Cile Isola Di Pasqua Maori Monumenti Panoramiche MOAI

L’isola di Pasqua fu scoperta nel 1722 proprio nella domenica di Pasqua dalla nave olandese condotta dall’Ammiraglio Jacob Roggeveen e dai suoi marinai mentre navigavano nell’Oceano Pacifico. Con grande stupore l’intero equipaggio avvistò un’isola singolare perché era disseminata di enormi statue con la schiena rivolta verso il mare, alcune delle quali avevano inoltre nel capo delle particolari acconciature rosse.

Quando l’equipaggio approdò in terraferma scoprì che gli abitanti erano persone semplici, attrezzati con strumenti rudimentali, con armi di pietra e con qualche canoa in cattivo stato.
Mezzo secolo dopo il navigatore inglese Capitano Cook visitò l’isola insieme ai suoi marinai e fortuna volle che tra i suoi uomini vi fosse un marinaio di origine hawaiana in grado di comprendere la lingua indigena-polinesiana. Il marinaio tradusse abilmente i racconti degli isolani, scoprendo cosi che gli abitanti erano i discendenti degli scultori di queste statue, secondo le loro leggende erano stati guidati in quel luogo dal loro capo chiamato Hotu Matu’a e da allora erano trascorse 22 generazioni.

Secondo alcuni archeologi gli abitanti dell’isola di Pasqua furono i “Lapita”, una razza di esperti vasai e uomini di mare che verso il 1000 a.C. raggiunsero le isole Figi dalla Nuova Guinea, compiendo la traversata fino a Tonga e Samoa. I loro discendenti circa quattro secoli dopo si spinsero ancora più ad est alla ricerca delle attuali isole “Sopravento”, le quali solitamente erano sempre deserte. I Lapita infatti erano dotati di potenti doppie canoe, avevano una ottima conoscenza del mare, dei tipi di onde, della forma delle nubi e dei venti prevalenti; essi compirono lunghi viaggi divenendo cosi “il popolo delle molte isole”, i Polinesiani.

Gli archeologi continuarono le loro ricerche supponendo che verso il 380 d. C. alcuni abitanti delle Isole Tuatomu si spinsero in mare verso sud, trovando però difficoltà nella navigazione a causa dei venti selvaggi. Quando i venti si calmarono, navigarono spinti a favore dagli alisei nell’ultima isola chiamata Te Pito o Te Henua ovvero “l’Ombelico del Mondo” per l’appunto l’isola di Pasqua, dove poi si insediarono.
L’ultima supposizione archeologica fu quella dello studioso Thor Heyerdahl, il quale sostenne che i primi abitanti fossero abili lavoratori di pietra provenienti dal Sudamerica pre-Inca e che portarono con sé la patata dolce e il giunco per coltivarli nella nuova terra.
A prescindere dalle varie supposizioni archeologiche gli abitanti dell’isola di Pasqua furono gli scultori più abili di tutte le isole del Pacifico, nel 400 iniziarono ad erigere in riva al mare piattaforme funerarie di pietra, dette Ahu rivestite con grandi massi levigati e modellati. Nelle Ahu venivano posizionati i corpi dei defunti finché non fossero stati ridotti a scheletro tramite l’azione dei venti, degli uccelli e delle intemperie.

I familiari del morto sorvegliavano le Ahu fino al temine del rituale per poi seppellire le ossa al loro interno, successivamente organizzavano grandi feste in onore del defunto. Per onorare al meglio gli antenati e per mostrare la loro forza e ricchezza costruirono delle enormi statue dette Moai. I Moai eretti furono circa 600, parecchi dei quali alti tra i 9 e 20 metri e dai pesi approssimativi calcolati tra le 6 e le 300 tonnellate; per la loro costruzione utilizzarono la roccia della collina vulcanica chiamata Rano Raraku.

Inizialmente le statue assunsero svariate forme per poi, dal 1100, unificarsi in un unico soggetto maschile dalla testa stilizzata, con lunghi lobi e il corpo talvolta decorato da tatuaggi scolpiti nella pietra. Infine i Moai vennero collocati sulle Ahu, con lo sguardo rivolto verso le case e i campi dei familiari.

La civiltà dell’isola di Pasqua ebbe grande prosperità per circa 600 anni, coltivando la patata dolce, le banane, allevando galline e pescando. Questa popolazione aveva il culto della casa, costruita con fondamenta di pietra e tetti di paglia. I capi famiglia facevano a gara per edificare l’abitazione più decorosa e le statue più belle, oltre che di miglior fattura.
Dopo il 1600 scoppiò una guerra e iniziò la decadenza, il legno cominciò a scarseggiare, le canoe non potevano più essere riparate o sostituite e non si poteva nemmeno più costruire belle case. Senza alberi il suolo andò in degrado e il cibo diventò difficile da reperire. Donne e bambini vennero catturati in battaglia e poi divorati.

Le leggende raccontano di un grande scontro avvenuto una generazione prima dell’arrivo degli europei, i quali trovarono uno stato di fame e miseria. Nel 1838 le statue erette erano rimaste poche. Nel 1862 gli schiavisti peruviani costrinsero donne e uomini sani a lavorare nelle miniere del loro paese, i pochi che riuscirono a salvarsi dalla schiavitù tornarono nella loro isola diffondendo però il vaiolo e la lebbra, contando nel 1877 una popolazione di soli 110 abitanti.

Nel 1888 l’isola fu annessa al Cile lasciando così un grande alone di mistero nel mondo moderno.

A cura di Barbara Comelato – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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