LA STORIA DELLA CANZONE E DELLA MUSICA BLUES DEGLI SCHIAVI AFROAMERICANI.

Ma Rainey, nome d’arte di Malissa Nix Pridgett, nasce a Colombus nello Stato della Georgia il 26 aprile del 1886. Fu una delle prime cantanti Blues professioniste che hanno anche registrato dei dischi ed ha avuto un’importante influenza sulle altre donne che in seguito si sono dedicate a questo genere musicale e canoro, tra le tante Bessie Smith, altra cantante notevole dello stile blues.

All’età di quattordici anni, Ma Rainey si unì ad un gruppo teatrale itinerante di Vaudeville e fu durante questo periodo che decise di dedicarsi alla musica e al canto blues, dopo aver per puro caso assistito ad una performance blues di una ragazza a St. Louis, nel Missouri.
Nel 1904 si sposò con il cantante William Pa Rainey, e da questo momento iniziò a farsi chiamare Ma Rainey, Rainey era il cognome del marito.La coppia cominciò ad andare in tournée con il gruppo Robbit Foot Minstrels, cantando un genere musicale di blues e di canzoni popolari.

Nel 1912 Bessie Smith entrò a far parte di questo gruppo, e ci rimase fino al 1915. Il primo suo disco risale al 1923, Ma Rainey firmò per l’etichetta Paramont Records e tra il 1923 e il 1928 registrò più di cento canzoni, tra le quali i classici, C.C. Rider, Jelly Bean Blues, Ma Rainey’s Blues Botton.
Durante gli anni Trenta la sua carriera iniziò pian piano a declinare fino ad arrivare al 1933, secondo alcune fonti la cantante Ma Rainey arrivò fino al 1935.
Continuò però la sua attività gestendo teatri.
L’autore Giles OaKley, nel suo libro, Blues. La musica del diavolo, edito da ShaKe Edizioni, Milano. Nella terza parte, rammenta la storia di Ma Rainey: “[…] ‘Ci sono due cose che non ho mai visto”, disse una volta a Ma Rainey Billy Gunn, un artista di vaudeville. “E queste due cose sono: una donna brutta e una scimmia bella”. “Dio ti benedica, caro!” fu la sua risposta.

Gertrude “Ma” Rainey fu una delle più grandi e delle più amate cantanti di Blues di tutti i tempi. Il suo blues era rude e senza fronzoli, pieno di.profondità e con un calore che andava ben al di là semplici parole. Poteva mugolare “hmmmmmm”, e il pubblico mugolava con lei.
“Per me era troppo brutta” – è Little Brother Montgomery che la ricorda. “Ragazzi! Era la cosa più brutta che io abbia mai visto!” Ma per il suo vecchio pianista Georgia Tom Dorsey, Ma Rainey era “adorabile, simpaticissima”. “Be” non posso dire che fosse una bella donna” “aggiunge”ed era anche piuttosto cicciona; ma era una delle persone più adorabili per cui o con cui mi sia capitato di lavorare. Chiamava tutti ‘tesoro’, ‘caro’, ‘baby’, e cosi via.

Se eri nei guai e volevi farti prestare dei soldi o non so che cosa da lei, e andavi lì, non ti chiamava caro ‘Babe’ o ‘baby’! Diceva: “Cos’hai fatto, cosa ne hai fatto dei tuoi soldi? E va bene…ecco qua…’era un tipo cosi’.
Era una donna dall’aspetto straordinario, di una bruttezza attraente, piccola di statura, tozza, dai lineamenti molto marcati e una bocca dipinta senza risparmio, piena di denti d’oro; era sempre carica di diamanti – alle orecchie, al collo, in una tiara che portata in testa, alle dita, dappertutto. Perline braccialetti si mescolavano tintinnando ai fronzoli dei suoi costosissimi costumi di scena. Per un certo periodo il suo marchio di fabbrica fu una favolosa collana di monete d’oro, che andavano da quelle da due dollari e cinquanta alle “aquile” pesanti da venti dollari, con orecchini d’oro abbinati.
Di notte dormiva senza mai togliersi la sua collana, ma una notte un ladruncolo gliela sfilò mentre era addormentata in treno, e per la rabbia lei la sostituì con un filo di perle false. A volte portava in testa una fascia di perline scintillanti, e quasi sempre sventolava un gran ventaglio spumeggiante di piume di struzzo.

In scena aveva un enorme fondale con un’aquila e faceva la sua apparizione uscendo da uno scatolone a forma di fotografo, mandando baci. Al tempo in cui era in circolazione il film muto di Lon Chaney, Il fantasma dell’opera, un suo spettacolo cominciò con qualcuno che berciava dalla balconata.: “Il fantaaasmaaaa!, mentre il suo quintetto, la Giorgia Jazz Band, si sistemava nella buca dell’orchestra. In tutto il teatro un coro di voci diede man forte alla prima: ‘Il fantaaaasmaaaaa, il fataaaasmaaaaa!”, in un crescendo che aumentava mentre il sipario si alzava scoprendo la gigantesca riproduzione di una Victrola, inondata di luce blu. Dall’interno dei camerini arrivò la voce modulante di Ma, le porte enormi di spalancarono ed eccola lì, splendente nel suo abito nero di lustrini, con la sua chincaglieria scintillante.

Ma aveva una voce da contralto profonda e ricca, a volte leggermente lamentosa, a volte come un urlo, un ruggito, ma sempre con un fondo di severità e di malinconia. Molte canzoni del suo repertorio erano sue, ma attingeva anche dalla produzione di compositori professionisti, e poi, che fossero sue o no, non faceva molta differenza: i suoi blues avevano sempre profonde radici nelle esperienze della povera gente del profondo Sud.

Un tipico esempio è Chain Gang Blues, con parole di Charles Parker e musica di Spencer Williams, inciso da Ma nel 1926.
Ma Rainey veniva dalla Georgia (era nata a Colombus nel 1886) e nonostante lavorasse nei minstrel show e nei talent show fin dall’inizio del secolo, conosceva profondamente la realtà di vita del suo pubblico. Chain Gang Blues rispecchia il suo impegno suoi temi più comprensibili per il suo pubblico: le chain Gang (squadre di forzati), che comprendevano anche donne e bambini, si potevano vedere al lavoro persino per le strade di una città come Atlanta.

In tutte le cantanti cosidette “classiche” del blues. Ma Rainey era la più legata alla campagna e al Sud per stile e per richiamo: girava raramente molto più a Nord della Virginia, e ci volle un po’ di tempo prima che lavorasse anche a Chicago: questo avvenne solo dopo che il Blues aveva ottenuto un certo successo commerciale. La prima volta che lei stessa sentì del Blues fu in una cittadina del Missouri nel 1902. Ma raccontava allo studioso di folklore John Work che era venuta una ragazza alla tenda e si era messa a cantare una canzone tanto strana toccante che lei aveva deciso di usarla nel concerto come bis.
Ma lavorò con quasi tutti i più famosi minstrel show e tent show, quello di Tolliver, quello di Al Baine, quello di Silas Green e con i famosi Rabbit Foot Minstrels.

Nel 1915 fu ingaggiata assieme a suo marito, Pa Rainey, per un numero di canto e danza che si chiamava “Raine and Raney Assassinators of the Blues” (Rainey e Rainey. Gli assassini del blues). Lucien Brown, un musicista che incise con Ma, ricordava suo marito: “Be’, Pa Rainey era un vecchio minstrel man. Aveva tutto un armamentario… la tenda e non so cosa… ma era vecchio; ecco perché lo chiamavano ‘Pa’…. e da quello sua moglie diventò ‘Ma’.

Negli anni Venti, Ma portava in giro più che altro il suo show personale, con tanto di vagoni con lo stemma, oppure con un rimorchio fatto in casa, ricavato da un vecchio telaio di automobile coperto da un drappo. La troupe portava in giro più o meno quattro cassoni di materiale di scena, compreso il suo fondale che portava dipinta l’etichetta dei dischi Paramount. Little Brother Montgomery ricorda che Ma Rainey aveva sempre un valigia piena di soldi, in banconote da cinquanta e da cento dollari. “Me li ha dati il mio uomo” – diceva.

Laura Dukes, un’altra artista del tent show, ricorda che una volta qualcuno chiese a Ma: “Ma, di soldini hai?”. E lei: “Bimbo caro, ma cosa stai dicendo? Ne ho un titolo che basterebbe a soffocare un bue!” Grande pubblicità veniva fatta ai dischi Paramount di Ma, e a un certo punto la casa discografica lanciò un concorso per trovare un nome al “Disco misterioso di Ma Rainey”. La proposta vincente fu lawd, I’m Down Wid De Blues di Ella McGill di Jefferson, dell’Indiana.

Ma, o meglio “Madame” Rainey, come preferiva essere chiamata, era la star della Paramount aveva operato dal 1917 come succursale della Wisconsin Chair Company, e nel 1923, ai tempi delle prime incisioni di Ma per la casa, la sua popolarità contribuì a farne una delle più grosse e più importanti etichette “race” (così cominciava a chiamarsi la produzione discografica nera. Il sostegno maggiore Ma lo riceveva dal Sud, dal cuore della sua gente, e anche quando si avvaleva dei musicisti più avanzati e raffinati per le sue incisioni (e lavorava con gente come Louis Armstrong, Coleman Hawkins, Fletcher Henderson) manteneva il duo stile semplice ed il duo feeling naturale. Registrò anche con un accompagnamento più campagnolo, con banjo, Kazoo (una trombetta “a voce”, basata sul principio del pettine con la carta velina), Justin (delle brocche o bottiglie in cui si soffiava a ritmo, ottenendo un fischio basso), violini e chitarre, e a volte chiamava i suoi accompagnatori “la mia banda della brocca della tinozza e dell’asse da lavare” (Tub Jung, Washboard Band).

Georgia Tom, quando le faceva da pianista, scrisse molte canzoni del repertorio di Ma, alcune del genere Blues deep moanin (lamentoso profondo), e altre del genere chiassoso e scherzoso, di puro divertimento. In entrambi i casi si trattava di Blues legati al Sud rurale, di cui lo stesso Tom diceva: “È un blues disgraziato (low down, che però può avere un significato geografico, anche); posso dire solo questo”.

Non che lo stile campagnolo di Ma Rainey piacesse a tutti: per esempio, uno che non lo apprezzava era Little Brother Montgomery: “Non la odiavo, no, mi stava anche bene, ma non me è mai importato gran che.
L’ho vista un sacco di volte, sai e mi sembrava sempre troppo piatta. Quando cantava era piatta. E poi aveva una boccaccia (canta) ‘Eh, no weavil, don’t sing them blues no more’, non mi è mai piaciuto il suo modo di cantare!”.
Ma, d’altra parte, Victoria Spivey, che lei stessa fu una grande star del Blues negli anni Venti e Trenta, amava Ma Rainey. “Oh, Signore. Non parlatemi di Ma. Tutto quell’oro che si teneva addosso. Era un casino. Non ci sarà mai nessuno al mondo capace di urlare ‘Hey no weavil’ come lei. No, come Ma nessuno. Nessuno. Ne ho sentiti che ci provavano, ma non possono riuscirci. ‘Hey no weavil’. E va be’.

Perche il bo savil stava divorando tutto, giù al Sud. Quel verme si mangiava il pane di tutti, e via. E lei urlava: ‘Hey no weavil, te ne sei andato da un bel po’ ‘.
Questo aveva due significati, eh. Io ero una polastrella sveglia, io sapevo di che verme stava parlando. Ero intelligente!
Comunque li si collochi dal punto di vista geografico o storico, i blues di Ma Rainey, come quelli di tutti i grandi Blues singer, trascendono i loro limiti per parlare di calore umano.
Nel 1935 Ma si ritirò, lasciò la vita vagabonda e passò i suoi ultimi anni gestendo due teatri che aveva acquistato a Colombus e a Rome, in Georgia. Impegnatissima nella Congregazione della chiesa battista dell’amicizia, della quale suo fratello era diacono, morì nel 1939.

Sul suo certificato di morte la sua occupazione risulta: casalinga[…]”.
I Tent Shows erano spettacoli itineranti le compagnie viaggiavano da una città all’altra e da uno Stato all’altro sempre in viaggio, per portare i loro spettacoli alle persone del luogo.
Gli spettacoli si svolgevano nei circhi e oltre ai cantanti vi erano persone che impersonavano delle storie che al giorno d’oggi chiamiamo varietà.

Vi erano anche nelle compagnie dei personaggi che venivano chiamati minstrel, in realtà non era gente di colore ma bianchi, che tingendosi la faccia di nero, usando un tappo di sughero bruciato, si dipingevano facendosi neri, questi erano i minstrel, tradotto dall’Inglese all’Italiano, menestrello.

Questi attori impersonavano gente di colore e facevano la loro rappresentazione, basandosi su storie che succedevano nella vita di tutti i giorni, e che con umorismo davano agli spettatori presenti un momento di spensieratezza.
Anche i cantati si esibivano, cantando il Blues, Ma Raney, fu una di queste.
“[…] “Si ballava, c’era una pedana e si ballava” dice Sam Chatmon ricordando i tent show della sua giovinezza, “e c’erano dei clown, roba così ragazzi! Ci si divertiva parecchio, certi posti! Li chiamavano “Negger Minstrels” e anche “Ringling Brothers”, avevano un gran bello spettacolo un sacco di elefanti, di leoni, roba così.
Lo spettacolo era tipo carnevale per strada – voglio dire, quello di cui sto parlando. Stavano su una serata o due, poi smontavano e si spostavano alla città seguente.

Se nei grossi centri come Chicago i Blues singer trovavano lavoro nei cabaret e nelle sale da ballo, un terreno ancora più vasto è fertile per il Blues entertainment lo forniva il circuito commerciale degli spettacoli neri viaggianti, nati molto tempo prima.

Sulla scia della tradizione dei negger minstrel moltissime compagnie battevano il Sud e il Midwest, esibendosi nelle cittadine e nelle piantagioni; molte comprendevano dei Blues singer, uomini e donne, nel loro traboccante programma, assieme a stravaganze di ogni genere e a ogni genere di divertimento: comici, giocolieri, ballerini, lottatori, ragtime, cakewalk, trapezzisti ed equilibristi. Alcuni Blues singer trovavano lavoro nelle “seconde compagnie” dei grossi circhi, le troupe secondarie che a volte seguivano lo spettacolo principale, a volte facevano delle tournée separate, esibendosi soprattutto per un pubblico formato esclusivamente da neri.

Ma a diffondere il Blues furono principalmente i minstrel show, con molte compagnie diverse che giravano contemporaneamente, senza sosta, dalla Florida al Texax, dall’Oklahoma al Mississippi, con nomi come Tolliver’s Circus e Musical Extravaganza o King Bush, Wide-Mouth Minstrels (Menestrelli dalla bocca larga del Re cespuglio), e ancora il Georgia Smart Set (Compagnia brillante della Geogia), il suo rivale, lo Smarter Set (Compagnia molto poi brillante) e in fine il Pete Werley’s Cotton Blossom Show (Spettacolo dei germogli di cotone di Pete Werley); ma quello che spiccava tra tutti, ancora oggi indimenticabile, era lo spettacolo di Silas Green di New Orleans, fondato nel 1910, con i suoi rivali, i famosi Rabbit Foot Minstrels (Menestrelli dalle zampe di coniglio), diretti da F.S. Wolcott di Port Gibson, nel Mississippi.

“I minstrel show e i carnival show si esibivano sotto tendoni enormi che venivano trasportati a bordo di rimorchi o a volte su vagoni ferroviari appositi, che potevano essere staccati dai treni e deviati su binari di raccordo. Mentre gli uomini di fatica e i tecnici addetti montavano la tenda, la Brass band, la banda di ottoni, andava a fare un giro promozionale in paese, il cosiddetto ballyhooing, per raccogliere pubblico, magari con qualche artista che gesticolava e si dava un gran da fare in groppa a un elefante. Trovavano il loro pubblico quanto mai eterogeneo nei cantieri sugli argini nelle piantagioni, oppure si sistemano ai margini di qualche cittadina.

I camerini potevano essere ricavati in una tenda o anche in un vagone nel quale a volte dormivano gli artisti e tutta la compagnia. Ethel Waters ricorda di aver dormito in una stalla, un volta, perché “la gente di colore a Lexington (Kentucky) non voleva ragazze del carnival show in casa, e così non eravamo riusciti a trovare una stanza…

Anche Baby Jim il grassone della compagnia, aveva dovuto dormire in una stalla, ma per un motivo diverso: pesava quattro o cinquecento libbre, suppergiù, e come tutti i grandoni dei carnival show doveva essere l’uomo più grasso del mondo; a Lexington non c’era una casa che avesse una porta abbastanza grande da fare entrare Baby Jim, né un letto tanto robusto da sostenerlo.
I palcoscenici di questi circhi di solito erano fatti di tavole sistemate su una struttura pieghevole, fissate da una parte sola, l’illuminazione a volte era a candele, ma più spesso si usavano delle lampade a reticella che funzionavano a gasolio, e che poi lasciarono il posto a lampadine elettriche sulle quali non si poteva contare un gran che, alimentate da generatori portatili. Qualche volta lo spettacolo si teneva “tutto intorno” (in the round), con quattro gruppi di ballerini ognuno dei quali stava di fronte a uno dei quattro settori della platea.

Praticamente tutte le più grandi e le più famose cantanti di blues degli anni Venti passarono per il rude apprendistato del tent show, del circo: i continui spostamenti di serata in serata, dalla provincia alla città, da uno stato all’altro, dava loro la possibilità di farsi il mestiere come entertainer, e la disciplina e il controllo dei primi dischi di Blues portano l’impronta di un professionismo quotidianamente messo alla prova.

Il Blues entrava in un nuovo rapporto con le sue origini, con la cultura folk nera; il cantante blues – o almeno le cantanti degli anni Venti – non erano più membri qualsiasi della società nera che cantavano le canzoni nate durante il lavoro o che suonavano alle feste da ballo improvvisate: ora se ne stavano sul palcoscenico, osservate e ascoltate da lontano, e si servivano di ogni trucco e di ogni astuzia del mestiere per “porgere” le loro canzoni.
Il pubblico era in una posizione di più netto distacco, se non proprio in una situazione di passività (c’erano infatti applausi scomposti, fischi, grida e trepestio) senza di piu, comunque, una partecipazione a livello paritetico.
Non che il Blues fosse solo elemento dei minstrel show e dei carnival show: c’erano anche i cori femminili, le scenette, artisti di ogni assieme a musicisti di Jazz “bluesy” e anche non troppo “bluesy”
[…]”.

(Il testo virgolettato è tratto dal libro dal titolo. Blues. La musica del diavolo. Autore Giles Oakley, traduzione di Umberto Fiori. 2009 ShaKe Edizioni, Milano).
Continua…

A cura di Alessandro Poletti – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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