Il premier Mario Draghi con il presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen

Quasi dodici ore di trattative, poi, l’accordo. È ormai uno stile quello che l’Europa sembra essersi data di fronte alle grandi sfide di questi anni: dopo la pandemia, quella che Putin ha sferrato dal febbraio scorso. Il mercato dell’energia andrà ad assumere una forma diversa: vengono previsti acquisti comuni del gas, price cap e, forse, un nuovo Sure. Ma tutto a dosi omeopatiche, in modo che i ventisette possano dire di aver avuto ciò che volevano e che l’unità dell’Unione europea è salva.

La Commissione riceve formalmente il mandato di costruire una piattaforma aggregata per negoziare gli acquisti di gas – partecipare alla quale è lasciato alle volontà dei singoli Paesi, ma obbligatoriamente per il 15% del volume totale degli stoccaggi in Europa. La Commissione europea potrà finalmente adottare “decisioni concrete” sul price cap al Ttf di Amsterdam, ma a condizione che sia temporaneo, di ultima istanza e che non metta a rischio le forniture. I leader hanno dato mandato alla Commissione e ai ministri dell’Energia anche di fare “un’analisi dei costi e benefici sulla misura” che, per compensare il differenziale tra prezzo amministrato e prezzo di mercato, comporterebbe un peso eccessivo sui conti pubblici di diversi Paesi membri.

È, in sostanza, questo modello iberico – sostenuto dalla Francia ma non dalla Germania – che potrebbe aprire la strada ad un nuovo Sure sull’energia. Tra le misure, infatti, figura “la mobilitazione di rilevanti strumenti a livello nazionale e Ue” con l’obiettivo di “preservare la competitività globale dell’Europa per mantenere il level playing field e l’integrità del mercato unico”.

Secondo Palazzo Chigi, tutto questo dimostra che le proposte italiane sono state accolte. Mario Draghi, lasciando Bruxelles, sottolinea: “E’ andata bene“. L’accordo, infatti, mette nero su bianco “l’urgenza delle decisioni concrete” da prendere sul gas con una serie di misure che includono la piattaforma di acquisti comuni e un nuovo benchmark complementare al Ttf.

La lettura dell’accordo è totalmente diversa se fatta attraverso le parole del premier olandese Mark Rutte o quelle del cancelliere tedesco Olaf Scholz, che hanno lasciato il vertice commentano che non ci sarà bisogno di nuovo debito comune, perché i soldi in cassa bastano e avanzano e che insomma si vedrà più avanti. Nel mezzo si è messo Emmanuel Macron secondo il quale le opzioni di Bruxelles sono due: uno Sure 2 oppure utilizzare i prestiti ancora disponibili (circa 200 miliardi) oggi nel quadro del RePowerEu, “dando un po’ di flessibilità”.

Molti Paesi hanno chiesto maggiore impegno da parte dell’Unione europea, anche per evitare la frammentazione del mercato unico e dare aiuto a imprese e famiglie in modo pan-europeo. La Commissione per ora mette sul tavolo i 40 miliardi di euro rimasti inutilizzati dal bilancio 2014-2020, un quinto di quanto stanziato dalla sola Germania, è quasi certo che non basteranno e allora si vedrà se il nuovo debito comune potrà venire alla luce.

A cura di Elisabetta Turci – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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