Il 26 aprile è iniziato da poco più di un’ora e nella Centrale Nucleare di Cernobyl, nell’Unione Sovietica Ucraina, è in atto da qualche ora un test di sicurezza sul reattore numero 4; il test, che simula un black out elettrico, avrebbe dovuto già essere terminato, ma ci sono problemi e ritardi, così che il protrarsi dell’operazione ha coinvolto non solo gli operatori del turno di lavoro preposti, ma anche quelli del turno successivo, non pronti e preparati adeguatamente, così da creare ulteriori intoppi e ritardi.
Le operazioni vanno comunque avanti sino a quando avviene un’esplosione, a seguito delle condizioni instabili di operatività del reattore, con il vapore ad altissima pressione che fa saltare il tetto del cilindro che conteneva il nocciolo del reattore, il tutto causa un’ulteriore esplosione, che coinvolge il tetto ed alcune pareti dell’intera struttura, con fuoruscita di materiale radioattivo sotto forma di nuvola, che si propaga immediatamente ed in quantità altissime, nell’atmosfera.
A causare la tragedia furono diversi fattori, e la concomitanza di eventi fatali, a partire dai gravi errori di progettazione del reattore e delle barre di controllo, oltre a quelli relativi a particolari meccanici, cui si devono aggiungere il sistema di gestione economico ed amministrativo, data la mancanza di personale qualificato ed a conoscenza delle caratteristiche dell’impianto; a tutto ciò va aggiunto che nel fatale test ci furono errori di coordinamento e di effettuazione delle operazioni.
Nei muniti immediatamente successivi alle esplosioni regna il caos nella Centrale, anche perché gli addetti non si rendono conto della gravità della situazione, se non dopo che alcuni di loro, usciti dalla struttura, verificano come in realtà il reattore sia del tutto scoperto ed il disastro immane; i vigili del fuoco, arrivano in pochi minuti, con una squadra di stanza a poche centinaia di metri dalla centrale ed un’altra nella vicina città di Pryp”jat, che dista solo tre chilometri dal luogo dell’incidente (mentre la cittadina di Cernobyl è ad una ventina di chilometri).
Si lavora senza adeguate protezioni e strutture, tentando disperatamente di spegnere gli incendi con gli scarsi mezzi a disposizione; nella successiva mattinata la situazione è ancora drammaticamente grave, anche se l’apparato si muove, con l’arrivo di alti dirigenti del partito ed esperti chiamati a gestire una situazione mai successa nel Mondo intero.
Il livello delle radiazioni è spaventosamente alto, enormemente oltre le soglie consentite, è quindi necessario prendere decisioni che possano in qualche modo salvaguardare l’esistenza delle oltre centomila persone residenti nell’area dell’incidente, all’oscuro del pericolo cui sono in quel momento sottoposte; c’è inoltre un altro problema, ben più grave e che coinvolge non solo gli abitanti delle zone, dato che i venti stanno spargendo le nuvole radioattive su gran parte dell’Europa.
Ed è proprio questo che da l’allarme generale a chi ancora nulla sa della catastrofe, dato che nonostante la “perestrojka” nessuno si è preoccupato di far trapelare la notizia del disastro, pur nella poca immediata consapevolezza della sua enormità.
E’ in Svezia, nella Centrale di Forsmark, che vengono rilevati i primi alti indici di radioattività, dati che in prima istanza fanno pensare ad un problema agli impianti locali, ma che una volta fatte le opportune verifiche portano ben più lontano, all’Unione Sovietica, che subito nega qualsiasi coinvolgimento e responsabilità, ma ormai sono molte le aree e le Nazioni coinvolte dal problema, ed alla fine, pur se nella solita maniera di quegli anni ancora di Guerra Fredda, arrivano le prime ammissioni e notizie su disastro nucleare.
Nel frattempo, le autorità sovietiche decidono di evacuare la popolazione della zona colpita, circa 116.000 persone, trasferite in autobus con la scusa di un momentaneo allontanamento, da una zona che va sino ad un raggio di 30 chilometri dalla Centrale; naturalmente nessuno è informato delle reali condizioni e del vero motivo di quello che risulterà non solo essere solo fatto transitorio.
Ancora oggi Pryp”jat è una città fantasma, mentre a Cernobyl sono pochissime le persone residenti e tutta la zona continua ad essere interdetta alle persone, se non per brevi periodi, più che altro per controlli e/o sopraluoghi temporanei.
Quello della Centrale di Cernobyl è stato il maggior evento catastrofico del nucleare civile, il primo disastro atomico, insieme al successivo di Fukuschima (2011), a raggiungere il settimo livello, il più alto, della scala INES.
Difficile se non impossibile stabilire il numero dei morti, sia immediati, che quelli causati nel corso dei decenni dalle conseguenze dovute all’esposizione alle radiazioni, non solo nelle zone del disastro, ma anche in quelle toccate dal propagarsi della nuvola radioattiva; le stime sono molteplici ed i risultati portano alle cifre più disparate, anche se non è poi così campato in aria ritenere che sia di almeno 1 milione il numero dei morti direttamente o indirettamente legati all’evento.
Non solo le persone sono state vittime del disastro, dato che anche fauna e flora sono state pesantemente coinvolte in quello che è stato un vero e proprio sconvolgimento delle condizioni ambientali e naturali; condizioni e mutazioni che sono continuamente allo studio degli esperti, pur se l’umanità non ha smesso di causare disastri all’ambiente, spesso consapevolmente e senza ritegno alcuno,
Evidentemente Cernobyl è servita solo in parte e quelli che sono gli obiettivi umani vanno perseguiti senza rendersi conto di quelli che sono i pericoli immediati, ma ancor di più del futuro del nostro Pianeta.
Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto

 

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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