Come per Prada o per i colossi del web, anche per il marchio Gucci del gruppo francese Kering il sospetto dei pm milanesi è che abbia evaso le tasse con una estero vestizione protrattasi per diversi anni e che avrebbe permesso l’evasione di 1 miliardo e 300 milioni di euro. Lo schema è sempre quello: il lavoro, gli affari e le vendite si svolgono in Italia, ma formalmente la sede è all’estero. Possibilmente dove le tasse pesano meno. In questo caso, in Svizzera.
Così da almeno tre giorni gli uomini del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, su richiesta del pm Stefano Civardi, stanno setacciando carte e computer nella sede super moderna dell’Hub Gucci, inaugurata appena un anno in via Melchiorre Gioia, negli ex stabilimenti dell’aeronautica Caproni: 35 mila metri quadrati di superficie dove sono accorpati tutti gli uffici, gli show room e gli studi grafici di una location che ospita oltre 250 persone. Le fiamme gialle stanno cercando riscontri all’ipotesi investigativa di elusione fiscale, cui potrebbe seguire quella di infedele dichiarazione dei redditi. Nel mirino i vertici della società, tra cui l’amministratore delegato Marco Bizzarri. La questione ovviamente dovrà poi essere dimostrata e gli studi legali avranno il loro daffare. Ma intanto è un altro passo della procura milanese verso i grandi gruppi internazionali per contenere l’evasione fiscale.
Basti pensare che la griffe Gucci ha visto un progresso delle vendite tra luglio e settembre del 49% rispetto allo stesso periodo di un anno fa, dopo il rialzo del 39,3% del secondo trimestre e del 48,3% dei primi tre mesi dell’anno. Il fatturato del brand, che pesa nel periodo per il 39,6 % sul risultato complessivo di Kering, uno dei primi due gruppi della moda francese, si è attestato a 1 miliardo e 553 milioni solo nel terzo trimestre 2017, portando i ricavi dei nove mesi a 4 miliardi e 386 milioni, pari a tutto il fatturato del 2016.
Cifre importanti, su cui secondo la procura, forte dei racconti di un ex manager licenziato e che avrebbe riempito diversi verbali, non ci sarebbe stato il dovuto tributo all’erario italiano. L’inchiesta ricorda molto da vicino la vicenda del gruppo Prada, cui venne contestata un’elusione fiscale per 470 milioni di euro e che chiuse le grane giudiziarie con un condono tombale pari a 381 milioni. «L’estinzione del debito tributario, scrissero i pm nella richiesta di archiviazione – assume rilevanza ai fini della responsabilità penale» e l’azione «non può più essere esercitata». Secondo l’accusa, in quel caso Prada Holding aveva fatto apparire di avere sede a Hong Kong.

Stessa questione, cioè l’estero vestizione delle attività svolte in realtà nel nostro Paese, era stata contestata anche ai colossi del web, accusati di fatturare in Italia e versare le tasse (minime) in Irlanda. Anche in questi casi, dopo lunghi bracci di ferro con la procura, sono intervenuti i «ravvedimenti» con accordi per sostanziosi pagamenti: 306 milioni versati da Google e 318 pagati da Apple al fisco italiano.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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