Si sono riaperte le indagini sul delitto di via Poma, uno dei casi di cronaca nera più misteriosi degli ultimi trent’anni. Simonetta Cesaroni, la giovane donna uccisa con 29 coltellate e senza un movente, nell’assolata calma estiva di una Roma quasi deserta, il 7 agosto 1990, torna nella aula del tribunale.
A distanza di quasi tre lustri da quella vicenda, un colpevole non è stato ancora trovato, nonostante le lunghissime indagini e i vari processi succedutisi nel tempo.

Simonetta era una ragazza di 20 anni e svolgeva il lavoro di segretaria presso l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, per conto dello studio commerciale Reli Sas. Fu trovata senza vita, con numerose ferite di arma da taglio su tutto il corpo, all’interno di uno stabile in via Carlo Poma 2, nel centralissimo quartiere Prati di Roma, dove aveva sede l’associazione per cui faceva la contabile.

L’ultimo contatto di Simonetta risale alle 17,30 di quello stesso giorno d’estate, quando effettuò una telefonata a Luigia Berrettini. Per le 18,30 avrebbe dovuto parlare, sempre al telefono, con il proprio datore di lavoro, Salvatore Volponi, ma la chiamata non fu mai effettuata. I familiari, preoccupati dalla sua assenza, cominciarono a cercarla intorno alle 21,30. La sorella Paola Cesaroni e il fidanzato di lei, accompagnati da Volponi, si recarono nell’ufficio di via Poma, dove immaginavano di trovarla. Qui, dopo aver chiesto alla moglie del portiere di farsi aprire la porta, trovarono il cadavere di Simonetta alle 23,30.
Le prime indagini, tra cui l’autopsia, appurarono che l’orario della morte era da collocarsi tra le 18 e le 18,30.

Il corpo della Cesaroni fu trovato con molti segni di arma contundente, oltre a un morso su un capezzolo. Le stanze dello studio non risultavano in disordine. Si sospetta che l’arma utilizzata per l’omicidio sia stata un tagliacarte. Alcuni abiti (fuseaux sportivi blu, la giacca e gli slip) erano stati portati via, oltre a molti effetti personali, mai più ritrovati; tra questi, gli orecchini, un anello, un bracciale e un girocollo, tutti d’oro.

Solo l’orologio le rimane al polso. Completamente nuda, fu lasciata con il reggiseno allacciato ma calato sul basso. Il seno era quindi scoperto e il top le era stato appoggiato sul ventre, per coprire le ferite che poi si rivelarono mortali. Altra eccezione rispetto alla nudità in cui fu trovata, indossava ancora i calzini bianchi corti. Le scarpe da ginnastica erano riposte ordinatamente vicino alla porta. Le chiavi dell’ufficio, che aveva nella borsa, non furono mai più ritrovate.

Tra i primi indiziati del delitto, poi ritenuto principale accusato, uno dei portieri dello stabile di via Poma, Pietro (detto Pietrino) Vanacore, fermato dalla polizia tre giorni dopo il delitto. Trascorsi 26 giorni in carcere, il suo avvocato ne otterrà il rilascio, nonostante pesanti sospetti continuassero a gravare su di lui, prima come possibile responsabile del delitto, poi come favoreggiatore o testimone muto dell’uccisione. A livello di indizi, tuttavia, si riscontrò fin da subito l’assenza di tracce del Dna di Vanacore nel sangue ritrovato sulla maniglia della porta della stanza dove fu rinvenuto il corpo di Simonetta, fatto che scagionerà il portiere. Sui suoi pantaloni vennero però ritrovate tracce di sangue ma la risultanza non costituì un potenziale indizio dal momento che l’uomo soffriva di emorroidi.

Vi sono comunque alcune incongruenze che hanno pesato sull’alibi di Vanacore, come la sua assenza dal cortile dello stabile (dove erano presenti gli altri portieri del palazzo) nell’orario in cui si sarebbe compiuto il delitto (tra le 17.30 e le 18.30). Inoltre, è stato verificato che alle 22,30 Vanacore si è recato in casa dell’architetto Cesare Valle, l’unico a essere presente nella scala B del condominio di via Poma oltre a Simonetta. L’architetto Valle dichiarerà tuttavia che il portiere è arrivato a casa sua alle 23,00. Nessun altro estraneo fu visto entrare o uscire dallo stabile in quel pomeriggio di 32 anni fa.

Il 9 marzo 2010 Vanacore si è suicidato, lasciandosi annegare; ha lasciato un messaggio su un cartello: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”. Tre giorni dopo avrebbe dovuto deporre all’udienza del processo per l’omicidio della ragazza a carico di Raniero Busco. Le indagini svolte dopo il suicidio di Vanacore hanno determinato che il portiere è arrivato a quel gesto estremo “di sua spontanea volontà”.

Tra gli indagati per l’omicidio, nei primi mesi dopo la morte di Simonetta Cesaroni, c’era anche Salvatore Volponi, il suo datore di lavoro, la cui posizione fu però chiarita dopo alcuni mesi. Fu coinvolto anche Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle (unica persona, oltre alla vittima, presente nello stabile il giorno dell’omicidio). Entrò nelle indagini a causa di una testimonianza fornita dall’austriaco Roland Voller, che aveva dichiarato agli investigatori di sapere chi avesse ucciso Simonetta.

Voller riferì, in particolare, di essere entrato in contatto con Giuliana Valle, ex moglie di Raniero, il figlio dell’architetto che abitava nello stabile del delitto. Giuliana, nello specifico, avrebbe rivelato a Voller che suo figlio Federico, in quel tragico 7 agosto 1990, sarebbe tornato a casa sporco di sangue, segno evidente – nella testimonianza di Voller – della sua colpevolezza. Il movente dell’omicidio starebbe nella gelosia di Federico per la presunta relazione amorosa tra suo padre e la vittima.

Nonostante Giuliana Valle avesse ammesso di conoscere Voller ma di non avergli mai fatto quella confidenza, l’ipotesi non resse, data anche la scarsa attendibilità dell’austriaco come informatore della polizia. Inoltre, da una perizia svolta sul corpo di Federico Valle, verrà esclusa la presenza di cicatrici o altri eventuali segni di colluttazione con Simonetta. Il 16 giugno 1993 il gip prosciolse Valle per non aver commesso il fatto.

Si riparte, anzi si ritorna indietro di 30 anni, per fare luce con coscienza su chi può avere ucciso con delirio una ragazza romana che si era ritagliata la sua prima occupazione per avere un futuro di donna emancipata.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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