Marcinelle, Belgio, è l’8 agosto 1956, sono passate da poco le 8 del mattino quando dalla torre del pozzo numero 1 della miniera del Bois du Cazier si leva un fumo denso ed acre; nel pozzo ci sono 274 persone.

Ben presto scattano i soccorsi, ma le strutture della miniera sono obsolete e nessuno sa cosa fare, non c’è un piano di soccorso e mancano la maggior parte dei responsabili; inoltre ad errori si aggiungono errori ed il caos regna sovrano.
Ma cosa è successo? Un’incomprensione fa si che uno degli ascensori parta con un carrello mal sistemato, c’è un urto su uno dei travi di sostegno che porta alla rottura di un condotto per l’olio e di qui ad un incendio a 975 metri sotto terra, che si propaga ai livelli superiori sino a 715 metri, favorito dal pozzo di aerazione dell’aria.
Si cerca in tutti i modi di raggiungere gli uomini bloccati ai vari livelli, ma a nulla servono gli sforzi, soprattutto degli italiani che si prodigano in tutti i modi per raggiungere e portare in salvo le persone rimate intrappolate in quell’inferno.

Le ore trascorrono tra l’angoscia di chi affolla l’area antistante l’entrata della miniera e di chi, disperatamente, lotta per salvare i compagni, gli amici, rischiando a propria volta la vita in una corsa contro il tempo angosciosa.

Delle 274 persone presenti nella miniera, solo 12 riescono nei primi momenti della tragedia, o subito dopo, a tornare in superficie, per gli altri non c’è scampo, morti immediatamente a causa dell’incendio e dei gas sprigionatisi o raggiunti molti giorni dopo, a quota 1.035, dove una cinquantina di loro furono trovati in un rifugio in cui si erano portati in cerca della salvezza.
Le operazioni di salvataggio si protrassero sino al 23 agosto, più per allontanare il momento in cui iniziare la ricrca delle cause e delle responsabilità che per la speranza di trovare dei superstiti, ma non tutti i corpi erano stati ritrovati e restituiti ai famigliari.
Il 22 marzo 1957, oltre sette mesi dopo la tragedia, gli ultimi corpi furono estratti dalla miniera; era finalmente tutto finito!
Errori in serie e la mancanza di qualunque forma di protezione, considerando che persino le porte taglia fuoco erano in legno, alla base della tragedia; la ricerca del profitto a qualunque costo il vero motivo della morte di 262 persone, in un pozzo aperto sin dal 1830 e che da allora aveva subito ben poche modifiche, se non quelle necessarie ad aumentare la produzione di carbone, principale fonte energetica di quegli anni.

Il processo, manco a dirlo, vide tutti i pochi imputati assolti; la responsabilità, le colpe, non erano di nessuno e solo dopo un moto di proteste e la revisione del processo si trovò un capro espiatorio, un ingegnere che fu condannato a sei mesi di reclusione e l’inchiesta chiusa!

Oggi il Bois du Cazier è un museo, che fa parte dei patrimoni storici dell’UNESCO.
Ho avuto personalmente la possibilità di visitare quel luogo, ancor oggi così carico di dolore, appena tre anni or sono ed il pensiero, passeggiando tra i fabbricati e le torri che sono rimaste, pur ristrutturate, quelle di allora, è andato alla tragedia, ai 262 morti, ricordati in una delle stanze della struttura.
Nulla ha rotto il silenzio del posto in quel pomeriggio di settembre, pochi i visitatori assorti, ma la sensazione di rivivere qualcosa di terribile è stata grande, come se si fosse nel mezzo di un via vai di gente disperata, un accorrere di ambulanze, mezzi dei pompieri, squadre di soccorso, nel mezzo di una tragedia che ancor oggi fa rumore nel tranquillo silenzio del Bois du Cazier.

A cura di Maurizio Vigliani

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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