In conseguenza di un violentissimo terremoto di magnitudo 8,9 che l’11 marzo del 2011 colpì il nord est del Giappone, la centrale nucleare di Fukushima venne danneggiata in quattro dei suoi sei reattori nucleari, causando la fuga di gas radioattivo. Lo stato nipponico, oltre alle perdite di vite umane causate dal terremoto e dal successivo maremoto (i morti furono circa 30.000), dovette affrontare uno degli incidenti nucleari più gravi della storia dell’umanità.

In un Paese come il Giappone, ad alta densità demografica (335 abitanti per chilometro quadrato, che salgono a circa 6000 ab/km2 nell’area metropolitana di Tokyo, distante poco più di 200 km dalla centrale nucleare di Fukushima), è facile comprendere che un disastro come quello può risultare davvero letale e rivelarsi una catastrofe, umanitaria ed economica, dalla quale difficilmente ci si può riprende.

Pensate se fosse capitato nel nostro Paese: non si sono ancora spente le grida d’aiuto delle famiglie in Irpinia (1980) per un terremoto che in Giappone classificherebbero come una normale scossa tellurica o poco più; una catastrofe nucleare come quella di Fukushima in Italia avrebbe segnato le future generazioni per più di 30 anni e, probabilmente, avrebbe significato la fine della vita in gran parte delle nostre regioni.
Non solo per la tragedia naturalistica in sé, ma per il modo di affrontarla. Sprechi, corruzione, tangenti, immobilismo, liti politiche infinite, ritardi, inefficienze. Tutte caratteristiche tipicamente, sfortunatamente, italiche.

Le caratteristiche nipponiche sono opposte e ricordano, semmai, quelle di romanica memoria.
Efficienza, senso dello Stato, onestà, senso del dovere e della responsabilità.
Degli esempi pratici possono chiarire meglio la differenza abissale fra i due Paesi. In Giappone, i giorni di ferie sono circa dieci nel corso dell’anno e la malattia molto spesso non viene retribuita.
Inoltre è normale lavorare anche oltre l’orario stabilito, a mai per imposizione. E’ naturale protrarsi in ufficio fino a notte inoltrata e fare diverse ore di straordinario.
Ciò detto, non conosco l’entità delle somme stanziate dal Governo nipponico per le famiglie disagiate, che hanno visto distrutte le loro case e tutto quello che avevano faticosamente costruito nel corso degli anni.

Non conosco i tempi di realizzazione di nuovi edifici o unità abitative che gli sfollati.
Sicuramente sono tempi sensibilmente inferiori rispetto ai nostri.
Sicuramente, conoscendo la loro onestà di fondo ed il loro senso delle istituzioni, avranno ricostruito quasi interamente quello che occorreva ricostruire. E che siano onesti, giapponesi politici e non, sono più che certo. E tale affermazione è basata non solo sulla mia esperienza personale. Mi piace ricordare un semplice esperimento, messo a punto da uno sviluppatore di software di passaggio, tale Godfrey Chan, in un importante meeting per informatici che si tiene a Sendai, popolosa città giapponese.

L’uomo, forse per mettere alla prova i giapponesi, ha lasciato nella sala congressi un po’ di monetine, per la quantità, piuttosto modica, di 200 yen, abbandonate sul piedistallo di una scultura.
Le avrebbe mai trovate, l’indomani? Certamente. Ma non solo. Nel frattempo, le monetine erano addirittura aumentate: da 200 erano 300 yen. La spiegazione è da ricercare nella tradizione giapponese dell’osaisen, cioè l’offerta di monete agli spiriti e agli Dei. Di solito viene praticata in templi e monasteri, o in aree naturali considerate sacre. È difficile che si faccia anche in edifici secolari come una sala congressi. Ma ciò la dice lunga sullo Stato ed i suoi abitanti.
Da noi, è più facile che una persona vinca al superenalotto piuttosto che sia così vergognosamente onesto.
Considerando che non bisogna mai, però, cadere in luoghi comuni e che il paradiso in terra non esiste (se proprio vi è una nazione che ci va vicino, quella è proprio la nostra), cerco di essere onesto anch’io.

Sì, perché anche i giapponesi, di errori ne hanno fatti, eccome.
Innanzitutto è criticabile la scelta per la realizzazione della centrale nucleare, costruita su una zona costiera soggetta a tsunami e, oltretutto, senza adeguate protezioni per tale fenomeno atmosferico.
Nonostante il fenomeno sia ben noto, sia la Società proprietaria dell’impianto che le autorità giapponesi che hanno concesso l’autorizzazione non hanno valutato la forza devastante che può avere uno tsunami.

La centrale nucleare è stata costruita su una costa alta appena 4 metri sul livello del mare, e protetta da dighe frangiflutti alte poco più di 5 metri, adatte a fronteggiare un tifone, non uno tsunami.
Quando le gigantesche onde di maremoto, alte più di 10 metri, hanno investito la costa, i reattori nucleari della centrale sono stati sommersi con facilità.

Anche i sistemi di sicurezza della centrale nucleare si sono rivelati insufficienti. Le pompe hanno inspiegabilmente smesso di funzionare, bloccando il raffreddamento dei reattori, e i dispositivi di riserva non sono entrati in funzione, facilitando la serie di esplosioni che hanno dato luogo alle fughe di radioattività.

Successive indagini hanno appurato gravi mancanze nel controllo e nella manutenzione di tali sistemi. Secondo quanto ammesso dagli stessi responsabili della Tepco, la società che ha costruito la centrale nucleare, le valvole della temperatura di un reattore non erano state esaminate per un tempo pari a 11 anni, mentre altre verifiche, presentate come accurate, erano approssimative: 33 pezzi dei reattori non erano stati revisionati. La situazione è stata ulteriormente peggiorata dal fatto che la Tepco, per ridurre i costi di gestione della centrale nucleare, non ha trasportato altrove le barre di combustibile già usate, ma le ha accumulate all’interno della centrale stessa.

Inoltre, la Tepco avrebbe consapevolmente rallentato gli interventi per raffreddare con acqua di mare i reattori dov’era in corso la fusione del nocciolo. L’uso di acqua marina può abbassare la temperatura dei reattori, riducendo i rischi di ulteriori esplosioni e fughe radioattive. Allo stesso tempo, però, danneggia i reattori rendendoli inservibili: cosa che la Tepco ha cercato, fino all’ultimo, di evitare per non subire un’ulteriore perdita economica.
Il disastro è incommensurabile e gli effetti ancora tutti da vedere.
Sia sufficiente, per ora, basarsi su dati inequivocabili perché dati di fatto.
Al tempo del disastro di Chernobyl, che ha interessato un solo reattore nucleare, il livello di radioattività era tale da essere stato considerato a livello 7, di massima gravità secondo la scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici.
Nel caso della centrale di Fukushima, il livello di gravità è stato lo stesso, ma i reattori che hanno rilasciato radioattività sono stati ben quattro.

Per rimediare agli errori compiuti fino ad oggi, il governo giapponese dovrebbe rivedere il suo piano energetico per dare finalmente priorità alla sicurezza della popolazione. Per farlo c’è un solo modo: eliminare l’energia nucleare (come chiedono, fra l’altro, la maggior parte dei cittadini giapponesi) e sostituirla con le fonti di energia rinnovabili e rispettose dell’ambiente.

Energie rinnovabili (fotovoltaica, eolica, idrogeno pulito) che siano resistenti ai terremoti e ad altri eventi meteorologici estremi cui il Giappone è costretto a convivere. Solo così può mettere al sicuro i suoi cittadini ed evitare che disastri come Fukushima si ripetano ancora.

A cura di Avv. Costantino Larocca editorialista – Foto Life Gate

Contattare Costantino per richieste legali: [email protected] / 338.7578408

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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