Enrico Intra il jazz nel cuore

Certamente il pianista Enrico Intra è stato un musicista importante del dopoguerra, insieme agli altri suoi colleghi di quel periodo.
Il sodalizio artistico accreditato con il suo amico di vecchia data, Franco Cerri, noto chitarrista, si è tradotto in una collaborazione protatta nel tempo, dando i suoi frutti persino nella nascita della Civica Scuola Jazz di Milano, dove Intra diviene il responsabile dei corsi di Musica Jazz, di Composizione e di Improvvisazione. Ma anche l’amico Franco Cerri non è da meno, egli collabora all’insegnamento della chitarra jazz e di tutte le tecniche. La chitarra jazz è il termine esatto sia per quella acustica o elettrica, concepita negli anni Trenta, che nasceva dall’esigenza di amplificare il suono dello strumento all’interno delle big band. I chitarristi jazz, infatti, potevano semplicemente limitarsi a suonare gli accordi sulla chitarra acustica senza potersi esibirsi assoli, vista la poca potenza sonora dello strumento.

Inoltre il pianoforte ha anch’esso la sua importanza nella Musica Jazz, il jazz piano è un termine collettivo per indicare l’insieme delle tecniche utilizzate dai pianisti quando si suona jazz. Per estensione, l’espressione si può riferire anche alle stesse tecniche impiegate su un qualsiasi strumento con tastiera. Il pianoforte è stato una parte fondamentale del jazz dalla sua nascita, sia in contesti di solistica che nei complessi “big band”. Il suo ruolo è fondamentale per la sua capacità e estensione in ambito sia armonico che melodico. Proprio grazie alla linearità con cui è possibile costruire gli accordi su questo strumento, è spesso indispensabile nella comprensione della teoria del jazz e dell’arrangiamento per i musicisti ed i compositori di questo genere.

Ora non mi resta che parlarvi di questo pianista milanese, Enrico Intra.
Parlare dei musicisti italiani è sempre difficile nel nostro panorama musicale, ve ne sono tanti.
Un musicista è un artista che fa un lavoro certosino, nel senso che prende in esame dalla Musica contemporanea, tutta l’arte del secolo del Novecento e non solo. L’artista quindi è un musicista completo, in teoria non esiste un musicista jazz, ma un musicista.

Chi è Enrico Intra.
È divenuto nel tempo un personaggio e un musicista noto alla sua Milano e in molte regioni italiane. È docente e band-leader della Civica Orchestra Jazz di Milano, con la quale ha tenuto nel maggio 2008 uno spettacolo-omaggio dedicato al pianista Duke Ellington. Ideatore di un approccio nuovo e in chiave strettamente afro-europea al jazz moderno, è musicista di fama internazionale, fratello del noto pianista, arrangiatore e direttore d’orchestra Gianfranco Intra, conosciuto anche per la sua attività di organizzatore rassegne e Festival Jazzistici. Ha collaborato con diversi artisti di fama della canzone italiana, Giunni Russo, Franco Cerri, Pupo De Luca, Iva Zanicchi, Severino Gazzelloni, Claudio Cusmano, Bruno De Filippi, Marco Ratti, Pino Presti.

I suoi brani sono stati interpretati da colleghi di talento come il flautista Severino Gazzelloni, il trombettista Chet Baker, Milt Jackson e il baritono sassofonista Gerry Mulligan, con il quale ha inciso la suite Nuova Civiltà, contenuta con altre sue composizioni nell’opera discografica “Gerry Mulligan ‘Meets Enrico Intra ‘”.

Intra inizia la propria carriera musicale in giovane età. Nel 1960 partecipa al concorso radiofonico “La Voppa del Jazz“. Agli inizi degli anni Sessanta assieme a Gianni e Angelo Bongiovanni, è cofondatore “dell’Intra’s Club“, e apre, in società con Piero Sugar, figlio di Ladislao allora proprietario della CGD, “L’Intra’s al Corso“, altro locale milanese attivo fino alla fine degli anni Sessanta e situato al Teatro del Corso che ospitava tra gli altri il “Living Theatre” e qui Intra è Sugar vi scoprirono la cantante Caterina Caselli, allora bassista di uno dei gruppi invitati a suonare.

Nei primi anni Settanta Enrico Intra si esibisce in una serie di concerti con il flautista Severino Gazzelloni, che dopo una prima parte classica nella quale era accompagnato da Bruno Canino, si inseriva nel tessuto jazzistico preparato dallo stesso Intra al pianoforte, con la formazione composta da Giancarlo Barigozzi sassofonista, Pino Presti al basso elettrico, Tullio De Piscopo alla batteria e Sergio Farina alla chitarra. Nell’anno 1976 / 1977 il pianista milanese collabora con la cantante Russo, per la quale aveva già diretto l’orchestra al Festival della Canzone Italiana, nel 1968 con il brano No Amore.

Maria Antonietta Sisini, Cristiano Malgioglio e Italo Ianne nella composizione del singolo “Silence” e la successiva opera discografica “Silence and Other Sounds” della cantante Roxy Robinson, già componente femminile dei gruppi “Quarto Sistema” e “Nuovo Sistema”. Negli anni Ottanta Intra è impegnato con i Civici Corsi di Jazz collegati all’attività della Civica Jazz Band milanese, collegata anche al Piccolo Teatro di Milano e da cui è uscito tra l’altro il trombonista Mr. T-Bone. Con Cerri e con il musicologo Maurizio Franco si dedica alla direzione dell’Associazione Culturale Musica Oggi, premiata nel 2003 con l’Ambrogino d’Oro, come responsabile istituzionale dei corsi jazzistici.

Assieme ad altri musicisti, come Markus Stockhausen, Roberto Fabbriciani, Mauro Negri, Marco Vaggi e Franco D’Andrea nella seconda metà degli anni Ottanta, Intra, avvia il progetto “Sound Movie”, che si basa sull’improvvisazione totale, suonata durante la proiezione del film del cinema espressionista dell’epoca del muto, “Nosferatu”, ‘il Vampiro’ del regista Murnau, e “Metropolis” del regista Fritz Lang. Enrico Intra, con Franco Cerri, Carlo Garofano, Alex Stangoni, Marco Vaggi e Tony Arco tiene concerti in ensamble e in trio, in varie parti d’Italia. Il pianista milanese influenzato culturalmente dalla Musica Classica, non ha perduto il legame e lo Swing restando ancorato anche a certa Musica Leggera di qualità, oltre alla direzione d’orchestra, l’esperienza del brano Paopop, presentato alla manifestazione musicale “Un Disco per l’Estate” del 1975, e di “Popjazz”, brano composto per il Fesivalbar.

In chiave compositiva, fin dalle prime, originali opere in chiave Bebop, Classica Jazz e la Strada del Petrolio. Enrico Intra ha voluto uscire dagli schemi formali ed espressivi consolidati per dare spazio alla ricerca concernente il rapporto fra suono ed elettronica e alla rivisitazione dei vari generi musicali, non esclusa la musica sacra e nel canto gregoriano. Enrico Intra partecipò per cinque edizioni al Festival della Canzone Italiana di Sanremo, dal 1965 al 1972, e fu direttore musicale di Domenica In, dal 1977 al 1978.

Distaccandosi dal jazz tradizionale; questo nuovo capitolo della sua carriera segna l’incontro tra passato e presente il pianoforte è il vascello acustico sul quale solca onde elettroniche che si sostituiscono ad un canonico ensamble jazz. Le atmosfere oniriche e le ritmiche prodotte ad hoc da Alex Stangoni chitarrista, tecnico del suono e performer nell’ambito del live elettronico, permettono al Maestro di superare le divisioni tra i generi, liberandosi dalle loro gabbie. L’improvvisazione e pura, istantanea, una musica verticale che si contrappone alla classica interpretazione orizzontale. Ecco che così l’esecutore diventa il tessitore di un nuovo e sorprendente concept album.

Le sue composizioni si configurano come vere sfide a schemi formali ed espressivi consolidati, spaziando tra molteplici generi musicali senza perdere però la riconoscibilità artistica. Decano del pianoforte jazz, Enrico Intra ha attraversato da protagonista mezzo secolo di musica realizzando storici album quali “Archetipo”, “Messa d’Oggi”, “Nuova Civiltà”, con il grande sassofonista baritonista Gerry Mulligan. Dalla seconda metà degli anni Ottanta si avvicina al mondo della Musica elettronica, elaborandone un utilizzo sempre originale e del tutto personale. In questo percorso, Intra dimostra la sua duttilità e versalità, e la capacità di dialogare, musicalmente parlando, con le nuove generazioni.
Significativa il tal senso è la sua attività per “Sound Project”, e nello specifico nelle performance del musicista Alex Stangoni. Oltre alla pluriennale partecipazione al JazzMi e Piano City, il Maestro ha portato in scena “L’importanza di chiamarsi Enrico”, insieme al trombettista Enrico Rava e al pianista Enrico Pieranunzi per un concerto speciale, con brani originali dei tre grandi jazzisti e altri provenienti dal sonbook italiano. La Teste Rec etichetta indipendente di Milano di musica elettronica, partendo dal desidero di diffondere l’ibrido della musica elettroacustica, trova in Intra la voglia di sperimentare nuovi confini sonori, con l’obbiettivo di fondere la libertà d’improvvisazione di matrice jazzistica con i canoni della musica elettronica moderna”.

I mass media si interessano all’attività del musicista milanese tant’è che il quotidiano del Corriere della Sera a firma della giornalista Roberta Scorranese, scrive un’articolo in data 16 aprile 2021, intervista al Maestro Enrico Intra.
“Enrico Intra: “Il jazz è stato la mia vita. Ma solo ora, a 85 anni sto imparando ad ascoltare gli altri”.

“Nato a Milano nel 1935. Quando il jazz era proibito in Italia”.

“Enrico Intra: “Si, come altre cose americane. Ma quella musica arrivava clandestinamente, spesso con i pianisti che suonavano sulle navi. Contrabbandavano vinili”.

“Chi era il “pusher” dei dischi jazz in casa, Intra?”.

Enrico Intra: “Gli amici di mio fratello Gianfranco, che allora già suonava e che poi sarebbe diventato un bravo direttore d’orchestra. Provi a immaginare. Un mondo dominato dal melodico che viene sconvolto dall’incursione indiavolata della percussioni”.

“Non ci erevate abituati”

“Enrico Intra: “No, anche perché la musica europea non aveva al centro le percussioni, che erano proprie di altre sensibilità – penso a quella africana o alla cubana. Ma quella musica ci colpiva al cuore, forse anche perché età proibita. Fatto sta che quando ero piccolo e ascoltavo Duke Ellington mi sentivo un “carbonaro della bellezza”.

“Poi arrivò la guerra e la musica venne messa da parte”.

“Enrico Intra: “Non proprio. Continuavano ascoltarla, anche perché – per noi come per molti altri – era un modo di coltivare una certa dignità. Anche davanti alla morte. Ricordo benissimo le persone che si vestivano di tutto punto prima di scendere nei rifugi, durante I bombardamenti. Mio fratello Carlo, più grande, metteva la cravatta. Solo più tardi ho capito perché. Quando poi fummo costretti a trasferirci da sfollati nel paese di mio padre, nel cremasco, portammocon noi il pianoforte. Quel traslocco lo facemmo a cavavallo: entrammo paese con il piano maestoso sulle spalle”.

“Dove avete vissuto da sfollati?”

“Enrico Intra: “In una scuola occupata per tre anni, dal 1942 al 1945. Io già suonavo, come anche i miei due fratelli. Non eravamo una famiglia di intellettuali anzi: papà faceva l’artista in una grande industria svizzera, Mamma Anita amava la musica e così volle far avvicinare anche noi a quel mondo. Il problema però è che mio fratello Gianfranco decise di farne una professione”.

“Perché un problema?”.

“Enrico Intra: “Perché non eravamo ricchi. E “un musicista in casa basta e avanza”, dicevano i miei. Così il mio destino appariva segnato: operaio o impiegato”.

“Niente conservatorio?”.

“Enrico Intra: “No, mi mandarono ha fare il fattorino, poi mi iscrissero alle Commerciali, come di diceva allora. Ma io continuavo a suonare, spesso accompagnavo mio fratello che mi presentava come un piccolo genio. Forse quella è stata la mia salvezza: sin da bambino mi sono sforzato di essere originale, di comporre musica mia di dedicarmi al vero senso del jazz, che è l’improvvisazione. Devo tutto a quella decisione dei miei”.

“Prima band a diciassette anni”

“Enrico Intra: “Suonavamo nelle sedi dei partiti, pensi un pò. Il partito socialista ci apriva le porte e in generale tutta la sinistra. Se era un strumento politico? Ma certo. La sinistra del dopoguerra cercava un’identità nuova, spendibile, e la trovava anche in un certo tipo di musica, vista come rivoluzionaria”.

“All’epoca in Italia le orchestre jazz erano tutte da inventare”.

“Enrico Intra: “Pensi che il contrabbasso spesso era finto. Nel senso che compariva nella band ma colui che fingeva di suonarlo in realtà cantava. Poi il jazz è soprattutto improvvisazione e, mi creda, questa è una cosa difficilissima”.

“Che cosa vuol dire vivere improvvisando?”

“Enrico Intra: “vuol dire che quella nota, quel suono deve arrivare nel momento giusto. Quei brani nascono e muoiono in un istante, vivono per quel momento. A differenza della musica codificata, che si esegue dal pentagramma, non c’è scampo: o ci si sta dentro oppure no. E bisogna stare molto attenti a non piacersi troppo: se ti piaci rischi di fare sempre le stesse cose e allora diventi ripetitivo vale anche per la vita”.

“E anche per questa fatica creativa, secondo lei, che molti musicisti jazz si dono abbandonati agli stupefacenti?”.

“Enrico Intra: “penso di sì, soprattutto se questa musica la fai a livelli altissimi. Il successo ti appare fragile, sempre sul punto di svanire, proprio perché è una mescolanza di emarginazione, riscatto e orizzonte da superare. Non c’è nulla di certo, nulla di codificato. Me lo ricordo bene quando venne Billie Holiday a Milano. Il concerto fu un flop, ma al ristorante me la ritrovai accanto con una intera bottiglia di gin che terminò prima della fine della serata”.

“Perché il concerto di Billie Holiday fu un flop?”

“Enrico Intra: “Perché quella musica, agli inizi, era difficile da capire. Un pò come i primi concerti di Frank Sinatra: andarono male. Noi suonavamo alle sue spalle dietro il sipario. A parte questo, il jazz ha sempre avuto, nel nostro paese, il problema dell’ascolto. Era percepita come una musica di sottofondo, che ascoltavi nei locali dove andavi per mangiare, bere o parlare con gli amici”.

“È stato per dare dignità al jazz che lei cambiò volto ad un locale e nel 1962 fondò l’Intra’s Derby Club, poi diventato famoso come Derby?”

“Enrico Intra: “Si, volevo uno spazio cui la poesia che vedevo in certi artisti fosse libera di esprimersi. Arrivarono Janacci e Fo, per dire. Non mi devono nulla, ma per loro è stato un punto di riferimento altrimenti assente.
Bruno Munari ci disegnava i manifesti con Franco Cerri abbiamo suonato tanto. Al Derby sono passati i più grandi musicisti (da Coltrane ad Aznavour, ndr) ma quello che per me contava era creare una zona franca per la musica e soprattutto per la sua originalita”.

“Copiamo tanto?”.

“Enrico Intra: “Troppo. E non guardiamo ai talenti che abbiamo. Io dagli anni Ottanta sono impegnato con i Civici Corsi di Jazz qui nella scuola di Milano. Mi creda: noi italiani non sappiamo guardarci bene, e come se ci mancasse un pò di sano orgoglio. E non è campanilismo, è semplice obiettività”.

“Mi racconta un suo insuccesso clamoroso?”.

“Enrico Intra: “Avevo meno di trent’anni, ero abituato alle serate al Derby con trenta persone quando Remigio Paone mi propose tre serate di concerti al Teatro Odeon. Più di mille posti. In salata ci furono quindici persone . Un dramma per me. Però capii tante cose. Che la mia era musica particolare, che non dovevo essere avveduto”.

“Lei ha dedicato una vita alla musica. Che cosa ha perso?”.

“Enrico Intra: “Moltissimo. E lo capito tardi. Ho ascoltato solo musica e me stesso, musica e me stesso. Non ho saputo ascoltare gli altri, nemmeno i mie famigliari. Adesso, a ottantacinque e passa anni, stoncercando di recuperare. Cerco di sorprendermi per qualcosa, da una vetrina ben allestita al suonò di una voce attraverso il telefono, visto che io sono nato in un’epoca in cui certe cose nemmeno si immaginavano”.

“Però lei è felicemente sposato da più di cinquant’anni con due figli”.

“Enrico Intra: “Mia moglie Fiorenza è stata la mia salvezza. Colta brillante, intelligente. Colma le mie lacune. Mi parla di Dante, per dire, quando io conosco solo la musica”.

“Come vi siete conosciuti?”.

“Enrico Intra: “Non avevo nemmeno trent’anni, stavo suonando al Derby assieme al Renato Sellani. Vedo entrare questa bellissima ragazza. Non ci penso due volte. Dico a Renato: vai avanti da solo, che io mi sposo. Mi avvicinò e le dico: signorina, io sono un uomo solo ma felice, mi manca soltanto una cosa, il profumo dell’arresto la domenica”.

“Fiorenza la prese per pazzo, immagino”.

“Enrico Intra: “No, invece capì quello che volevo dire, che non c’entra niente con il maschilismo, anzi. Quello che le stavo dicendo è che volevo una famiglia, volevo cucinare l’arrosto con una persona cara nei miei giorni di festa. Lei colse subito il senso delle mie parole. Era il 20 marzo. A metà aprile, nemmeno un mese dopo, ci siamo sposati”.

“Infondo con Fiorenza ha fatto quello che sa fare meglio: ha improvvisato”.

“Enrico Intra: “Si, mi è andata benissimo”.

“Qual è stata la gioia più grande della sua vita?”.

“Enrico Intra: “Sul serio? Quando l’Inter ha vinto il Tripede”. (Questa però non è improvvisazione, è follia assoluta).

A cura di Alessandro Poletti – Foto Repertorio

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui