Giorgio Gaslini al pianoforte

Tra i jazzisti italiani più prolifici, Giorgio Gaslini vanta circa quattromila concerti in tutto il mondo, dalla Cina, dall’India, al Pakistan, all’Iraq, alla Turchia,  al Mozambico, all’Etiopia, alla Birbania, alla Malesia, e il Vietnam.

La sua produzione discografica comprende novanta album con formazioni di musicisti americani, italiani e provenienti da altri Stati europei. La sua vita artistica comprende inoltre le collaborazioni con le label più importanti del panorama dell’industria discografica, dalla Voce del Padrone, alla PDU, fondata dalla cantante Mina, la Cinevox, I Dischi del Sole, la Durium, I Dischi della Quercia, fondata da Giorgio Gaslini negli anni Settanta, la Soul Note,  l’Editions of Contemporary Music ECM, del produttore Monfred Eicher, fondata nel 1969 a Monaco di Baviera in Germania.

Il pianista milanese è stato autore di colonne sonore importanti per noti registi del calibro di Michelangelo Antonioni, Dario Argento e Miklòs Jancsò.

Figlio dell’africanista Mario Dei Gaslini, Giorgio nasce a Milano nel 1929, ed è cresciuto nella scena musicale milanese degli anni Quaranta. Gaslini ha un primo approccio con la musica ascoltando alla radio, adorava le note per pianoforte di Domenico Scarlatti, interpretate da Carlo Zecchi, pianista, direttore d’orchestra e docente. Amava la musica, ancora giovanissimo, del pianista Earl Haines e del trombettista Louis Armstrong; da giovanissimo acquistò i primi vinile.

Inizia a suonare il pianoforte all’età di sette anni, sviluppando ben presto la sua inclinazione per la Musica Jazz, genere che all’epoca è relativamente sconosciuto in Italia, in quanto appannaggio di pochi cultori; e, scoraggiato, dalle politiche autarchiche del Regime fascista.

L’adolescente Gaslini si esibisce in vari club milanesi, tra i quali il Circolo Jazz Hot di Milano, locale gestito da Giancarlo Testoni, paroliere e futuro fondatore della rivista Musica Jazz, nata nell’agosto del 1945, dove il pianista milanese si esibisce in infuocate jam session al fianco di musicisti del calibro, dal chitarrista Franco Cerri, del direttore d’orchestra,  compositore, arrangiatore e fisarmonicista Gorni Kramer, e il locale La Taverna Ferrario di Milano, nella quale, dal 1948, si esibiva con l’orchestra del Momento diretta dal sassofonista Aldo Rossi, una vera e propria All Stars di musicisti, formata da alcuni dei migliori solisti dell’epoca.

A soli ventiquattro anni Gaslini, interpreterà una prodigiosa carriera che lo vedrà diventare uno dei maggiori esponenti della Musica Jazz a livello mondiale. Inoltre l’artista dalla relazione con l’attrice di teatro Marisa Pizzardi nel 1964 divenne papà della figlia Viviana.

Fresco di diploma di conservatorio intraprende una tournée di quasi un anno come musicista di scena della Compagnia del Teatro Eliseo di Roma, che in quegli anni può vantare alla regia due grandissimi nomi come, Guido Salvini e Lina Wertmmuller e che all’interno annovera alcuni dei più importanti attori di prosa italiani dell’epoca: da Aroldo Tieri, Adriana Pagnani, Carlo Nicchi.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta Gaslini si affaccia anche alla Musica Classica – Contemporanea, alla quale diede più ampio spazio per le sue doti di musicista ed interprete.

Nella sua carriera non ha disdegnato neppure le commistioni con la musica popolare, rivisitata in chiave di improvvisazione, spesso producendo elaborazioni che lo hanno reso uno degli sperimentatori più prolifici dell’ultimo mezzo secolo. Un primo esempio in tal senso si ha già nel 1957 quando Giorgio Gaslini con la suite per ottetto Tempo e Relazioni op. 12. I fondamenti di questo approccio originale, denominato Musica Totale saranno presentati nel saggio del 1975.

Inoltre è stato docente di musica a 365°, scrive un’opera letteraria dal titolo: “Giorgio Gaslini, ‘Vita, Lotte, Opere di un Protagonista della Musica Contemporanea’, dell’autore Adriano Bassi, con la prefazione di Enzo Restagno, Franco Murzio – Editore settembre 1986 s.p.a. Padova.

Enzo Restagno nella prefazione dell’opera letteraria parla di un talento dell’immediatezza e lo presenta così: “Inevitabilmente colui che cerca di introdurre nel proprio lavoro un approfondimento critico e culturale viene a trovarsi nella posizione scomoda dell’outsider; se poi questo outsider possiede anche quella sorta di talento pratico con la quale si raggiunge il successo, allora la posizione si fa veramente contrastata e difficile, come presa in una specie di ambiguità che spiazza e devia giudizi e pregiudizi. L’outside non toccato dal successo entra nella categoria di coloro il cui tempo verrà, forse, ma dalla sua condizione negativa attinge forza e purezza.

Il successo lo priva invece di questi attributi ideali suscitando invidie che si sommano alle incomprensioni. La condizione del musicista Giorgio Gaslini credo che sia proprio quella piuttosto difficile di un outsider di successo ma bisogna un pò vedere come a tale condizione è arrivato. Lo incontrai per la prima volta alcuni anni fa al termine di uno dei suoi concerti al quale mi aveva invitato un amico comune.

Confesso che pur conoscendo la sua vasta produzione, non avevo mai avuto occasione di concentrarmi sulla musica; l’occasione era buona e l’accolsi volentieri. Mi trovai così di fronte a uno che suonava molto bene il pianoforte e che dava segni palesi nella sua esecuzione di una capacità costruttiva a largo raggio. Il respiro corto e la relativa povertà di formulari jazzisti più colti che avevo avuto occasione di ascoltare mi avevano reso diffidente verso le forme del jazz culturalmente o classicamente ibridati; questo Gaslini però mi pareva che non praticasse nessuno di quegli inutili innesti.

Si muoveva invece con straordinaria disinvoltura tra zone stilistiche diverse, cercando una specie di naturale continuità tra un campo e l’altro, con l’intento quasi di dimostrare che quelle divisioni rappresentavano per lui nulla più di un artificio storico. Nel creare passaggi e fusione tra una zona e l’altra era abilissimo e la sua esecuzione possedeva di conseguenza un’affascinante fluidità.

Ci conoscemmo al termine del concerto e lo trovai simpaticissimo e anche molto discreto. Conversammo a lungo ma senza il minimo accenno alla sua musica; parlammo invece  è molto di Bartok e nel soffermarci su taluni aspetti metrici dell’Allegro Barbaro. I suoi occhi brillavano di passione. Mi disse che l’allegro Barbaro lo aveva suonato al suo esame di diploma in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Non ci incontrammo ancora e ci consideravamo reciprocamente un po’ amici. Fu quindi un grande  piacere che lo notai fra il pubblico una sera a Milano in occasione della presentazione del volume “Conversazione con Petrassi” di Lombardi, Gaslini, lo venne a sapere in quella circostanza, adorava letteralmente la musica di Petrassi ed era ora ripensandoci che la cosa non mi sembra affatto strana.

Le abilissime e talvolta tormentate peripezie linguistiche del Maestro romano, il suo circumnavigare tutti gli stili evitando però qualsiasi approdo definitivo, l’esclusione di ogni gesto perentorio capace di dare alla musica significati troppo esplicitamente univoci, potevano essere compresi ed apprezzati da Gaslini in base ad una sia pur mediata ma innegabile congenieà. Malgrado queste riflessioni, malgrado la simpatia del personaggio, i gusti comuni e una crescente amicizia, la mia conoscenza della musica di Gaslini restava sommaria; mi fu dato in parte di rimediare grazie all’ascolto dei dischi che puntualmente e gentilmente mi inviava e grazie alla lettura del trattato su Tecnica e Arte del Jazz pubblicato da Ricordi nel 1982. Si tratta di un gran bel libro nel quale attraverso la prospettiva storica si vede affiorare il pensiero musicale del Maestro in tutta la sua ricchezza delle sue molteplici componenti[…]”. “[…]

Le descrizioni che Gaslini ci offre degli anni della ricostruzione nell’immediato dopoguerra sono proprio di questo tipo e non è un caso che il suo punto di osservazione sia Milano, ovvero la città italiana più intraprendente e più disponibile agli sbaragli delle novità. Quella ben nota “milanesità”, fatta di entusiasmo e di intraprendenza, risulta anzi una componente essenziale della personalità di Gaslini. Dapprima segnali atmosferici, i nuovi ballabili americani, poi le prime spedizioni a suonare nelle balere, la rivista “Musica Jazz” di Arrigo Polillo, il Trio, allora celebre di Giampiero Boneschi, il duo pianistico con Achille Scotti, le prime esibizioni davanti microfoni della radio, le collaborazioni con Gilberto Cuppini e Hengel Gualdi, il posto fisso come pianista nell’orchestra di Aldo Rossi che con i suoi arrangiamenti raffinati rievoca il profumo nella musica americana di San Kenton, ma anche un’occhiata, non superficiale alle apparizioni di Hindermith e Milhaud sulla ribalta della vita musicale milanese.

In questa sequenza rapida e snella gli episodi paiono seguire un ritmo di danza a scandire le tappe di una sicura carriera. La storia di Gaslini non è però banalmente rettilinea: il successo, proporziato da quel già ricordato intuito, praticamente non è mai mancato ma è lui stesso aprovocare le proprie  rotture, a suscitare i suoi ripensamenti rimettendo ogni volta tutti in discussione. Singolare  in questo modo di procedere è  la coincidenza tra volontà di approfondimento e strategia, come dire che nelle scelte di Gaslini e motivi ideali e quelli pratici combaciano sempre perfettamente e spontaneamente.

Così gli anni fondamenti della ricostruzione dal ’45 al ’49, al battito del loro ritmo incalzante vedono l’affermazione di un Gaslini ancora un pò rustico che però a talento da vendere.
C’era tuttavia la spinta del Conservatorio dove lo avevano guardato dall’alto al basso; lui non si da per vinto, vuole diventare un musicista colto, si ritira dall’atmosfera jazzistica, si mette a studiare e conquista di slancio i suoi diplomi. Ecco quindi avanzare sulla scena un musicista ferratissimo che nel 1957 presenta al Festival del Jazz di Sanremo con l’ottetto “Tempo e Relazione” un brano dodecafonico. Gaslini non va in cerca di ibridazioni ma Boulez, Stokhausen, Berio, Petrassi, Castiglioni e Maderna lo attraggono non meno del “Modern Jazz Quartet” e Michelangelo Antonioni.

Proprio dal grande regista, Gaslini viene infatti scritturato con il suo quartetto per partecipare alle riprese del film “La Notte”. Gaslini un musicista eclettico ma, lo si è già notato, risolutamente contrario a ogni forma di ibridazione fra jazz musica  classica; la, osidett “Third Stream”, rappresentata da Ornette Coleman, Gunter Schuller e John Lewis col “Modern Jazz Quartet”, lo lascia completamente indifferente. Il jazz, per lui non ci sono dubbi, non deve assolutamente abdicare alla sua spontaneità, a quel requisito fondamentale che abbiamo definito “talento dell’immediatezza”.

Suggestioni e arricchimento culturali possano e devono favorire l’esercizio di quell’immediatezza; solo attraverso un esercizio del genere si può sciogliere la rigidezza categoriale dei generi approdando a quella fluidità che rende naturalmente contigue, spontaneamente trapassanti le una mille altre, le più svariate ipotesi musicali. Curiosità intellettuale e disponibilità per ogni sorta di operazioni fanno di Gaslini un vivacissimo incursore nei campi più svariati: lo inducono a compiere avventurose tournée non solo nella mitica America del jazz ma nei paesi dell’Est europeo e in Cina, a cimentarsi con le  acrobazie del “Muzieren” contemporaneo scrivendo brani su misura per il flauto di Gazzelloni e per l’obiettivo  di Lothar Faber è ad affrontare il teatro musicale penetrando nelle sedi più austere come il Teatro Massimo di Palermo o il Reggio di Parma.

Colonne sonore per film, opere e balletti e musiche do scena si alternano ai appuntamenti jazzistici che col passare degli anni risultano sempre meno scontati. Cambiano stili, cambiano le formazioni e collaboratori e in questo scenario continuamente in ebollizione non ci sono mai segnali di stanchezza; c’è anzi un fervore che non  teme di essere ingenuo perché è sorretto da convinzioni di fondo incrollabili. Gaslini sente una vocazione irresistibile ad essere un testimone del suo tempo e le sue testimonianze può produrle solo con la musica; di qui l’allargarsi eclettico del suo orizzonte, la molteplicità sempre ben calcolata e tempestiva delle esperienze.

Al di là di questa esuberanza, di quella spontaneità e di quella simpatica che spiegano il successo c’è però un motivo più profondo che mi rende personalmente molto caro il personaggio. La vita musicale negli anni in cui Gaslini ha svolto la sua carriera, è stata spesso autoritaria ed esclusiva e questo autoritarismo ha provocato in tutti i campi non di rado un impoverimento. Di fronte a tali tendenze esclusive in campo classico, jazzistico e leggero Gaslini ha sentito divampare in sé una tendenza esclusiva in campo classico, jazzistico. Gaslini  ha sentito divampare in sé una tendenza irresistibile alla protesta ed il suo intelligente e civile dissenso ha cercato di esprimerlo attraverso la sua versatilità compiendo incursioni in terreni quanto mai svariati ma scelti ogni volta con incalzante tempestività.

La “Musica Totale” più che una poetica articolata sembra quindi una concreta contestazione del conformismo musicale dominante nei decenni appena trascorsi.  Perfettamente naturale e lecito quindi che essa possa fregiarsi oggi di una meritoria virtù anticipatrice. Anche in questo caso però non vorrei fare di Gaslini un ideologo; alla base di ogni suo impegno teorico e pratico c’è sempre quella superiore forma di disponibilità esistenziale, quel fervore che non teme d’invecchiare ed è sempre sul punti di rinnovarsi perché inappagato, proprio come si trattasse di un’improvvisazione jazzistica che, per quanto riuscita non ambisce mai a diventare qualcosa di definitivo[…]”.

(IL testo virgilettato è tratto dal libro ‘Giorgio Gaslini ‘Vita, lotte, opere di un protagonista della musica contemporanea’, autore Adriano Bassi, prefazione di Enzo Restagno. Franco Muzzio Editore,  1986 – Franco Murzio a d C. Editore Spa – Padova).

A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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