“Bisogna essere matti per fare il comico”. Di certo questa è una delle frasi più emblematiche del grande Jerry Lewis, l’attore e regista morto a 91 anni, autentico mito del cinema comico statunitense. A dare la triste notizia sono stati Hollywood Reporter e Variety, annunciando che Lewis, con all’attivo una quarantina di film come attore, una decina da regista, moltissima tv, è scomparso per cause naturali a Las Vegas, dove viveva con la seconda moglie. Nonostante l’impianto di quattro bypass coronarici, un’operazione di cancro alla prostata e il diabete, Lewis continuò fino all’ultimo ad esibirsi in spettacoli dal vivo e a tenere seminari sul buonumore.

Il mestiere della risata era per Lewis una vera vocazione e già all’età di 5 anni si dilettava ad intrattenere le persone che ridevano alle sue battute.

Nato il 16 marzo del 1926 in una zona periferica delle Grande Mela, Lewis venne allevato a pane e recitazione: i suoi genitori erano infatti due attori di vaudeville, russi di origine ebraica.
Queste radici furono la ragione per la quale Jerry venne espulso dal collegio dove era iscritto, dopo che si scagliò contro un insegnante che aveva parlato male degli ebrei. Siamo negli anni antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale, uno dei conflitti più sanguinosi della storia. Il giovane Lewis riuscì tuttavia ad evitarlo grazie ad un’otite che gli aveva perforato il timpano.

La storia di Picchiatello ha inizio in un cinema-teatro di Brooklyn dove lavorò come maschera e i suoi brevi sketch fra il primo e secondo tempo vennero notati quasi immediatamente. La sua prima tournée risale al 1944; appena due anni dopo nacque quel sodalizio di risata e di spirito con il grande Dean Martin. Era fatta.

Il duo era scoppiettante, graffiante, coinvolgente: da un lato c’era Dean con il suo fascino magnetico e dall’altra la comicità volutamente goffa e sgraziata di Jerry. Insieme girarono 16 film fra i quali “Attente ai marinai!” (1952), “Morti di paura” (1953), “Il nipote picchiatello” (1955), “Artisti e modelle” (1955) e “Hollywood o morte!” (1956).

Nel 1956 i due si separarono e per Lewis iniziò un nuovo periodo, quello da attore e regista. Nel 1960 uscì “Un ragazzo tutto fare”. Poi fu la volta de “L’idolo delle donne” e “Il mattatore di Hollywood” (entrambi del 1961), “Jerry 8” (1964) e il suo capolavoro, “Le folli notti del dottor Jerryll” (1963).

Il graffiante Picchiatello collezionò Golden Globe, Bafta e un Leone d’oro alla carriera a Venezia (1999) ma mai nessun Oscar per i suoi film.

Come ogni storia che si rispetti, questa è solo la parte “dorata” della vita di Lewis, il grande comico che improvvisava quasi tutti i suoi sketch; girato l’angolo si passa alla storia delle critiche, come quelle mosse dalle associazioni dei disabili per le sue parodie nei confronti degli affetti da distrofia muscolare.

Oppure alle polemiche scatenate dai suoi epiteti contro i gay. Una volta se la prese anche contro le donne comiche che a detta sua erano solo “macchine sforna bambini”. Subì anche una denuncia per porto abusivo d’armi, nel 2008 all’aeroporto di Las Vegas.

Ad ogni modo, “amato” e “criticato” non devono per forza coesistere in due sistemi separati e Lewis va preso esattamente per ciò che era: un uomo figlio del suo tempo, pioniere di una comicità del tutto innovativa.

A cura di Silvia Pari

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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