C’è mai stato nella storia del calcio italiano un periodo così buio per i centravanti? Probabilmente no. Da qualsiasi punto lo osserviamo, riconosciamo i segnali della crisi del numero nove, anche se fanno ben sperare le ultime doppiette di Immobile e Belotti.
Il c.t. della nazionale Roberto Mancini recentemente ha lasciato a casa Mario Balotelli e Andrea Belotti, i primi candidati alla maglia nove in azzurro, perché lontani dalla condizione migliore. Chi c’era al loro posto nei raduni a Coverciano? Simone Zaza, che fatica a essere titolare nel Torino e che la Spagna ha lasciato libero senza troppa nostalgia; Ciro Immobile, che ha fallito sia in Bundesliga con il Borussia Dortmund, sia nella Liga con il Siviglia e Patrick Cutrone, riserva di Gonzalo Higuain al Milan.
C’è così tanta povertà di offerta nel ruolo, che è riuscito a inserirsi anche Sebastian Giovinco, trentadue anni, pre-pensionato in Canada. E poco ci manca che torni pure il rigorista Graziano Pellé, pre-pensionato in Cina. Con una doppietta a testa, gli stranieri, Mauro Icardi e Gonzalo Higuain, hanno lanciato l’attesissimo derby di Milano – portato a casa dai nerazzurri con un gol allo scadere di Icardi – che un tempo era il duello tra grandi centravanti italiani, come Bobo Vieri e Pippo Inzaghi.
Non c’è pagina gloriosa della nostra storia che non sia stata timbrata da un centravanti, a cominciare dai Mondiali vinti: Meazza e Schiavio nel ‘34, Piola nel ‘38, Pablito Rossi nell’ottantadue, Toni e Gilardino nel 2006. E poi Anastasi all’Europeo del ‘68, Boninsegna a Messico ‘70 e Schillaci nelle notti magiche di Italia 90. Non ci sono mai mancati grandi numeri nove. Perché ora sì? È colpa delle mamme, oppure è il calo degli oratori? Un tempo i ragazzi ciondolavano nei pomeriggi eterni in parrocchia, per poi ritrovarsi sul campetto, con la domanda: “Chi sta in porta”? Prima ancora di organizzare una partitella, passavano ore a calciare tra i pali e, senza accorgersene, imparavano a colpire di collo pieno e a far partire il pallone dritto, inchiodato nell’aria, mica come adesso che anche in serie A sanno calciare solo a giro e la palla ruota sempre come una trottola. Tiravano in porta a ripetizione, ogni giorno, e così chi aveva talento per il gol scopriva di essere un centravanti e cresceva con la porta in testa. Quando poi dall’oratorio passava in una squadra vera, aveva già i fondamentali del ruolo a buon punto e doveva solo affinare l’intesa con i compagni.
Oggi piuttosto che ciondolare al campetto, è più facile che un ragazzo passi ore davanti ad un tablet o iPhone. Il pallone lo incontrerà solo alla scuola calcio, dove imparerà subito mille diavolerie tattiche, compresa quella del “falso” nove, ma non l’istinto del “vero” nove che deve crescere con la porta in testa, calciando a ripetizione. Forse, per avere grandi centravanti, dovremmo tornare a riempire gli oratori.
Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Marco Iorio
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