Era il 30 maggio del 1924 quando il deputato socialista Giacomo Matteotti firma, con un discorso alla Camera, la sua condanna a morte.
Tempesta”, come viene chiamato dai compagni di partito per il suo carattere garibaldino, ne è consapevole perché finito di parlare, dopo aver denunciato pubblicamente l’uso sistematico della violenza a scopo intimidatorio usata dai fascisti per vincere le elezioni e contestato la validità del voto, dice ai colleghi:

«Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me»

Quella di Matteotti era una sensazione reale, infatti il 10 giugno, viene incredibilmente rapito a Roma. Sono da poco passate le quattro del pomeriggio mentre si sta recando a Montecitorio. Sotto casa, in lungotevere Arnaldo da Brescia, nel quartiere Flaminio, una squadra di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini lo strattona e lo preleva con tutta la forza e lo carica in macchina dove viene prima picchiato e successivamente accoltellato fino alla morte, per poi essere seppellito nel bosco della Quartarella, a 25 chilometri dalla Capitale. L’auto, una Lancia Lambda, viene fornita dal direttore del «Corriere Italiano» Filippo Filippelli

SCATTARONO LE INDAGINI
– Le prime indagini partono proprio dall’automobile e sono condotte da Mauro Del Giudice e Umberto Guglielmo Tancredi. In breve tutti i rapitori sono identificati e arrestati, ma dietro diretto interesse del Duce, le indagini vengono fermate. I socialisti unitari vicini a Filippo Turati diramano un comunicato che accusa il governo.

L’autorità politica assicura solerti indagini per consegnare alla giustizia i colpevoli, ma la sua azione appare totalmente investita dal sospetto di non volere, né potere colpire le radici profonde del delitto, né svelare l’ambiente da cui i delinquenti emersero.

Le accuse dell’opposizione si muovono quasi immediatamente contro il regime fascista e contro lo stesso Mussolini, il quale inizialmente nega ogni responsabilità. La situazione precipita nel caos e il 26 giugno tutti i parlamentari dell’opposizione decidono di abbandonare i lavori del Parlamento fino a quando il governo non farà chiarezza sulla propria posizione sull’omicidio. Questo singolare episodio è ricordato come secessione dell’Aventino, dal nome del colle romano in cui nell’antica Roma i plebei si ritiravano quando erano in conflitto con i patrizi.

IL RITROVAMENTO E I FUNERALI – Il corpo di Matteotti viene ritrovato solamente il 16 agosto del 1924 dal cane di un brigadiere in licenza, Ovidio Caratelli. Mussolini ordina al ministro degli Interni Luigi Federzoni di preparare imponenti funerali da tenersi però a Fratta Polesine, città natale di Matteotti, in modo da tenerli lontani dall’attenzione dell’opinione pubblica. La vedova Velia Matteotti scrive a Federzoni chiedendo che al funerale non fossero presenti esponenti del PNF e della Milizia.

Chiedo che nessuna rappresentanza della Milizia fascista sia di scorta al treno. Chiedo che nessuna camicia nera si mostri davanti al feretro e ai miei occhi durante tutto il viaggio, né a Fratta Polesine, fino a tanto che la salma sarà sepolta. Se ragioni di ordine pubblico impongono un servizio d’ordine, sia esso affidato solamente a soldati d’Italia (Corriere della Sera, 20 agosto 1924).

QIALI FURONO I MOTIVI DELL’OMICIDIO – Il 3 gennaio 1925, a ormai oltre sei mesi dal delitto, di fronte alla Camera dei deputati, Mussolini inizia un discorso in cui, inizialmente, nega ogni coinvolgimento nella morte, ma poi si assume personalmente la responsabilità dell’accaduto.

“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”, pronunciò il capo del fascismo in un discorso divenuto storico, che aprì la strada alla definitiva svolta dittatoriale dell’Italia verso il regime fascista.


IL RICORDO DELLE BRIGATE PARTIGIANE
– Nato a Fratta Polesine, presso Rovigo, nel 1885, Matteotti già nel 1907, dopo una laurea in giurisprudenza a Bologna, entra in contatto con diversi movimenti socialisti. Nella Grande Guerra non viene arruolato, in quanto unico figlio superstite di madre vedova: è però attivo contro il conflitto, tanto da essere mandato al confino nei monti presso Messina. Nel 1919 viene eletto deputato con i socialisti per la circoscrizione elettorale Ferrara-Rovigo, dove viene riconfermato nel 1921 e nel 1924. In Parlamento non perde occasione per denunciare le attività illegali dei fascisti, al potere dal 1922 in seguito alla marcia su Roma, e la repressione violenta del dissenso. Ancora oggi viene visto come uno dei massimi esempi dell’antifascismo italiano. Durante la resistenza, i partigiani di orientamento socialista presero, per questa ragione, il nome di “Brigate Matteotti”.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Cineteca

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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