Disperato

Il 9 aprile l’Italia è rimasta senza parole per il gesto folle di un uomo di nome Claudio Giardiello, un imprenditore che, occultando un arma da fuoco in un’aula di tribunale, ha sparato e ucciso tre persone nel corso di un’udienza nel Palazzo di Giustizia di Milano. L’uomo era stato chiamato a rispondere per bancarotta fraudolenta.

Riflettendo su quanto accaduto, tra voci più o meno forti che si sono levate a guisa di condanna, mi è tornato in mente il pensiero di Milton H. Erickson, uno dei più importanti psicoterapeuti e ipnoterapeuti del Novecento, che ha affermato: “Le cose non sono sempre quelle che osserviamo con gli stessi occhi ma possono mutare, a seconda dei punti di vista considerati. Una casa è una casa e non cessa di essere una casa, anche se guardata da punti di vista diversi, ma, è comunque una diversa casa”.

Così ho provato a cambiare prospettiva, e per quanto il gesto di Giardiello sia a pieno titolo “inconsulto”, “folle” e “condannabile”, l’aggettivo su cui mi sono focalizzata maggiormente è “disperato”. Ed è su questo punto che può essere utile scavare più a fondo, per vedere “una diversa casa”.

Nel nostro Bel Paese, un imprenditore di una piccola/media azienda che vuole lavorare in maniera onesta pagando le imposte e saldando i suoi debiti, si ritrova sulle spalle una tassazione che strangola e che, di certo, non agevola il lavoro. Si pensi che la Banca mondiale aveva stimato che in quanto a facilità con cui si avvia un’attività, l’Italia è al 90esimo posto su 189 paesi. Gli elementi che ci fanno perdere punti in classifica sono le tasse, la burocrazia e l’accesso al credito. Come se non bastasse, per il pagamento delle imposte siamo in 138esima posizione: i 15 versamenti che in media si fanno ogni anno portano via a un’azienda 269 ore, con un prelievo totale del 65,8% dei profitti; per l’ottenimento del credito siamo 109esimi.

Ora, esiste il problema dell’evasione: qualcuno la intraprende per “fare il furbo”, c’è chi evade perché altrimenti non arriverebbe a fine mese e c’è anche chi non è diventato evasore, ma è arrivato a pagare con la vita il costo di questa crisi che dura ormai dal 2007. Una lista nera di nomi che continuano ad aumentare, e sono i nomi di quegli imprenditori e di quei dipendenti che si sono tolti la vita perché il fisco non lascia respiro, perché una soluzione non si trova.

Rimane il fatto che evadere è sbagliato. Dunque cosa si può fare?

Le leggi non dovrebbero innescare un meccanismo di autodistruzione, e lo Stato dovrebbe proteggere e garantire i lavoratori. Quindi mi sono tornate in mente le parole di George Osborne, cancelliere dello scacchiere britannico, relative all’introduzione di una tassa per le multinazionali che eludono le imposte ponendo la propria sede fiscale in un altro paese: “Tasse basse, ma tasse pagate”.

E visto che da qualche parte bisogna iniziare, in Italia forse è il caso di partire proprio con l’abbassamento delle tasse e la tutela per chi lavora onestamente.

A cura di Silvia Pari

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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