi diceva sempre: “Non conoscerai a fondo un brano fino a quando non sarai in grado di suonarlo in tutte le tonalità”.

“Ho il sospetto che l’idea del vocalese le sia venuta da Salt Peanuts.
Nell’ascoltare Dizzy Gillespie che intercalava quelle parole con le frasi strumentali: E così!”.

“Si in qualche modo è così! Il primo pezzo che mi venne in mente di trattare aggiungendovi parole fu Four Brothers di Jimmy Giuffre arrangiato per l’orchestra di Woody Herman. Canticchiavo quel brano ogni mattina in metropolitana: la gente mi prendeva per matto! Poi un giorno, lo ricordo benissimo, ero seduto su una panchina di Washington Square a New York e c’era qualcuno con una radiolina portatile.
A un certo punto andò in onda Moddy’s Mood for Love, cantato da King Pleasure. Mi dissi: “Guarda che non devi fermarti a trentadue battute. Puoi raccontare una storia intera”.

Presi un quaderno e una penna e scrissi le parole di Four Brothers.
Tutte quante di getto. Come lei sa bene, in quel brano I solisti sono i quattro sassofoni. Io ne feci quattro personaggi di una storia. Stan Getz, per esempio, abita a Long Island, così scrissi per lui: “Get my Long Island Sound…” e così via.
Stan adorava il trattamento che feci del suo assolo”.
“E quindi come nacque l’idea del gruppo vocale Lambert,Hendricks & Ross?”
“Conoscevo già Dave Lambert, e a quel tempo, eravamo entrambi separati dalle nostre mogli.
Io abitavo in un piccolo hotel del Greenwich Village, ma per me era già costoso. Lui invece aveva una casa e mi invitò ad andare a stare da lui, visto che c’era una stanza libera.
Cominciammo a lavorare sull’idea di trattare in vocalese la musica di Count Basie. Fu lui a propormi di scrivere le parti cantate per dieci brani del Conte, che Dave avrebbe poi arrangiato. Dovevamo trovare una ragazza che fosse in grado di cantare con noi. Io gli dissi: “Hai idea di quanto tempo ci vuole a scrivere un arrangiamento per voci soliste e big band?”. E lui: “E cos’altro abbiamo da fare?” …[scoppia a ridere].
Andammo dalla Decca, che era a quel tempo un’ottima casa discografica.
Ci andammo a piedi perché non avevamo nemmeno i soldi per la metropolitana e fra noi e la Decca c’era da fare mezza Manhattan! Milt Gabler ci disse che i pezzi erano belli ma che non c’era mercato per quella roba. Dopo varie vicissitudini fu Greed Taylor a credere in noi.
A quel tempo Creed dirigeva una nuova etichetta chiamata AM-Par, nata dalla ABC e dalla Paramount. Era convinto della nostra idea ma non sapeva come fare a registrare perché Dave Lambert aveva proposto i suoi Dave Lambert Singers, un gruppo vocale di sedici elementi! Non c’era il budgetper un progetto così difficile e costoso. Ma alla fine Creed trovò i soldi, così andammo in sala d’incisione con tutti quei cantanti. Il risultato fu disastroso! Non c’era il minimo swing. Creed era disperato: aveva già speso gran parte del denaro ed era sicuro che l’avrebbero licenziato. Così a Dave venne in mente di fare tutto in sovraincisione aggiungendo tre voci alla volta. Una vera follia, in quegli anni! Tra l’altro i tempi erano strettissimi, limitati dai costi della sala.
Be’, andammo a registrare ogni mattina dalle 8.00 precise fino all’ora di chiusura le 7 di sera. E c’è la facemmo[…]”.

“E Annie Ross, come arrivò a fare parte del gruppo”.

“Fu un amico comune a presentarcela a un party.
Annie veniva dall’Inghilterra. Aveva già nel suo repertorio Farmer’s Market e Twisted, quindi si era creata una solida reputazione in campo jazzistico. Per farla breve, il giorno seguente la facemmo venire in studio e lei si innamorò immediatamente del progetto. Il lavoro durò in totale ben tre mesi. Dave era esausto e Creed, con i costi saliti alle stelle, era quasi in preda a un’atacco isterico! Facemmo tutto in sovraincisione con tre voci e il risultato fu magnifico.
Così nacquero sia il disco “Sing A Song of Besie” sia un trio Lambert, Hendricks & Ross. Era il 1957. Il successo fu immediato. Non riuscivo nemmeno a immaginare che potessimo essere pagati, e bene, fin dal nostro primo concerto. Solo qualche mese prima io e Dave cantavano praticamente gratis”.

“E l’anno dopo registrante con l’orchestra di Count Basie quel disco altrettanto fantastico che è “Sing Along With Basie!”.

“Lavorare con Basie fu stupendo. Sono molto orgoglioso di quel disco.
Oramai eravamo il gruppo sensazione del mondo del jazz. Ci chiamavano a a cantare dappertutto. Su Time Leonard Feather mi definì il “James Joyce del Jive”. Registrammo anche un disco di brani di Duke Ellington (“L.H. & Ross. Sing Ellington”, 1960).
Dopo anni di successi, nel 1962 Annie ebbe un collasso a Francoforte, proprio prima di salire sul palco e il medico le disse che non poteva più cantare in pubblico, per cui dovette lasciare il gruppo. L’eroina era il suo problema.
Continuammo per un po’ con Yolande Bavan al posto di Annie, ma non c’era la stessa magia. Poi, ne 1966, la tragedia, quando Dave rimase ucciso in un incidente d’auto. Mi manca ancora, Dave, e spesso lo sento vicino in spirito quando lavoro sulla Musica. Io, Dave e Annie avevamo a specie di unione mistica.
Per fortuna con gli anni Annie è riuscita a recuperare la salute e tutt’ora prosegue la sua carriera da solista. Sono ancora in contattò con lei”.

“Anche lei ha poi continuato da solo, facendo dei bei dischi molto belli”.

“Si. Ma in qualche modo mi sentii costretto. Ho sempre amato cantare insieme ad altri. Per me è come creare una conversazione con altre voci: Lo sento più naturale. Adesso sto lavorando, ad esempio, su un progetto molto difficile ma affascinante: la versione vocale di “Miles Ahead” di Miles Davis e Gil Evans. Ho qui tutti i brani già scritti [prende dei fogli: ci sono i testi per tutti i brani del disco].
Questo è Lament di J.J.Johnson…[lo canta tutto di seguito]. Farò il disco con i Manhattan Transfert, i New York Voice, Al Jarreau, Bobby McFerrin, George Benson, Nnenna Freelon e Fiana Krall. Tutti insieme a me! Sarà un’esperienza incredibile! Sto anche preparando una versione con voci soliste di Scheherazade di Rimsky-Korsakov con l’orchestra sinfonica di Londra. Ho scritto tutti i testi e sono pronto ad incidere. Come vede, non riesco proprio a fermarmi!”.
( IL testo virgolettato è stato tratto dal mensile Musica Jazz del 24/11/2017, Jon Hendricks: Lo ricordiamo con un’intervista del 2010, intervista del giornalista Enzo Capua.
Redazione di Musica Jazz News).

Jon Hendricks morì il 22 novembre 2017 a Manhattan, a New York City, all’età di 96 anni.

A cura di Alessandro Poletti – Foto Ap

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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