A quattro anni dalla barbara uccisione di Giulio Regeni al Cairo, e dopo la pubblicazione del libro-memoria dei suoi genitori” Giulio fa cose”, edito da Feltrinelli, siamo ora in presenza di un quasi deja vu: Patrick ZaKi, che viveva e studiava in Italia, all’Università di Bologna, arrestato all’aeroporto del Cairo.

Mentre gli avvocati di Zaki e Amnesty International denunciano l’ennesimo arresto, la vicenda ha riaperto la ferita aperta dei rapporti fra l’Italia e l’Egitto.
Ferita che la morte di Giulio Regeni, e la mancata risoluzione del suo caso, hanno lasciato ampiamente aperta.
A tal proposito, vorrei sottolineare che Laura Cappon, una giornalista che è vissuta al Cairo dal 2011 al 2015, e che si è occupata da vicino del caso Regeni ha, a mio parere in modo inequivocabile, fatto notare quanto gli affari economici tra Italia ed Egitto possono aver influenzato questa triste vicenda.

Si è trattato con molta probabibilità di un interscambio commerciale di circa 5 miliardi di euro, che nel tempo è cresciuto e che ha condizionato le indagini, soprattutto durante il ritiro dell’ambasciatore, avvenuto tra Aprile 2016 e Agosto 2017.
La presenza di Eni nel giacimento petrolifero di Zohr, il più grande del Mediterraneo, è importante, e dunque è facile immaginare come ciò abbia condizionato tutta l’inchiesta.

Per l’Eni l’Egitto è ed è stato fondamentale, e nessuno avrebbe avuto il coraggio di imporre uno stop a questi interessi, che hanno un grande potere di condizionamento nella nostra politica estera.
I cinque indagati, che erano quelli iscritti nel registro della procura di Roma erano cinque membri della National Security, che sono i servizi segreti che fanno capo al Ministero degli interni.

Questi indagati non si potevano interrogare, e in un Paese dove la polizia e le autorità non sono mai stati sottoposti a inchieste e sanzioni vere per le torture e per le violenze perpetrate, è chiaro che è impossibile che ci sia un interrogatorio vero.

Allo stesso modo il caso di Patrick Zaki riporta alla ribalta l’ambiguità delle relazioni tra Italia ed Egitto.
Il murale della street artist Laika apparso l’11 febbraio 2020 sui muri di Villa Ada a Roma, nelle vicinanze dell’Ambasciata d’Egitto in Italia, in cui si vede Giulio Regeni che abbraccia Zaki e promette che “ questa volta andra’ meglio” e’ un parallelo agghiacciante.

Sono trascorsi quattro anni di impunita’ per gli agenti di sicurezza egiziani, e’ notizia recente il via libera in commissione alla delibera del Consiglio comunale di Bologna per conferire la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki, lo studente egiziano da quasi un anno in carcere al Cairo.
La domanda è: cosa rende un governo straniero un interlocutore più o meno ostile?
IL tenore delle sue politiche interne e l’indice di democraticità e libertà costituzionali da esso garantite, o i suoi legami commerciali con altre potenze straniere?

Buchi neri, ombre, misteri, la difficoltà del governo italiano di scavare coi fatti e andare a fondo anche a costo di far saltare decennali intese diplomatiche e commerciali col Cairo.

Di fronte a queste situazioni, che rimangono pressochè invariate, e nonostante la repressione militare, la limitazione della libertà di espressione e opinione, la corruzione, le sconsiderate politiche internazionali nello scacchiere medio-orientale, il regime di Abdel Fattah Al Sisi gode di un ampio consenso internazionale, su tutti l’Italia che, di recente, si è guadagnata il podio come principale potenza europea ad aver stretto accordi economici bilaterali di tipo militare con Il Cairo.
Alcuni l’hanno definita come la “commessa del secolo”, alla quale probabilmente seguirà una seconda tranche di vendita di armamenti.

Ma l’Italia merita una risposta, il padre e la madre di Giulio Regeni e di Patrik Zaki meritano una risposta ma, purtroppo “pecunia non olet” e la verità, ahimè, può attendere!

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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