Quanti di noi sono cresciuti con le poesie cantate da Fabrizio De Andrè. Tanti, e, tutti ci siamo innamorati degli stornelli, di quelle parole che riempivano il cuore e facevano brillare gli occhi. Il grande Faber era nato a Genoa nel 1940 e nei suoi quarant’anni di attività artistica ha inciso tredici album in studio.

Insieme ai suoi concittadini liguri come Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco, ha magistralmente rinnovato la nostra musica leggera, diventando un esponente di spicco della scuola Genovese. I testi delle sue canzoni sono storie di emarginati, poveri diavoli, di una società che viaggia verso una direzione contraria come le prositute di strada. I suoi brani sono diventate antologie scolastiche. Poesie nate dalla sua straordinaria predisposizione a rielaborare i testi, gli arragiamenti, i ritmi, gli strumenti.

Il suo modo di essere in una sfida temporale ultramoderna vive ancora oggi in mezzo a noi, a distanza di 20 anni dalla sua morte. Con Fabrizio De Andrè molte generazioni hanno lasciato un solco indelebile che rimanere percorribile nel valore universale, nei sentimenti collettivi.
Il suo respiro internazionale, come il mare che amava molto, non sono significati che dividono nell’imbarazzo, ma contrariamente uniscono e generano un’opera sempre bella da leggere e da scoprire.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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