Sono passati cinquant’anni dai giorni in cui l’Apollo 13 teneva il mondo in apprensione ed i suoi tre membri d’equipaggio tutt’altro che certi di riuscire a tornare sulla Terra; un incidente durante una fase del viaggio che doveva portare ad un nuovo allunaggio, il terzo nella storia dell’uomo, causò una perdita di ossigeno e di energia elettrica che avrebbero potuto risultare fatali per gli astronauti Jim Lovell, Jack Swigert e Fred Haise.

La partenza, avvenuta l’11 aprile 1970 dal Kennedy Space Center, pareva interessare poco l’opinione pubblica che aveva perso interesse per i viaggi nello spazio a meno di un anno da che il primo uomo era sceso per una camminata sul suolo lunare; negli Stati Uniti era la guerra in Vietnam a tenere banco, con i miliardi di dollari spesi e la meglio gioventù mandata a morire nelle giungle senza che ci fosse davvero un perché riconducibile a qualcosa di diverso dallo scontro ancora in atto della “Guerra Fredda”.

Così si era avviata la nuova missione Apollo, con poca gente ad assistere al lancio ed ancora meno network a trasmettere l’evento in diretta, senonchè dopo cinquantacinque ore di volo, alla richiesta di miscelare l’ossigeno nei serbatoi del modulo di servizio, un corto circuito provocò un’esplosione che mise praticamente fuori uso il modulo medesimo, con la conseguente necessità di annullare la missione e di riportare a casa gli astronauti.

Quelle che furono le successive operazioni, credo siano ben nella mente di chi ha visto e rivisto il film che nel 1995 raccontò le vicende di Apollo 13, così come di tutti coloro che in questi giorni di “reclusione casalinga” da Covid-19 hanno seguito i programmi di rievocazione di quei drammatici giorni, che tennero in sospeso l’opinione pubblica mondiale e si risolsero felicemente grazie al proficuo lavoro degli astronauti e di chi, dal Centro Operativo di Houston coordinava il volo.

Sicuramente, così come affermato, anche il destino ha contribuito a che la missione finisse come tutti speravano, perché l’incidente avvenne in un momento in cui ci si stava avvicinando alla Luna e quindi tutte le parti dell’Apollo fossero unite, compreso il Lem, il modulo lunare, che aveva tutti i sistemi autonomi, compresi i serbatoi dell’ossigeno e l’energia elettrica necessaria al proprio utilizzo e risultò determinante per la vicenda; certo le quasi novantacinque ore passate tra l’incidente e l’ammaraggio del modulo di comando nell’Oceano Pacifico, restano nella storia per la loro drammaticità e per come si lavorò, con grande capacità ed unione di forze, alla miglior conclusione possibile.

Pensare che siano passati cinquant’anni, impressiona però ancora oggi, anche considerando che in appena un decennio si era passati dal primo lancio di un missile orbitale senza equipaggio allo sbarco dell’uomo sulla Luna; indubbiamente a ciò contribuì, come già detto, in buona parte proprio la diaspora tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, quella Guerra Fredda che vedeva contrapposte le due grandi potenze mondiali in qualunque settore possibile ed immaginabile.

L’URSS aveva sempre fatto il primo passo in campo astronautico, avendo lanciato in orbita il promo missile, mandato nello spazio il primo essere vivente (la cagnolina Laika), così come il primo astronauta, Jurij Gagarin, mentre gli USA avevano dovuto masticare amaro, spronati però da un discorso del Presidente Kennedy, che in un discorso del 25 maggio 1961 aveva dichiarato:
«…credo che questo paese debba impegnarsi a realizzare l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra. Non ci sarà in questo periodo nessun progetto spaziale più impressionante per l’umanità, o più importante nell’esplorazione a lungo raggio dello spazio; e nessuno sarà così difficile e costoso da realizzare…».

Parole che erano risuonate più volte nella mente di chi lavorava al progetto spaziale, dal Mercury, al Gemini ed infine all’Apollo, ed avevano portato davvero l’uomo sulla Luna il 21 luglio 1969, quando sette ore dopo l’allunaggio, Neil Armstrong posò piede sul nostro Satellite, pronunciando la famosa frase:
«Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità.».

Cinquanta anni dopo, siamo qui a ricordare quegli avvenimenti, gli uomini che con il loro lavoro li determinarono, in mezzo a difficoltà incredibili, a momenti felici ed altri in cui, incidenti gravi, determinarono anche la morte degli astronauti di Apollo 1, frenando l’entusiasmo e mettendo in dubbio le possibilità di riuscita dell’impresa, ma che non la fermarono.
Oggi, che la tecnologia ha fatto passi incredibili rispetto a quei tempi, saremmo in grado di una nuova grande impresa paragonabile allo sbarco sulla Luna? Certo i costi sarebbero ostacolo non da poco, anche in tempi senza Coronavirus, ma avemmo la stessa determinazione, le stesse ambizioni, le stesse capacità di chi ha saputo raggiungere quello storico traguardo?

Il Direttore responsabile Maurizio Vigliani – Foto Nasaph.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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