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Come quella civile anche la giustizia penale è “malata” e soffre della durata “irragionevole dei processi”: il 30% di quelli che si celebrano davanti ai tribunali arriva a sentenza a più di due anni dall’inizio, che possono diventare “anche quattro, cinque, sei anni”.
A fotografare la patologia dei processi lumaca, dalla quale scaturisce “la pessima fama del nostro Paese in ambito internazionale”, oltre gli obblighi risarcitori legati alla legge Pinto, è il dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria del ministero della Giustizia, diretto da Mario Barbuto, che così come aveva fatto per la giustizia civile ha eseguito un censimento anche su quella penale.
Lo scopo della ricerca – L’obiettivo finale dell’operazione è migliorare la produttività degli uffici giudiziari portandola al livello dei tribunali che riescono a sviluppare le performance migliori, individuando gli interventi da realizzare, a cominciare dalla revisione delle piante organiche. I procedimenti pendenti, quelli cioè che a fine anno risultano aperti da più di due, a fine 2013 ammontavano a oltre tre milioni e mezzo, una cifra che cresce quasi di un milione se si tiene conto anche di quelli aperti contro ignoti e che è comunque in costante aumento dal 2007, con incrementi annui del 2,4%.
Le “maglie nere” – E se in teoria non ci vorrebbe molto per abbattere la montagna dell’arretrato, “poco più di un anno” nell’ipotesi irrealistica che in quell’arco di tempo non ci fosse alcun nuovo procedimento, la realtà è ben diversa, se si guardano i dati sui tempi effettivi di durata dei processi. Il censimento del ministero rivela anche che oltre la metà dei processi pendenti in secondo grado è sul groppone di cinque Corti d’appello: “maglia nera” è Napoli, seguita da Roma, Torino, Bologna e Venezia. Un’analoga concentrazione si verifica anche per i tribunali: il 29% dei processi pendenti di primo grado è accumulato in dieci tribunali.
Le anomalie da eliminare – Anche stavolta è Napoli a guidare la classifica, seguita da un altro ufficio campano, Santa Maria Capua Vetere, e poi da Roma, Latina, Bologna, Milano, Velletri, Perugia, Taranto e Palermo. Se non stupisce in questa graduatoria “la presenza prevedibile e scontata di grandi uffici come Napoli, Roma e Milano” invece “sorprendono le presenze di alcuni tribunali di medie dimensioni”; una “anomalia” le cui ragioni sono in corso di approfondimento da parte del dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria, che ipotizza problemi legati alla scarsità di personale e risorse materiali, ma invita anche i dirigenti di quegli uffici a verificare le cause reali e se siano rimovibili.
Nell’analisi non c’è tuttavia alcuna messa in stato d’accusa dei magistrati. La magistratura “non è sotto accusa” Si ricordano anzi i dati del rapporto Cepej, la commissione del Consiglio d’Europa che si occupa dell’efficienza della giustizia, secondo cui i giudici italiani devono dare risposta alla più alta domanda di giustizia penale tra i 46 Paesi censiti e sono al primo posto per capacità di smaltimento dei procedimenti penali. Di qui “l’impressione” del Dipartimento che le “toghe” di casa nostra “non debbano recitare alcun mea culpa sotto il profilo della produttività numerica, benché l’intero sistema Italia manifesti delle vistose inefficienze di cui l’enorme arretrato, sia in civile sia in penale, rappresenta la punta dell’iceberg”.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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