Seconda parte… Ora passo a descrivere il genere musicale del Blues e la sua forma.

Il genere musicale chiamato Blues è una forma di musica vocale e strumentale la cui forma originale è caratterizzata da una struttura ripetitiva di dodici battute e in particolare, nella melodia, dell’uso delle cosidette Blue Note: (Nel Jazz, la Blue Note (detta anche nella terminologia inglese “Worried” note che corrispondono al IV grado incalzato (quarta eccedente) della scala minore melodica.

Nella scala Blues, prendendo ad esempio Do, si avrà la seguente costruzione: C – Eb – F# – G – Bb – C). Viene talvolta identificato come un genere musicale assestante.
Sebbene Ragtime, Jazz e Spiritual non abbiano la stessa origine né la stessa storia del Blues, questi tre stili musicali afroamericani si sono fortemente influenzati tra loro.
Le radici del Blues sono da ricercare tra i canti delle comunità di schiavi afroamericani come abbiamo già esplorato la storia nel racconto precedente, i canti venivano intonati durante il duro lavoro dei neri nelle piantagioni degli Stati del Sud degli Stati Uniti, gli Stati della Louisiana, Mississippi e altri dove gli schiavi raccoglievano il tabacco e il cotone.

A partire da queste umili origini, il Blues crebbe fino a diventare la forma di musica popolare ascoltata nel mondo, finendo per influenzare fortemente, o addirittura a far nascere, molti stili della musica moderna di oggi e diventando, a partire dagli anni 1960, uno dei fattori d’influenza dominante.
Tra i generi che furono più direttamente influenzati dal Blues ricordiamo, gli stili: Bluegrass, Rhythm and Blues, Talking Blues, Rock and Roll, Hard Rock e Hip Hop.
Lo stile Blues nasce dall’espressione “To have the blues devils” (Io ho nell’animo i diavoli), il significato è chiaro, la persona è agitata e malvagia. L’espressione, attestata nella lingua inglese a partire dal XVII secolo, si riferiva in uno originale stato allucinatorio che segue alle crisi di astinenza da super alcolici. All’epoca “Blues” era un sinonimo gergale di “ubriaco” e per questo motivo le leggi che vietavano la vendita di alcolici la domenica erano indicate come “Blues Laws” (le leggi del Blues).
Verso la fine del 1700, un ballo di coppia lento diffuso nelle taverne veniva indicato come Blues o Slow Drag.

Dopo la Guerra di Secessione americana, le espressioni “To be’ Blues”, ‘”to Have the Blues” (io sono triste e tu sei triste), vennero ad indicare uno stato di sofferenza, di tristezza o di malinconia, distaccato dall’originaria associazione con l’ubriachezza. L’uso dell’espressione blues si intendeva, la popolazione afroamericana è triste, serviva per designare la canzone e la musica, associata a tale stato potrebbe essere addiritura posteriore al 1900. A quel punto i due significati (extramusicale e musicale) si fusero, e divenne comune dire il musicista Blues suonava o cantava per “liberarsi della tristezza, della malinconia e da tutte le forze negative, che l’animo umano può acumolare durante il suo percorso di vita. Questa associazione tra il sentimento, chiamato con lo stile “Blues Feeling” e il genere musicale che assunse grande importanza, e l’idea che l’espressione del sentimento – al di sopra del mezzo tecnico – costituisca l’essenza è fortemente radicata nella comunità nera, afroamericana.

Le origini del Blues, come avviene per altre forme musicali, le origini del Blues, in quanto poco documentate e oscure, sono oggetto di tante discussioni. In particolare non c’è una precisa data di nascita per questo genere musicale: la traccia più antica di una forma musicale simile è il racconto che, nel 1901, fece un archeologo del Mississippi, descrivendo il canto di lavoratori neri che sembra avere affinità melodiche e liriche con il Blues di oggi. Non è, dunque, possibile stabilire con esattezza una data che segni l’origine di questo genere, tuttavia un anno fondamentale fu il 1865, anno dell’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti d’America: ottenuta la libertà, numerosi schiavi-musicisti iniziarono a portare la loro musica fuori dalle piantagioni e, nel giro di qualche decennio, questo stile fu noto a giugere alle prime attenzioni che ci sono pervenute.

Uno dei più importanti antenati è senz’altro lo stile Spiritual, una forma di canto devozionale nato dalle riunioni di devoti durante il Grande Risveglio, dei primi anni del XIX secolo. Di argomento malinconico e appassionato, rispetto al Blues gli Spiritual avevano accenti meno personali e rivolti alla persona del cantante, riferendosi spesso alla condizione dell’umanità in generale e al suo rapporto con Dio, e i testi erano corrispondentemente meno profani. Altri antenati del Blues vanno cercati fra le Work Songs (canzoni di lavoro), sempre eseguite dagli schiavi denominati con il nome di (Field Hollers), e di altra provenienza (cwnti dei portuali o stevedore; canti dei manovali o Roustabout), che risuonavano in America all’epoca della Guerra di secessione, e anche negli anni successivi, in cui la condizione di soggezione e povertà degli afroamericani persistente nonostante l’abolizione della schiavitù. Da questi il Blues ereditò probabilmente la sua struttura, chiamata in termine tecnico call and response, chiamata e risposta, di origine africana, mutando invece la sua struttura armonica e strumentale della tradizione europea. Molte delle caratteristiche del Blues, a cominciare dalla struttura antifonale e dell’uso delle Blue Note, possono essere fatte risalire alla Musica Africana. Sylviane Diouf ha individuato molti tratti, tra cui l’uso di melissa e la pesante intonazione nasale, che fanno pensare a parentele con la musica dell’Africa centrale e occidentale. L’etnomusicologo Gerhard Kubik, professore all’Università di Mangonza, in Germania, e autore di uno dei più completi trattati sulle origini africane del Blues, il libro a per titolo: “Africa and the Blues”, è stato forse il primo ad attribuire certi elementi di questo stile alla musica islamica dell’Africa Centrale e Occidentale: “Gli strumenti a corda (i preferiti dagli schiavi provenienti dalle regioni islamiche) erano generalmente tollerati dai padroni che li consideravano simili agli strumenti europei come” lo strumento del “violino. Per questo motivo gli schiavi che riuscivano a procurarsi un banjo avevano più possibilità di suonare in pubblico. Questa musica solista degli schiavi aveva alcune caratteristiche dello stile canzone arabo-islamica che era stata presente per secoli nell’Africa centro-occidentale”.

(Il testo virgolettato è tratto dal libro dell’autore Gerhard Kubik, dal titolo:”Africa and the Blues).
Kubik fa inoltre notare che la tecnica, tipica del Mississippi e ricordata dal Blues W.C. Handy nella sua autobiografia, di suonare la chitarra usando come tecnica la lama di un coltello, ha il corrispettivo nel continente africano.
Anche il diddley bow, uno strumento casalingo fatto da una singola corda tesa su un’asse di legno, che viene pizzicata modulando il suono tramite uno slide fatto di vetro e che si incontrava spesso nell’America meridionale agli inizi del Novecento, sempre di derivazione africana.
Si ritiene che il Bluesman più anziano per nascita di cui abbiamo una registrazione discografica sia Daddy Stovepipe, nato nel 1867, “One man band” chitarrista, cantante, armonicista e suonatore di kazzu e altri strumenti autocostruiti, di cui ci rimane la canzone “Sundown Blues” incisa nel 1924, ma le cui prime esibizioni con prodromi Blues risalgono attorno al 1890.

Nel corso della sua evoluzione, il Blues acquisì alcune delle sue caratteristiche dalle “Arie etiopi”, gli spettacoli Minstrel e dal Ragtime.
In questo periodo questo genere musicale, come testimoniato ad esempio dalle registrazioni di Leadbelly e di Henry Thomas, con molte forme diverse, forme di dodici, otto, o sedici battute basate sul giro della tonica – sottodominante – dominante. La forma dei Blues standards in dodici battute fa la sua apparizione documentata nelle comunità afroamericane meridionali dello Stato del Mississippi, sulla Beale Street di Memphis, e nelle orchestre bianche di New Orleans.
“Blues e vaudeville.
<< Bassie Smith fu la migliore tra le cantanti di blues. Sapeva davvero cantare il blues. Le altre cantavano bene, ma non come Bessie Smith. Lei aveva un suo stile personale ed era la più famosa che ci fosse". (Di Freddie Moore, dal libro dal titolo: "Voices of the Jazz Age, dell'autore Chip Defaa". "Un'altro degli elementi di mitologia che si e lentamente infiltrato negli studi del jazz delle origini è l'idea che il jazz e il blues, è che i due generi musicali siano congiunti come fratelli siamesi. Essa, come ha dimostrato Paul Oliver analizzando numerose storie del Jazz e del blues, sembra essersi autoperpetuata tra gli studiosi finendo, perciò, col conferire << solide fondamenta a un argomento assai traballante>>. Analizzando in profondità i punti di vista espressi da quegli autori, così Oliver riassume la massa di contraddizioni che emerge dai loro libri:

È impossibile trovare consenso tra gli storici del jazz di questi punti: dopo l’Emancipazione, durante la Ricostruzione, dopo la Ricostruzione, negli anni Ottanta o Novanta del XIX secolo. Il blues era africano come origine ma non come caratteristiche, fu musica rurale, musica urbana, parte della preistoria del Jazz, un’influenza importante nella formazione del jazz, parte di un fenomeno di convergenze nel processo formativo del jazz, assimilato dal jazz dopo la fase delle marching bands, suonato assieme al ragtime prima che le jazz band usassero jazz…”

“Messi da parte i punti di vista espressi dai primi storici della materia, si può dire che, in larga parte, il blues ha una storia indipendente da quella del jazz, nonostante, sin dall’inizio del XX secolo, i musicisti di jazz si esibissero al fianco di cantanti Blues e fossero in grado di suonarlo”. Come ho accennato nel racconto che ho descritto fin d’ora, descrivendo che: “l’uso del termine << blues >> per indicare una forma-canzone afroamericana, derivata dalla ballad e gli holler tipici dell’ultima parte del XIX secolo, con in più elementi di spiritual e gospel”: i due nomi sono la stessa cosa, il primo spiritual sta a significare che il musicista e cantante e autore delle liriche, cioè il testo, mente il gospel deriva dalle scritture del Vangelo, e quindi il musicista preleva un testo dal libro sacro.

“Risale agli inizi del XX secolo, sebbene il termine venisse usato già da molto tempo per indicare un particolare stato mentale incline alla malinconia tipico di numerosissimi testi di blues. La peculiare forma del Blues, invece, sembra essersi sviluppata in molte zone del Sud degli Stati Uniti, anche se non necessariamente sovrapponibili geograficamente con quelle in cui si svilupparono le prime forme di jazz. New Orleans, ad esempio, produsse allora un piccolo numero di cantanti di Blues, e nessuna significativa variante stilistica locale fino alla metà del XX secolo. Siccome il blues fu indubbiamente una musica rurale, almeno all’inizio della sua storia, le sue origini sono documentate in maniera assai lacunosa e approssimativa, e la stragrande maggioranza degli storici ha concentrato gli sforzi sul periodo che va 1920 in poi, quando cioè il Blues iniziò a essere documentato discograficamente su larga scala. Riferimenti al blues, tuttavia, appaiono sulla stampa periodica prima di quelli relativi al jazz, e nel periodo in cui quest’ultimo stava emergendo si crearono due relazioni cruciali assai importanti per l’evoluzione del Jazz.
La prima è prettamente musicale, e ha anche fare con la struttura armonica della forma blues: di norma, una sequenza accordate lungo un ciclo di dodici misure su cui sono costruiti la stragrande maggioranza dei testi Blues.
I, I, I, I / IV, IV, I, I, / V, V, I, I.

Esempio I: la struttura armonica della forma Blues di dodici misure.
“Tale struttura fu presto adottata dai compositori di ragtime (come nell’anonimato Dirty Dozen, il cui titolo fa riferimento sia a un diffuso gioco afroamericano di scambio di battute sprezzanti e insulti, sia alla sequenza di accordi), e da qui scivolò in maniera naturale nel Jazz, diventando una delle basi più utilizzate per l’improvvisazione. Inoltre, la sequenza armonica del Blues era perfettamente compatibile con melodie in cui comparivano le blue notes, note abbassate di meno di un semitono in corrispondenza del terzo e del settimo Grado della scala.

La seconda relazione va ricercata nell’emergente tradizione performativa del Blues e, in particolare, in quella propria della prima generazione di cantanti donne di blues << classico >>, che lavorarono sugli stessi palcoscenici e nello stesso circuito teatrale analizzato a proposito del ragtime, e portarono a una sintesi di influenze e stili con quelli dei musicisti di jazz che spesso le accompagnavano, pianisti o chitarristi o veri e propri gruppi che fossero.
Uno dei primi musicisti a trascrivere un Blues di dodici misure fu il cornentista W.C. Handy (1873-1958). Le sue composizioni Memphis Blues (scritto originariamente nel 1909, ma pubblicato nel 1912) e St. Louis Blues (1914), nella forma di ragtime multitematici che si chiudono con la ripetizione di un tema in dodici misure sulle armonie tipiche del Blues, rappresentarono due grandi successi per il mercato degli spartiti.

Handy scrisse che la prima volta in cui ascoltò il Blues in una << piantagione del Mississippi >> e si sentì quasi trascinato dal desiderio di suonare e cantare imitando lo stile del musicista che stava ascoltando. Handy vedeva la sua composizione come un ragtime, non solo perché questo era il genere afroamericano predominante nel mercato editoriale, nei primi anni del Novecento, ma, nel suo ricordo, egli esprime perché il suo brano andava fuori dagli schemi delle composizioni multitematiche tipiche del ragtime:
Avendone composti in gran numero, per quanto gioiosi, con temi di sedici battute, ero nella scia degli altri compositori di ragtime, ma questo brano a temi di dodici misure – tipicamente << blues >> – e mi rende orgoglioso sapere di aver aggiunto un’altra forma alla composizione musicale e al mondo.
Handy naturalmente, non aveva << aggiunto >> una nuova forma alla musica del mondo, ma fu semplicemente uno dei primi compositori a trascrivere il Blues suonato e cantato nel Sud, e successivamente a trasformarlo in composizione e pubblicarlo. Egli fu anche uno dei primi musicisti ad avere la possibilità di spiegare, attraverso la stampa, quali fossero le caratteristiche che rendevano questa musica << incantevole >> così differente dagli altri generi musicali e dotata di un carattere che << simboleggiava la tristezza invece della gioia >>.

Nei suoi scritti del periodo, Handy individuava nella progressione armonica su cui si appoggiavano i testi il fattore che conferiva alla maggior parte dei blues similarità profonda, una riconoscibile somiglianza l’uno con l’altro.
Molti degli sforzi degli studiosi di Blues sono concentrati sulla documentazione e sull’analisi dei testi, parole che rappresentano una sezione trasversale dell’esperienza culturale, sociale politica degli afroamericani. Minore attenzione invece è stata dedicata all’analisi della struttura musicale, delle variazioni della sequenza di accordi, nelle armonie e nelle linee melodiche.

I testi, comunque, rivestono un ruolo decisivo nella comprensione dell’ambiente sociale nel quale la musica blues prese forma e si sviluppò, evidenziando come fosse, in prevalenza, un forma di canzone. In questo, ha caratteristiche evidentemente differenti rispetto a quelle del ragtime strumentale e del jazz. Sebbene ci siano stati tanti cantanti di jazz, ciò che li definisce come tali e la loro abilità improvvisativa e la capacità di adattare alla performance vocale le prassi tipiche del jazz strumentale.
Viceversa, la reazione musicale tra il primo jazz e il blues rinforza le qualità testuali del blues, poiché, anche se << jazz bands >> erano utilizzate per accompagnare le cantanti di Blues, il loro supporto strumentale ricopriva un ruolo secondario, come nel caso della prima cantante a incidere dischi, Mamie Smith (1883-1946). Allo stesso tempo, gli strumentisti considerati dai colleghi i migliori esecutori di Blues incorporano nel loro stile elementi e intonazioni vocali.
La Smith registrò Grazy Blues con i suoi Jazz Hounds (i segugi del jazz >>) nel 1920, e ne vendette in breve tempo in gran numero di copie.
Prima che l’anno finisse, la stampa di New York riportava la notizia secondo cui la Smith e i suoi segugi avevano << ricevuto la cifra più alta mai pagata da un management di colore a un artista di colore >> e che la Smith aveva << guadagnato la fama più grande mai ottenuta da una donna di colore nell'industria discografica >>. Mamie Smith, allo stesso modo di altri cantanti provenienti dai tent show come “Ma” Rainey, sfruttava lo sfondo sonoro di una jazz band per aggiungere varietà al suono delle sue canzoni, e i musicisti che utilizzava avevano già una lunga esperienza con le dodici battute del Blues.
Gravina Bushell, il sassofonista della band, affidò i suoi ricordi a una autobiografia, in cui sostiene, che come altri pionieri del jazz, egli vedeva il Blues come un modo di suonare, un approccio stilistico alla performance.

Inoltre, il contrasto con i valori e le aspirazioni della piccola borghesia newyorkese ben rappresentati da James Reese Europe e Will Marion Cook, la cui musica seguiva le orme dei compositori classici come J. Rosamond Johnson, il blues e il jazz erano destinati alle classi inferiori e lì si poteva ascoltare in un malaffare, prima del successo discografico di Mamie Smith. Bushell una poco ortodossa linea ereditaria per la tipica armonia Blues (ma non molto distante dall’idea di background di jazz e blues espressa in precedenza), suggerendo che derivi dalle canzoni irlandesi, dal sistema di altezze della musica dei nativi nordamericani, oltre che, naturalmente, dalla musica afroamericana: << Il blues utilizzava una speciale linea melodica e un modo di suonare, che mescolavano le cadenze irlandesi e i quarti di tono degli indiani, insieme con l'attitudine dei neri alla ripetizione della melodia >>.

“Era l’approccio e la posizione complessiva di un singolo musicista, il fatto che i musicisti gut Buckley affrontassero i loro assoli con il massimo dell’espressività e della partecipazione emotiva, a definire per Bushell quanto bene un musicista di jazz il blues.
In quei dischi Mamie Smith ciò che si ascolta era lo stile prevalente ad Harlem e dintorni a quel tempo.
Harlem era un calderone di stili e musiche diversi, provenienti da varie zone del paese, e portati lì dai musicisti che ci andavano a vivere […] Il mio stile clarinettistico lo rifinii a New York. Anche Dope Andrews era di New York […] Il suo stile al trombone divenne più o meno lo stile ufficiale della città, molto simile, peraltro, a quello usato dalle band dei circhi”.
Per il trobettista che suonava con Mamie Smith, Johnny Dunn, Bushell spese parole ammirate << Veniva da Memphis e ti commuoveva suonando il blues, ma senza metterci l'anima come i musicisti di blues della Louisiana >>.

“Il fraseggio, l’uso dei raddoppi di tempo, dalla dinamica e della sordina wah-wah rendevano Dunn, secondo Bushell, un ottimo interprete di blues.
Doc Cheatham, trombettista creditato a Nashville, reagì più o meno allo stesso modo ascoltando i gruppi che accompagnavano le cantanti di Blues nelle tournée. Ad alcune di queste si unì, occasionalmente, suonando il sassofono (sarebbe passato più tardi alla tromba) ed ebbe la possibilità di trovarsi sul palco con Bassie Smith, Ethel Waters, Ida Cox e Clara Smith quando si esibivano al teatro Bijou per poche serate.
Il jazzista che lo impressionò maggiormente fu Joe Smith (1902-1937), che andò in tour sia con Ethel Waters sia con Mamie Smith nei primi anni Venti, quando Cheatham era un ragazzino. << Mi sconvolse l'uso che faceva della sordina >>, scrisse più tardi. Questa idea di modificare il suono della tromba, di parlare attraverso la sordina sembra essere un elemento essenziale del modo in cui i musicisti di jazz affrontarono il blues.

Oltre all’adozione della struttura armonica e delle sfumature vocalizzanti del loro stile strumentale, un gran numero di musicisti che sarebbero diventati jazzisti iniziarono le loro carriere accompagnando cantanti di Blues. Nel far questo in molti si ritrovarono coinvolti nel circuito dei teatri neri in tutti gli Stati Uniti, altri invece lavorarono nel circuito parallelo dei tent show, dei medicine show, nelle orchestre dei circhi (alcune delle quali impiegavano sia musicisti bianchi sia di colore) o nelle compagnie itineranti di minstrel” letteralmente tradotto dall’inglese all’italiano, menestrello.

“Analizzare lo stile di questi musicisti ascoltando le registrazioni dell’epoca a nostra disposizione – sia nel loro ruolo di accompagnatori che (come ricorda Garvin Bushell) in quello di esecutori di vibranti brani ballabili tra una canzone e l’altra della vocalist di turno – sarebbe operazione parziale e imprecisa. Intanto, i dischi di Blues incisi da Mamie Smith non riproducevano affatto il modo di suonare abituale della sua band, quanto piuttosto il lavoro di un intermediario, Perry Bradford (1893-1970), che ricoprì il ruolo di produttore per quelle registrazioni.

Affronteremo a breve il ruolo di Bradford nell’industria discografica e il supporto che garanti’ agli artisti afroamericani; per quanto riguarda il ruolo di direttore musicale che ebbe nelle registrazioni di Mamie Smith la questione è abbastanza chiara . Come scrisse Garvin Bushell:
Perry Bradford produceva le sessioni di registrazione per Mamie Smith. Si piazzata su una grande piattaforma facendo gesti per esprimere cosa desiderasse che gli strumenti suonassero: suoni acuti se muoveva le mano verso l’alto, suoni gravi se le muoveva verso il basso. In quei giorni sapevamo poco o nulla di come si incide un disco in sala di registrazione […] Se solo avessimo usato il buon senso avremmo fatto cose ben diverse.

“Bradford aveva fatto la gavetta nei teatri neri, ai quali era approdato dopo aver suonato nelle compagnie di minstrel. La sua esperienza nella tecnica teatrale fu tutto quello che riuscì a portare in studio di registrazione, con risultati altalenanti. Senza dubbio, il suo tentativo era quello di creare un’esecuzione che coprisse perfettamente la lunghezza della facciata di un disco, ben prima che Jelly Roll Morton e Duke Ellington, si attribuisce il primato dell’idea, raffinassero la tecnica. Si certo utilizzava una serie di tecniche di presentazione che tendevano più a ricreare le condizioni di un’esecuzione su un palcoscenico piuttosto che dare ai musicisti spazio e agio per suonare nel loro stile naturale anche su disco. Per questo, in molte delle incisioni che produsse si respirava una certa ampollosita’, in netto contrasto con i ricordi e le testimonianze sul suono reale di quella band che i musicisti coinvolti hanno più volte reso, tanto da far sorgere il sospetto che negli acclamati spettacoli dal vivo il canto di Mamie Smith fosse molto più fluido e libero che nelle registrazioni discografiche”.

“L’importanza di Bradford risiede nell’aver usato l’esperienza maturata nei circuiti teatrali per aprire la strada ai musicisti afroamericani nella nascente industria discografica. Il duo distinto gli aveva permesso di intuire che il Blues sarebbe stato in grado di arrivare a un pubblico di massa; intuizione, questa, che si fece strada nella sua mente sin dal suo debutto con gli Allen’s New Orleans Minstrels nel 1906, dunque un periodo in cui il blues stava evolvendo in una forma definitiva e originale.
Bradford vide con i suoi occhi gli effetti che cantanti come “Ma” Rainey producevano sugli ascoltatori in tutto il paese, e in seguito, quando arrivò a New York il suo obiettivo fu quello di abbattere la percezione del Blues come musica dei bassifondi, ricordata da Bushell, escogitando una rivista, basata sul blues, dal nome Made in Harlem, che esordì al Lincoln Theater nel 1918.

Non a caso il soprannome con cui Bradford veniva chiamato era “Mule”, il mulo, visto che negli anni successivi alla messa in scena di quello spettacolo iniziò a tampinare ostinatamente le case discografiche più potenti affinché permettessero agli artisti afroamericani di registrare la propria musica […]”.
“[…] Naturalmente, questa è solo una parte della storia, poiché qualcosa di leggermente più complesso, è sicuramente più interessante, di questa elementare biforcazione avvenne nei teatri e nei tent show attraverso gli Stati Uniti, e portò alla formazione di un genuina forma ibrida, un tipo di canzone da vaudeville. Era una forma ibrida sia nel senso della sua provenienza che dalle sue pratiche performative. Questo genere di canzone, che Perry Bradford utilizzò intensivamente, e ciò che divenne noto col nome di << classic blues >>.

Generalmente questa denominazione è applicata ai lavori delle cantanti come Bessie Smith “Ma” Rainey, Ida Cox e Mamie Smith. Le loro canzoni non si limitavano a ripetere l’onnipresente struttura a dodici battute di molti blues arcaici, con le relative strofe di tre versi. Al contrario il materiale veniva prelevato dai repertori dei gangster e da quello del teatro musicale afroamericano, in pieno e rapido sviluppo dulla scia dell’era minstrel del XIX secolo. I minstrel show continuarono con successo nei primi venti anni del secolo successivo, anche se musicalmente perpetuarono un vecchio stile, invece di svilupparne uno nuovo […]”.
( Il testo virgolettato è tratto dal libro dal titolo, Nuova storia del Jazz, autore Alyn Shipton, titolo originale A New History of Jazz, 2007 Alyn Shipton.
Traduzione italiana di Daniele Gianfriglia, Vincenzo Martorella e Chiara Veltri. Casa Editrice Giulio Einaudi Editore. 2011 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino).

A cura di Alessandro Poletti – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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