Friedrich Wilhelm Nietzsche era nato a Rocken, vicino Lipsia, nel 1844, figlio di un pastore modesto e protestante. Aveva solo cinque anni quando per una malattia inguaribile perse il padre e visse, da allora, con la madre e la sorella senza riuscire mai a guadagnare un rapporto idilliaco con loro, a tal punto che dichiarò: «confesso che la più profonda obiezione contro ‘l’eterno ritorno è sempre stata mia madre e mia sorella».

Nietzsche fu, sin da giovane, una mente diabokica e fervida, un ragazzo acuto e dalle grandi capacità intellettive. A soli 24 anni divenne professore di lingua e letteratura greca presso l’Università svizzera di Basilea nel cantone tedesco, ma la sua salute era fragile e cagionevole, colpito da frequenti attacchi di emicrania e disturbi alla vista, abbandonò la cattedra per iniziare il suo pellegrinaggio per le città della Francia, della Svizzera e dell’Italia alla ricerca di una serenità che non riuscì mai a raggiungere.

Quasi adulto, all’eta’ di quarant’anni si innamorò di una giovane russa di 21 anni, Lou Salomè, che il filosofo aveva individuato come la sua compagna di vita. Tuttavia la donna si rifiutò di sposarlo, lasciando Nietzsche in preda ad una depressione sempre più acuta, fino a farlo dormire di notte. I suoi pensieri erano avvolti nel buio piu’ totale che rasentavano la follia.

Pubblicò a sue spese i suoi ultimi lavori e si trasferì per un breve periodo a Torino, dove sopraggiunse un disagio psichico importante. Venne trascinato da un amico in una clinica per malattie nervose in Svizzera e trascorse gli ultimi anni della sua vita con la sorella, immerso nella completa schizzofrenia.

Morì a Weimar nel 1900, mentre la sua fama cominciò a crescere sempre più senza che lui potesse, però, rendersene conto.

Durante la sua permanenza a Torino, durata poco più di un anno, rimase estasiato dalla città, a tal punto da dedicarle frasi come queste: “Su Torino non c’è niente da ridire: è una città magnifica e singolarmente benefica” e ancora “Torino non è un luogo che si abbandona”. L’ultimo periodo torinese, però, fu caratterizzato dal collasso mentale del filosofo: si racconta che un giorno, uscendo di casa,vide un cocchiere frustare e prendere a calci il suo cavallo. Il filosofo, piangendo, corse incontro all’animale e iniziò ad abbracciarlo e baciarlo. Fu così accompagnato nella sua stanza mentre urlava di essere “Dioniso” e “Gesù Crocifisso”. Non si sa se la storia corrisponde al vero, ma è certo che quello stesso giorno Nietzsche svenne in una piazza della città e iniziò a scrivere lettere esaltate (i cosiddetti “biglietti della pazzia”) indirizzati ad amici, uomini di Stato e membri di case regnanti. L’episodio del cavallo ha ispirato anche il regista Bela Tarr che col suo film, Il cavallo di Torino, è stato premiato al Festival di Berlino nel 2011.

Ho sempre avuto rispetto e reverenza di questo grande filoso dalle mille angolature letterarie e che durante gli studi, in qualche modo, avevo accostato a Giovanni Pascoli per divismo, quel super uomo del casolare che pero’ desto’ in vita non poche debolezze, solo, davanti al camino che ardeva, ma poi si spegneva sotto la cenere, come la vita di ognuno di noi. Rimane difficile nel tormento sapere cosa esiste quando apriamo la finestra del trapasso.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Famus People

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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