Il grande pianista Giorgio Gaslini

“[…] La cattedra di jazz al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma proprio ne ’72, mi ha permesso di sbloccare la chiusura delle Accademie. Non dimentichiamo che il corso di jazz al Conservatorio (dopo aver fatto il primo corso nel dopoguerra a Milano alla fine degli anni Cinquanta, come ho detto prima), arrivava dopo essere stato deriso per dieci anni da un direttore del Conservatorio milanese, Jacopo Napoli, che mi prendeva in giro, mi prometteva il corso è in sostanza poi si faceva gioco di me. Dopo aver aspettato quindici anni la promessa del Maestro Renato Fasano di quella cattedra di jazz, finalmente mi venne data proprio da lui a Roma. Per questo lui dovette superare alcune obiezioni che aveva da personaggi di chiara fama che gli facevano pressioni perché mettesse altra gente.

Così mi assegnò un corso proprio il 16 agosto, quando tutti erano in ferie e ricordo ancora quella mattinata in cui mi firmò la delega. Questo corso fu definitivamente cancellato da chi venne dopo a sostituire Renato Fasano a Roma e che fu proprio Jacopo di Napoli. Riuscì a cancellare anche gli altri unici sue corsi che funzionavano e che erano quelli della composizione sperimentale del Maestro Boris Parena e quello della musica elettronica. Erano tre cose che avevano destato un grandissimo interesse, una efficienza tra i giovani e furono proprio queste ad essere soppresse in pochi giorni. Va comunque riconosciuto al Maestro Renato Fasano, oggi dimenticato, l’aver creato in quel Conservatorio tre coesi molto nuovi e importanti, che avevano attirato un’infinità di giovani. Purtroppo c’era molta gelosia e invidia, io stesso subito episodi scandalosi di pressione, di inquinamento e di sabotaggio. Questa è la situazione generale, e quindi c’è stato un anno vuoto. Il ’77, fu vuoto di idee, di lavoro, di fermenti, c’era un riassestamento della sinistra storica, che ha preso i mano molte zone della cultura musicale.

Per quanto riguarda, ho reagito su due fronti, il primo è stato quello di una intensificazione della mia creatività e allora ho risposto subito con un’opera dal titolo “Free Actions” che nel vuoto totale di situazione nazionale, nel vuoto totale di concetti, nel vuoto totale di fermenti di quell’anno, fu la mia risposta individuale, personale. Il mio messaggio voleva dire: “Un artista deve e può comunque sempre creare la sua opera, anche senza volerlo è testimone del suo tempo in cui nasce” […]”.

“[…] L’altra fascia, l’altro settore in cui io reagii, fu una determinazione a portare il mio lavoro all’estero, e in altre nazioni. Dentro di me avevo deciso che era il momento di farlo. Eravamo esattamente nel ’76, già trent’anni di carriera. Quindi ci sono voluti trent’anni di preparazione di approfondimento per far nascere dentro di me questo desiderio”. “Le nazioni in cui sono state tante: sette tournée in America… l’ultima e dell’ ’85; paesi importanti come l’India; europei dell’Est come la Cecoslovacchia, Ungheria, Jugoslavia. Ancora posti come l’Irlanda Malta, Svezia, paesi orientali cioè il Libano, la Giordania, e in fine la Cina con un invito ufficiale nel maggio dell’ 1985″.”Per l’86 sono stato invitato in Africa.

Queste uscite all’estero sono connotate dal contatto e dallo scambio culturale, mentre inizialmente la cosa poteva essere un po’ vitalistica. Il top di questo scambio culturale, l’ho avuto con la tournée in India, ma soprattutto e specialmente con l’ultima tournée, in Cina”. Certamente il pianista Giorgio Gaslini nella sua lunga carriera artistica ha percorso varie fasi di avventure fatte di soddisfazioni ma anche di momenti cupi e momenti in cui le invidie degli altri che dovevano essere i suoi colleghi, gli hanno messo i bastoni tra le ruote come si vuol dire, per invidie e per motivi di una scellerata arroganza per non essere forse alla sua altezza. “La tournée in Cina… è stata perfetta dal punto di vista della funzione del ruolo di questi viaggi.

Adesso pensandoci, c’è stato anche una terza via sempre a partire dagli anni ’76 a oggi che io ho messo in opera”. “Prima di tutto un musicista generalmente non ha una mentalità organizzativa, in secondo luogo ha il terrore delle cifre, dei conti, degli amministratori, dei commercialisti. E poi sussiste anche il fatto che parlare di autogestione significa anche esperienza, conoscere come si fa a creare un’etichetta discografica. Ora può sembrare una cosa facile, ma allora non si sapeva da che parte cominciare. Inoltre bisogna avere allora come oggi, dei soldi. Un pò terrorizzato, decisi di farlo ugualmente”.

Ed ecco che il pianista Giorgio Gaslini, prese coraggio si era a metà degli anni Settanta. “Diciamo che la spinta, la goccia che ha fatto traboccare questa misura già colma, fu proprio una serata a Roma al Teatro delle Arti, durante la quale come ho detto, io rappresentavo in concerto la mia suite Murales in quartetto. Da Roma ritornai ad abitare a Milano e questa fu un’altra decisione molto importante. Iniziai la ricerca per l’autogestione e scoprii che per fare l’etichetta non ci voleva niente: bastava depositare un marchio, pagare una tassa di 250.000 lire e basta. Tutte le difficoltà caddero e capii che tutto questo mistero intorno all’etichetta e alle case” discografiche “era solo un castello di carta, soprattutto era il classico mistero creato da chi ha in mano il potere per non farci entrare gli altri.

Praticamente questa autogestione nacque proprio con il disco Murales e prosegue a tutt’oggi con circa dodici dischi miei e un’altra decina di varo artisti, arrivando ad oltre 22/23 dischi. È un prestigioso catalogo di nove anni ed ognuno di questi dischi ha dietro le spalle un avvenimento importante o un grosso artista. Di tutti questi dischi si è parlato molto, alcuni sono segnalati nei referendum e sono distribuiti in tutto il mondo”. Il pianista Giorgio Gaslini prosegue nel suo racconto: “Tutto ciò mi ha permesso di non bussare più alle porte per sentirmi dire: “Ah, ma sa, il jazz non si vende!” oppure “si è interessante, però…”.

“Ti fanno qualche sabotaggio, mi è successo tante volte, oppure ti impongono la musica che dovresti fare. Quindi l’autogestirsi è stata un grossa scuola di autoresponsabilizzazione che mi ha impedito di fare anche qualche disco per altri, negli ultimi anni: un paio di dischi per la Soul Note di Bonandrini che è anche la Irec, etichetta discografica”, cioè la distribuzione della mia etichetta Dischi della Quercia. Si cammina sempre su un filo, quello della libertà. Questo mio modo di registrare oggi ha allargato ancora di più la mia popolarità in Italia ma soprattutto all’estero, togliendo il mio lavoro dalla schiavitù del contesto istituzionalizzato[…]”.

“[…] Intorno al ’77 o ’78, l’Assessorato al Turismo e Spettacolo di Parma mi chiese di proporre una serie di programmi per una piccola tournée nei castelli del parmense. Sappiamo che ci sono sei o sette bei castelli nell’ambito di 50 km. intorno a Parma e dentro e fuori o intorno a questi castelli, si fanno in estate spettacoli gestiti dal comune. Presi un foglio a mano scrissi: ” grazie dell’invito, le proposte sono queste”; misi quattro o cinque programmi che andavano dal piano solo, sino al gruppo, poi per scherzo scrissi: “Festival Europeo del Jazz“.

Questa lettera fu portata all’assemblea di tutti gli Assessori dell’Emilia Romagna, a Bologna, e fu messa, sul tavolo insieme a un altro pacco di lettere. Quando il plico fu sfogliato il mio foglio manoscritto balzò agli occhi perché le altre lettere erano tutte scritte benissimo a macchina, insieme al materiale. Si concentrarono sulle sei proposte e il dito di tutti gli Assessori va a puntarsi sulla sesta proposta […]”.

“[…] In quel periodo ci fu anche un episodio molto interessante, quando diressi l’Orchestra Europea. Ogni anno una nazione nel circuito delle radio europee, gestiva un concerto internazionale con i migliori musicisti di ogni nazione. Io ebbi un’orchestra galattica con musicisti straordinari di tutta Europa. Dicessi questa orchestra con mie composizioni e mie arrangiamenti a Perugia, trasmessa via radio direttamente a 200 milioni di ascoltatori. Per quello che riguarda le mie composizioni”, Giorgio Gaslini parla: “Avevo sciolto il quartetto dei Murales, ero tornato da New Orleans, con due musicisti americani.

Dopo la tournée che avevo fatto in Italia non avevo più impegni con loro e allora ho creato questo nuovo gruppo tenendo Gianni Bedori della vecchia guardia e aggiungendo una nuova sezione ritmica; affiancando a Bedori anche Trovesi, che avevo valorizzato da oltre sconosciuto, spingendolo a suonare il clarinetto basso si era aperto al concertistica e la via dell’Europa; quindi un front-line di due sassofonisti fortissimi di indole diversa, uno lirico tradizionale e l’altro lirico d’avanguardia e molto virtuosistico. Un’ottima sezione ritmica, con un giovane Paolo Damiani, che era stato mio allievo e il batterista Cazzola, insomma c’erano molte difficoltà, si era creata molta tensione quindi rimaneggiai questo gruppo facendo entrare al contrabbasso Marco Vaggi, anche lui mio allievo al Conservatorio.

Con questo gruppo abbiamo fatto numerose tournée all’estero tra le quali due in America, nei paesi dell’Est in India, molti concerti in Italia e festival importanti. Pubblicammo Free Actions e in doppio album Graffiti del ’78, registrato al Lirico di Milano, una suite nuova dove uso anche in un brano la spinetta e il piano elettrico […]”.

Il pianista Giorgio Gaslini prosegue il suo racconto, la vita d’artista sempre piena di impegni di tour, di concerti e di soddisfazionè quindi arrivati agli anni Ottanta , Giorgio Gaslini, dice: “All’inizio degli anno Ottanta ho sciolto il mio quintetto, quello con Trovesi, Bedori, Vaggi e Cazzola, che aveva avuto tanti consensi in campo internazionale, con molti concerti e due dischi Graffiti e Live at the Public Theatr in New York. Comunque con loro feci ancora la tournée in India nell’ ’82 e poco dopo avvenne lo scioglimento. Sentivo che questo gruppo era arrivato al massimo della tensione artistica, e che poco dopo avrebbe rischiato di selezionarsi. Non volendo correre questo pericolo, ci siamo lasciati. Inoltre l’affermazione che con questo gruppo avevano ottenuto alcuni dei loro componenti, aveva creato notevoli tensioni all’interno, per gli impegni individuali che erano sopravvenuti.

Praticamente non erano più disponibili per lavorare serenamente alla vita del gruppo ed ognuno pensava al proprio conto. Quindi decisi di valorizzare, la nuova generazione di musicisti che avevo avuto tra i miei studenti. Li avevo visti nascere crescere, lì avevo seguiti. Lì avevo visti nascere crescere, lì avevo seguiti, lì conoscevo bene, sapevo quanti di loro meritasse un’affermazione.

Così ho fatto due cose: ho fondato un nuovo gruppo, un ottetto, valorizzando sette giovani musicisti praticamente inediti o quasi e poi la Big Band di venti solisti, tutti giovani, bravissimi, potenzialmente dei fuori classe e tutti sconosciuti.

La Big Band l’ho impegnata subito in due progetti: il primo è stato un concerto dedicato interamente a musiche di Thelonious Monk, con trascrizioni e orchestrazioni originali, fatte di mio pugno per l’organico che si è poi chiamato Solar Big Band: Solar sta per solare, perché erano tutti giovani. Con questo programma che si intitolava “È quasi mezzanotte Mr. Monk”. Abbiamo debuttato al Teatro Filodrammatici di Milano, con circa un centinaio di articoli usciti in un’eco nazionale strepitoso. Nella stessa serata la Ricordi ha presentato il mio libro “Tecnica e Arte del Jazz” e cioè è stata una data che ha segnato una tappa importante in Italia, perché è uscito il primo trattato nazionale del jazz e poi essendo stato accolto da un grosso successo di pubblico, la Ricordi l’ha tenuto fra i propri Best Seller. Con lo spettacolo dedicato a Monk abbiamo fatto durante l’ottantadue, numeroso concerti e una registrazione su nastro che ancora”, in quell’anno non era ancora uscita l’opera discografica.

“Poche settimane o mesi dopo, il grande attore italiano Giorgio Albertazzi, memore delle collaborazioni che aveva fatto con lui (avevo scritto almeno cinque dei suoi precedenti spettacoli, tra I quali anche il suo musical Pilato Sempre) mi propose un progetto che aveva dello straordinario. Essendo egli un cultore di musica e particolarmente ricordando la sua prima audizione dal vivo di Duke Ellington quand’era ragazzo ed avendo ascoltato la suite che Duke aveva dedicato ai personaggi di Shakespeare, s’era messo in testa di recuperare questa suite mai più eseguita.

Duke l’aveva eseguita nel ’54 e non la riprese più fino ad un suo disco che è però introvabile. Albertazzi aveva pensato di recitare Shakespeare secondo la sequenza dei pezzi ellingtoniani con labirinti Band in scena e io stesso dovevo recitare la parte di Duke Ellington tratta dalla sua biografia. Fui aiutato dall’attrice Elisabetta Pozzi e da due voci: Mary Lindsay e Tiziana Ghiglioni, delle quali oarleremo subito. Inoltre ho continuato l’esperienza dei corsi in tutta Italia, ma in particolare a Diano Marina dove ogni estate ho moltissimi allievi. Contrariamente sono arrivate voci femminili. Da questa selezione ho scelto Tiziana Ghiglioni e Francesca Olivieri, facendole registrare per la mia etichetta e portandole nei miei gruppi; tra l’altro Tiziana ha debuttato proprio con la mia Solar Big Band e Francesca Olivieri è la voce del mio ottetto. Ecco che il grande fenomeno italiano di quegli anni (’81/’82) è stato l’avvento alla ribalta di due nuove voci, straordinarie stilistiche nel campo del jazz e del mainstream, cosa che non era mai successa in Italia. In una seconda esperienza, appunto la Big Band nella tournée con Giorgio Albertazzi, abbiamo fatto trentacinque repliche debuttando al Giardino dei Boboli a Firenze andando in tutto il paese l’Italia”.

“Era un musical straordinario in recitavo, suonavo e dirigeva. L’orchestra si scatenava e la cosa straordinaria era questa suite la famiglia Ellington ci aveva autorizzato ad usare. Di essa non esisteva più la partitura e quindi abbiamo trascritto nota per nota dal nastro originale. Ho dovuto poi riorchestrare il tutto per il mio organico che era superiore di sei elementi all’organismo originale di quattordici e creare perciò tutte le parti vocali che mancavano, con l’aggiunta di qualche mio pezzo. È nata, come unico esemplare esistente al mondo, la partitura integrale della Such Sweet Thunder Suite (Come un dolce tuono), che è una frase Shakespeariana dal Sogno di un Notte di Mezza Estate. Quando parla della musica Shakespeare dice: “Ecco senti, è come un dolce tuono” Ed Ellington adottò questa frase per intitolare la sua suite.

Il successo è stato grandissimo. La Solar Big Band è segnata da queste due grandi esperienze: il concerto dedicato a Monk e quello dedicato ad Ellington. In totale circa sessanta serate. Prima di passare all’ottetto, diciamo qualcosa dell’ultima tournée del quartetto: in India. Bisogna ricordare che si era all’inizio degli anni Ottanta”. “… Posso dire che venne con me caricatissimo e suonammo allo Yatra Jazz Festival, a Bombey, Calcutta, New Dalhi, alternandoci a grandissimi musicisti americani, indiani ed europei. Eravamo il primo gruppo italiano in assoluto invitato a questo festival. Abbiamo avuto ventiminuti di bis la prima sera, con circa ottomila spettatori indiani. Il tour ha continuato su questo tenore per tutto il periodo del festival. Al ritorno, dopo un anno, scrissi la Indian Suite, dedicata appunto a quei ricordi, ma non la registrazione col quintetto bensì col nuovo gruppo, con l’ottetto[…]”.

“[…] L’ottetto è, come dicevo, la formazione che ho assemblato estraendo da Solar Big Band i migliori talenti della nuova generazione che avevo conosciuto. Tra questi la già citata Francesca Olivieri come vocalist, essendo lei in grado di eseguire anche musica molto avanzata oltre che tradizionale, Claudio Allifrannchini e Maurizio Caldura alle ance, Daniele Di Gregorio al vibrafono, Fabio Morgera alla tromba, Piero Leveratto (inizialmente c’era Giko Pavan) al contrabbasso, è Paolo Pellegatti alla batteria. Con questo ottetto ho registrato primo disco Indian Suite, composizione che maturavo da un anno e che poi ho scritto di getto. Sempre parlando di altre esperienze di questo rilievo, devo ricordare la tournée con l’ottetto nel 1983 in Libano, a Beirut, in quelle poche settimane di armistizio di quella guerra drammatica e sanguinosa.

Dopo aver suonato per i libanesi, andammo in Giordania ad Amman ed anche qui fu un grande successo di pubblico e di critica. Poi sempre per l’ottetto, nel 1984 abbiamo avuto molte soddisfazioni in Ungheria, a Budapest e Szeged. Col trio, cioè con Piero Leveratto è Paolo Pellegatti, siamo andati in tournée in Irlanda al Festival di Dublino, rappresentando l’Italia nel Four Nations Festival, un festival dedicato a quattro nazioni, Spagna, Francia, Germania, Italia. Sempre con l’ottetto, invece, abbiamo toccato una grande punta di diamante al Teatro Argentina di Roma nel 1984, su invito dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. È stato l’unico concerto jazz contemporaneo inserito in un cartellone classico. La domenica mattina al Teatro Argentina vi erano centinaia di persone ed anche quel concerto fu una tappa importante, perché rappresentati di nazioni straniere, erano venuti a sentirci. Penso che molti inviti all’estero tra i più importanti degli anni successivi, siano partiti proprio da quel concerto.

Le nuove opere e le nuove esperienze di questo quinquennio sono abbastanza documentate dai dischi usciti. Nel 1980 uscì l’ultimo disco del quintetto di cui ho parlato prima e che si trova nell’elenco della discografia. Portai avanti l’esperienza dei duetto, che avevo iniziato nel 1979 insieme al trombonista Roswel Rudd, con Sharing.
Proseguii con altri due duetti, accompagnato da leggendari musicisti. Estasi un duo con famoso bassista Eddy Gomez che è stato per undici anni il bassista nel trio del grande pianista Bill Evans ed oggi è uno dei migliori del mondo. Poi il disco Four Pieces, in duo con l’eccezionale Anthony Braxton, sicuramente uno degli artisti intellettuali più avanzati nel mondo del jazz di oggi. Un artista validissimo soprattutto al sax soprano e uomo di punta della ricerca mondiale nel campo del jazz avanzato. Braxton mi dedico una composizione di venti minuti che occupò l’intera prima facciata, la composizione n.101 ed io dedicai a lui i pezzi della seconda facciata”, di questa opera discografica.

“In quell’occasione chiesi a Braxton come si intitolava questo pezzo così difficile e così complesso dove lui aveva usato le tecniche della musica contemporanea. Mi mostrò un suo disegno dicendo: “Il titolo è questo, vedi?” e mi regalò il disegno”. “Io non avevo mai disegnato, ma il ricordo della tournée in India con l’esaltazione dei colori che esiste nella cultura indiana, anni di interesse per la pittura contemporanea accumulati nella retina del mio pensiero e l’idea che un musicista potesse intitolare un pezzo con un dipinto, fecero scattare in me segretamente una molla, una gran voglia di dipingere. Ho cominciato subito, china ed acquarelli facendo 160 tavole che successivamente ho esposto in sei mostre-concerto nazionali e internazionali. E quindi in questa dimensione ho creato una grossa complementarietà al mio lavoro di musicista. Ho anche potuto verificare che la ricerca pluridecennale sulla forma musicale poteva in un attimo essere applicata alla forma visiva con risultati sorprendenti, in un’attività che non avevo mai svolto”.

“…L’occasione di Braxton mi ha convinto che infondo l’arte sia un atteggiamento dello spirito umano e che le varie facoltà, cioè le varie diramazioni dell’arte, che vanno dalla poesia, alla musica, alla pittura e a tutti gli aspetti che conosciamo, siano solo derivazioni di un’unica ricerca spirituale, che è quella probabmente della verità, dell’armonicità e della profonda unità del molteplice. Quindi è stata una verifica molto.importante, ancora oggi la pittura è determinante per me, ma non riesco a staccarla dalla musica e non voglio, tanto è vero che parlo sempre di concerti-mostre o mostre-concerti”.

Giorgio Gaslini tornando alle produzioni discografiche: “Molto importante è stato il 1982 la ricerca che ho fatto sui brani di Monk (quasi in voncomitanza con quelli della Big Band ), dedicandole un album intero per l’etichetta Soul Note: “Gaslini Plays Monk”. In questa ricerca, che eseguo anche in concerto, ho cercato di entrare nella musica di Monk dell’interno cioè dalle strutture, uscendovi con una mia versione e questo ha destato un grande interesse internazionale”. Giorgio Gaslini prosegue, il suo discorso: “Il disco è stato recensito sulle principali riviste del mondo, compreso il Down Beat americano, con un grande rilievo, addirittura una pagina intera. È stato giudicato giudicato in quell’anno da critici autorevoli, soprattutto londinesi, il migliore disco europeo del 1982. Anche in Italia è stato nei primissimi posti delle graduatorie discografiche. Questa ricerca l’ho fatta sentire in America anche recentemente” e cioè in quel primo periodo degli anni Ottanta. “Nel 1983 è uscito il già citato “Indian Suite” con l’ottetto che ho poi fatto conoscere ai vari pubblici italiani e anche internazionali.

Nel 1984 due” opere discografiche, “due dischi ed alla fine dell’anno, intorno novembre- dicembre per la Soul Note Records ho inciso Schumann Reflections per piano solo e per trio, dove ho suonato le Scene Infantili di Robert Schumann ed una mia Suite per trio.È stata una specie di passeggiata su una corda tesa, senza l’avrete sotto. Il filo diretto che passa tra queste musiche di derivazione schumania ed il jazz, è anche questo un modo di fare musica senza frontiere, poiché i confini sono abbattuti. Certo l’operazione è audace e rischiosissima, ma l’unità poetica di questo album penso sia salva. In generale il disco è stato molto amato dal pubblico ed infatti mi chiedono concerti imperniati su questa suite. Contemporaneamente nello stesso giorno è uscita” l’opera discografica “Monodrama per ka mia etichetta “Dischi della Quercia”, con l’ottetto; ed il secondo disco di questo gruppo dove ho concepito un piccolo melodramma in un atto, con testi miei in italiano e di Jack Keruak.

Un uso, quello della lingua italiana, fatto per la prima volta nel jazz”. “…Ho cercato di strutturare questa composizione come un piccolo melodramma, vale a dire con l’introduzione, co un’aria ed un’aria ed un concerto finale, legando la voce femminile nel tessuto un jazz avanzatissimo e usandola poi come strumento nel finale concertato. Anche questo disco rappresenta una tappa importante nelle mia attività compositiva”. Dice Il pianista Giorgio Gaslini.

“Il significato è quello di sempre, cioè l’agire in una maniera poliedrica secondo quella filosofia dall’unità del molteplice, cioè la totalità. Questi concerti mi sono stati chiesti in particolare dall’orchestra Sinfonica di Bari, con la quale ho diretto nel 1984 un programma con la prima sinfonia di Charles Ives, il genio della composizione americana dell’inizio del secolo”, il Novecento. “Ed altre cose americane: una versione per pianoforte e orchestra di una suite dedicata a Monk che ho suonato e diretto. Nel 1985, su invito della radio nazionale” italiana con “sede a Torino, ho diretto u n programma interamente dedicato a George Gershwin, in qualità di direttore dell’Orchestra” Sinfonica “della RAI di Torino, con la partecipazione del leggendario soprano nero-americana, Gloria Davy, e con il pianista Jeffrey Swann.

Ho diretto la suite dal Porgy and Bess, Un Americano a Parigi, Rapsody in Blue Rhapsody in Blue, Variazioni su I Got Rhythm e con Gloria Davy due arie da Porgy and Bess, e tre songs in duetto, cioè suonando il pianoforte con lei: il famosissimo The Man I Love e due songs pressoché sconosciute di Gershwin, molto belle, di impostazione europea che ricordano la musica di Kurt Weill. Questi songs sono elencati nel programma: Uno Loreley e l’altro è By Srrauss. abbiamo fatto tre concerti: uno al Teatro Civico di Vercelli, uno nell’Auditorium RAI di Torino von alcune decine di minuti di bis e di applausi finali, in un’atmosfera collettiva incandescente e l’ultima serata a Novara, nel cortile dello splendido palazzo seicentesco del Broletto. Queste esperienze sono una tappa che mi avvicina sempre di più al punto X della mia attività creativa[…]”.

(IL testo virgolettato è tratto dal libro, “Giorgio Gaslini ‘Vita, Lotte, Opere di un Protagonista della musicale contemporanea “, autore Adriano Bassi, prefazione di Enzo Restagno. Prima edizione settembre 1986. 1986 Franco Muzzio & c Editore Spa- Padova).

Giorgio Gaslini scompare all’età di 84 anni nel 2014, presso l’Ospedale di Borgo Val di Taro, dove era ricoverato in seguito ad una brutta caduta.

A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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