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Amerigo Armando Gilberto Govi nacque a Genova il 22 ottobre 1885 e vi morì il 28 aprile 1966.
Attore e fondatore del teatro dialettale genovese, è considerato uno dei simboli della città della Lanterna.
Tra i suoi maggiori successi figurano classici di questo genere teatrale, diventati suoi cavalli di battaglia, come: “I manezzi pe majà na figgia” (I maneggi per maritare una figlia) – “Pigna secca e Pigna verde” – “Colpi di timone” – “Quello bonanima” – “Gildo Peragallo ingegnere” – “I Gustavino e i Passalacqua” e “Sotto a chi tocca“.
La biografia:
Nato nel popolare quartiere di “Oregina-Lagaccio” in via Sant’Ugo 13, non lontano dalla Stazione ferroviaria “Principe”, da Anselmo, funzionario delle ferrovie di origini mantovane, e dalla bolognese Francesca Gardini, detta Fanny, ricevette il nome di Gilberto in onore di uno zio paterno, il fisico Gilberto Govi.
Frequentò le scuole insieme al fratello Amleto e fu durante una vacanza a Bologna presso lo zio materno Torquato, attore dilettante, che iniziò a entusiasmarsi per il teatro. Nonostante il padre desiderasse per lui una carriera nelle ferrovie, si appassionò sempre più al teatro, iniziando a frequentare una “compagnia”: a dodici anni, nel 1897, recitava già in una filodrammatica.
La predisposizione al disegno lo portò a iscriversi ai corsi dell’Accademia linguistica di belle arti, che gli risulteranno utilissimi nella sua carriera di attore. A sedici anni completò il corso all’Accademia e venne assunto presso le “Officine Elettriche Genovesi” come disegnatore; nello stesso tempo entrò in una nuova compagnia teatrale dilettante facente parte dell’Accademia Filodrammatica Italiana con sede al Teatro Nazionale di Genova, struttura nella quale erano consentite solo recite in perfetto italiano.
Nel 1911 incontrò in filodrammatica Caterina Franchi, in arte “Rina Gaioni“, divenuta poi sua moglie il 26 settembre 1917, che gli restò accanto sino alla fine, sia nella vita che nella carriera teatrale.
Intanto formò una piccola compagnia di attori dilettanti, recitando in “Dialetto genovese” e interpretando commedie scritte da Niccolò Bacigalupo; la sua massima aspirazione era entrare a far parte della compagnia del celeberrimo Virgilio Talli; quando questi ebbe modo di assistere ad una sua rappresentazione, ne fu talmente entusiasta che lo stimolò a proseguire la carriera, suggerendogli di fondare un vero e proprio “teatro dialettale genovese”, che a quei tempi non aveva ancora una tradizione consolidata.
Con Alessandro Varaldo e Achille Chiarella, intorno al 1913 fondò la compagnia “La dialettale“, recitando a Genova e in provincia con sempre crescente successo: si divideva tra il ruolo di capocomico, direttore artistico e animatore. Era un po’ accentratore (qualcuno dice anche stretto di borsa), di fatto instancabile. La compagnia continuò ininterrottamente a recitare anche durante la prima guerra mondiale.
A seguito dell’invito esplicito dell’Accademia filodrammatica a non recitare più in genovese, nel 1916 decise di continuare per la sua strada (venne poi riammesso come socio onorario una quindicina di anni dopo, nel 1931). Fondò così la “Compagnia dialettale genovese“, esibendosi nei maggiori teatri cittadini, sempre con grande successo.
Nel 1923 rappresentò al Teatro dei Filodrammatici di Milano la commedia “I manezzi pe majà na figgia” di Nicolò Bacigalupo che segnò l’inizio del suo successo a livello nazionale.
A questo punto decise di lasciare il posto fisso di disegnatore alle Officine Elettriche Genovesi per dedicarsi solo al teatro; gli inizi non furono semplici, soprattutto per le difficoltà a costruire un repertorio, ma in breve tempo sopperì a questa necessità uno stuolo di autori pronti a mettersi a disposizione di un astro nascente teatrale, come il già citato Bacigalupo, Emanuele Canesi, Carlo Bocca, Luigi Orengo, Aldo Acquarone, Emerico Valentinetti, Enzo La Rosa, Sabatino Lopez e tanti altri.
Tutti i testi erano poi rielaborati dallo stesso Govi, tanto che gli autori lo contattavano con largo anticipo per concordare eventuali modifiche ai copioni in funzione delle sue preferenze. Redatti in italiano, i testi venivano poi tradotti dall’attore rigorosamente in lingua genovese.
Inoltre non smise mai di disegnare le sue maschere, da cui nascevano i personaggi da portare in scena. Il suo volto, tracciato con mano ferma in tutte le posizioni, di fronte come di profilo, e in ogni ruga ed espressione, campeggiava nei “foyer” dei teatri come una galleria di quadri che entusiasmava ulteriormente gli spettatori, gratificandoli di un valore aggiunto.
Nel 1926 lasciò per la prima volta l’Italia per una tournée in America Latina, una vera e propria spedizione in piroscafo, durata mesi, che lo portò a rappresentare in giro per il mondo ben 78 commedie, direttamente nei luoghi dove vivevano numerosi italiani, che da pochi anni avevano ripreso un intenso movimento migratorio verso l’Argentina e l’Uruguay.
La compagnia goviana ripeté la tournée negli anni successivi e ad una di queste prese parte l’attrice Jole Fano, che poi rimase in Sudamerica fondando una propria compagnia teatrale e diventando famosa come dirigente di un’emittente radiofonica – Radio Caupolicán – di Santiago del Cile.
Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale la sua carriera fu sempre in ascesa, con ripetute tournée teatrali sia in Italia che all’estero. Il conflitto mondiale non risparmiò tuttavia neppure la sua abitazione genovese, colpita dai pesanti bombardamenti portati dal mare e dal cielo; insieme con essa l’attore avrebbe voluto ricostruire anche il proprio repertorio, che sentiva forse ormai superato da nuove istanze. In quel periodo era dubbioso, non avendo la certezza che il pubblico lo gradisse ancora, nonostante le sue commedie riscuotessero il consueto successo e la gente accorresse sempre numerosa ai suoi spettacoli in ogni città.
Nel periodo bellico e post-bellico si cimentò anche come “attore cinematografico” in quattro pellicole dall’esito piuttosto insoddisfacente; i titoli che si ricordano (due dei quali tratti da suoi lavori teatrali) sono Colpi di timone (1942), diretto da Gennaro Righelli, Che tempi (1947), diretto da Giorgio Bianchi, Il diavolo in convento (1950), diretto da Nunzio Malasomma, Lui, lei e il nonno (1961), girato a Napoli da Anton Giulio Majano e prodotto dall’armatore Achille Lauro e  quest’ultima fu la sua unica pellicola a colori.
Ma i ritmi del cinema, con le ripetute pause, e la tecnica recitativa differente rispetto a quella del palcoscenico non lo entusiasmavano. Ebbe comunque l’occasione di contribuire a lanciare attori comici come Walter Chiari e Alberto Sordi.
 
Ricordiamo che non fece in tempo ad approfondire il rapporto con il “mezzo televisivo“, nato da pochi anni, proprio quando l’attore stava ormai avviandosi verso la parte finale della carriera; il piccolo schermo, tuttavia, gli consentì, grazie alla registrazione dal vivo di alcuni spettacoli, di farsi conoscere dal grande pubblico e dalle generazioni successive.
Oggi possiamo ancora vedere sei commedie registrate per la televisione, salvate dalla distruzione in maniera rocambolesca negli anni ’70 da un impiegato collezionista appassionato di teatro, e proposte da Vito Molinari e Mauro Manciotti (1928-2006) in Tutto Govi (1979), documentario biografico di Rai 3 a lui dedicato.
Si tratta di sei delle quattordici (o quindici, a seconda delle fonti) commedie registrate dalla RAI.
Di Impresa trasporti si è salvata soltanto la ripresa del terzo atto, mentre il primo e il secondo si possono ascoltare in audio. Di altre cinque commedie (Articolo quinto, I Guastavino e i Passalacqua, Parodi & C., Il porto di casa mia e Tanto per la regola) si è salvato unicamente l’audio. Le dodici commedie sono state pubblicate in DVD nel 2004 (presentando alcuni minuti di tagli rispetto alle corrispondenti versioni in VHS), insieme ai documentari sull’attore, alle partecipazioni televisive e alle partecipazioni radiofoniche.
Quella del 1960 fu la sua ultima stagione teatrale, nella quale portò in scena la commedia Il porto di casa mia, scritta dal poeta Enrico Bassano; a 75 anni decise che era giunto il momento di lasciare il palcoscenico; sosteneva infatti che: “Il teatro è come una bella donna, bisogna lasciarla prima che sia lei a lasciare te“.
Nella sua avventura televisiva consegnò al pubblico i nomi degli attori che lo affiancarono anche sul palcoscenico. La loro bravura nel partecipare come “portatori d’acqua” (nella definizione di uno di loro: Daniele Chiapparino) fu fondamentale alla consacrazione del mito Govi.
A parte nomi noti come “Rina Gaioni – Gian Fabio Bosco – i suoi genitori Anna Caroli e Sergio Bosco, degli altri che ricordiamo restano ben poche notizie biografiche se non i loro nomi: Luigi Dameri (sua “spalla” principale), Enrico Ardizzone, Giorgio Bixio, Pina Camera, Anna Bolens, Ariano Praga, Myria Selva, Jole Lorena, Rudi Roffer, Nelda Meroni, Mercedes Brognoli, Franco Marchisio, Andrea Municchi, Pinuccia Galimberti, Pino Lonardi, Claudio D’Amelio, Nennele Pienovi.
Apparve ancora sugli schermi televisivi in qualche rara intervista e in diversi “Caroselli” del 1961, per una marca di tè, dove interpretava se stesso che dialogava col grottesco personaggio di Bàccere Baciccia, portiere di un caseggiato genovese, conosciuto per l’estrema tirchieria ma adorato dai bambini, che amava ripetere la frase: “Da quest’orecchio non ci sento… Dall’altro, così così”.
Va ricordato che la macchietta era ripresa da un’antica “maschera genovese“, quella, appunto, del “Baciccia“.
Nel 1962 si ammalò, ma continuò a tenere apparizioni pubbliche, soprattutto per ritirare premi.
Morì a Genova il 28 aprile 1966, a 81 anni.
I funerali, celebrati nella Chiesa di Santa Zita, videro la partecipazione di molte persone. Tra i presenti, anche Erminio Macario. Venne sepolto nel Cimitero Monumentale di Staglieno in Genova.
Alcune note sulla sua persona:
Dotato di grande talento artistico e forte degli studi compiuti all’Accademia delle belle art, usava disegnare grottesche auto caricature che delineavano compiutamente ogni ruga e riproducevano su carta il suo viso in ogni sua parte; poté sviluppare in tal modo un sistema originale per creare personaggi nuovi per le sue interpretazioni.
 
Il trucco di scena era il risultato di grande abilità e di un lungo e paziente studio. Le sue ispirazioni provenivano da una grande collezione di fotografie di personaggi più o meno noti, dei quali carpiva ora una barba o un pizzetto, oppure una ruga, una pettinatura o un’espressione che tornasse utile per creare un nuovo personaggio. Formidabile caratterista, era una miniera di fantasia.
All’apice della carriera era considerato un grande interprete: sapeva far muovere i suoi personaggi con una semplicità e una facilità solo apparenti; in realtà aveva la capacità e la spontaneità, un vero e proprio talento naturale, per far scaturire il riso anche con una sola espressione o un semplice ammiccamento.
I riconoscimenti:
 
 
Fu molto amato dai suoi concittadini; le opere pubbliche intitolate a lui all’ombra della Lanterna sono i Giardini Gilberto Govi, edificati negli anni ’80 nella zona di Punta Vagno, alla Foce, una scuola elementare nel quartiere di “Albero”, una scuola secondaria di primo grado a Quezzi e una sala del restaurato Teatro della Gioventù in centro, la cui programmazione è principalmente dedicata proprio al teatro dialettale genovese.
Anche il Teatro Verdi di Genova Bolzaneto, dopo una lunga ristrutturazione, ha riaperto i battenti con il nome di “Teatro di Rina e Gilberto Govi“. Esiste inoltre una compagnia dialettale a lui intitolata che continua a proporre le sue vecchie commedie, oltre a testi contemporanei in lingua genovese.
I coniugi Govi avevano abitato dal 1938 (la vedova Rina sino alla morte avvenuta nel 1984) il palazzo al n. 10 di Piazza della Vittoria al sesto piano, dove gli inquilini del palazzo hanno apposto una lapide commemorativa all’interno, nell’atrio.
Lo studio con i copioni originali battuti a macchina con tutte le annotazioni e correzioni aggiunte a mano da Govi e parte degli arredamenti “Issel”, le sculture di bronzo di Umberto Mastroianni, i numerosi premi, i ricordi, la nomina a “commendatore“, l’oggettistica quali bauli, le valigie, gli specchi e il tavolo del trucco, il gibbonetto di scena sono preservati presso il “Civico museo dell’attore” per volontà della vedova.
 
Dal 28 aprile al 28 agosto del 2016 è stata allestita alla “Loggia di Banchi” per volere del Comune una serie di eventi nel ricordo del 50mo anniversario della scomparsa del grande attore. L’evento ha raccolto un grande consenso e partecipazione anche da parte delle giovani generazioni, fattore importante questo anche per tramandare la memoria storica.
Dopo una iniziale sistemazione al “Museo di Sant’Agostino“, dal 19 ottobre 2017 è stata inaugurata la definitiva collocazione al Civico museo biblioteca dell’attore in via al Seminario.
 
Per gli appassionati  ricordiamo le sue commedie televisive:
Pignasecca e Pignaverde di Emerico Valentinetti (registrazione del 27 maggio 1957) 
Colpi di timone di Enzo La Rosa (registrazione del 14 marzo 1958) 
Impresa trasporti di Umberto Morucchio (solo terzo atto – registrazione del 28 marzo 1958) 
Quello bonanima di Ugo Palmieri (registrazione del 30 dicembre 1958) 
Sotto a chi tocca di Luigi Orengo (registrazione del 27 gennaio 1959) 
Maneggi per maritare una figlia di Niccolò Bacigalupo (registrazione del 10 febbraio 1959) 
Gildo Peragallo ingegnere di Enriciìo Valentinetti (registrazione del 10 luglio 1960) 
In Pretura, commedia di Giuseppe Ottolenghim, regia di Vittorio Brignole, trasmessa il 4 dicembre 1963
Commedie salvate solo in audio:
Articolo Quinto  di Ugo Palmieri (anche su disco) 
Tanto per la regola di Domenico Varagnolo (anche su disco) 
Parodi & C. di Sabatino Lopez (inedito, pubblicato nel 2004 su DVD) 
Porto di casa mia di Enric Bassano (inedito, pubblicato nel 2004 su DVD) 
I Gustavino e i Passalacqua di Emanuele Canesi (inedito, pubblicato nel 2004 su DVD)
 
E per chiudere una sua celebre frase: “Il ligure non è tirchio, è risparmiatore. C’è una bella differenza: l’avarizia è un peccato capitale mentre il risparmio è una virtù”.
Editorialista Pier Luigi Cignoli

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