Obiettivo stagionale dichiarato, almeno da noi, che lo seguiamo da vicino da oltre 5 lustri. Il cavalluccio và in letargo per quanto concerne il campo del Manuzzi (ha rimasto il salto con l ASTA in tribunale), l’unico sport che ancora può praticare con la speranza che per i tifosi bianconeri arrivi una vittoria per non spezzare il cordone ombelicale della tradizione.

Ma il periodo è duro, il coronavirus ha messo a tappeto anche le aziende più fiorenti, quelle dal reating buono che fanno gola alle banche speculative. I tifosi che a gran voce avevano richiesto la sospensione del campionato ora si ritengono del tutto accontentati, e questo richiamo è arrivato pure dagli ultras che dalle curve seguono la serie A. Giocare a porte chiuse, senza spettatori non è più calcio, anzi si rischia di falsare la stagione intera.

Eppure i potenti del calcio, invece di pensare a guarire il pallone sia da un punto di vista sanitario che economico, di sanare le piaghe di questa sfera di cuoio (i bilanci dei club della massima serie sono in rosso e da capogiro), sono in prima linea per fare ripartire l’universo magico della palla . Eppure il calcio è profondamente malato nel fair player economico; e, la prima impressione che mi sibilla, dovrebbe essere quella di rivedere gli investimenti perchè nulla sarà più come prima e nessuno si potrà più permettere di attuare ingaggi miliardari.

La malattia è multifattoriale e anche se originata dal covid-19, non può certo essere celata dal punto di vista plusvalenze fasulle, falsi bilanci e appropriazioni di capitali, debiti enormi di contributi ed erariali.
Questo sistema patologico non dovrebbe essere permesso da una società civile, come dagli stessi amministratori seri di qualsiasi società. Nel passato
abbiamo già scritto dello schifo che presidenti maneggioni, italiani, arabi, cinesi, russi, americani, hanno avuto il pelo nel petto nel comprare club falliti per un euro e poi rivenderli a centinaia di milioni. Queste, per me, sono i predatori che azzannano le carogne del calcio.
E le vittime? Facile dirsi, le vittime siamo noi.

La gente comune che paga il biglietto d’ingresso in tribuna, sempre più caro, la famiglia che conferma l’abbonamento alla pay-tv, il papà che porta il figlio per la prima volta allo stadio e scopre che la maglia della squadra del cuore è la più costosa da acquistare rispetto al prezzo delle casacche originali dei club. Un calcio davvero sano e più a misura d’uomo (ma da domani ci pensa il coronavirus) non si permetterebbe, come accade troppo spesso, di essere irrimediabilmente nelle mani dei procuratori dai dieci telefonini. Non si consentirebbe di essere sempre aperto e sempre più simile al mercato delle vacche. Un’oligarchia al potere, specchio purtroppo della maggior parte dei governi del mondo, in cui i pochi ricchi si arricchiscono sempre di più e i tanti poveri precipitano nell’abisso della miseria comune. Ma questo il tifoso, invasato – per naturalezza –, ipnotizzato da Immobile o da Ronaldo, non lo vede e non lo sente. Il calcio per loro è solo una malattia quasi cronica che spesso sfocia nella violenza degli imbecilli.

Tornando in alto, ai colori che rappresentano Cesena, il futuro è tutto incerto, pieno di insidie e all’orizzonte sono previsti cambiamenti di management, perchè per ora non c’è un euro da spendere per ipotizzare a un domani fiorente e di riqualificazione per fare salti di categorie superiori. Ad oggi il bilancio è surgelato, l’importante appena arriverà l’autunno e sicuramente la ripartenza della categoria è di non fare minestroni indigesti. Chiudo con l’interrogativo il Cavalluccio che salto farà con l’ASTA?

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Luigi Rega

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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