Anche Lucio Dalla, prima di dirci addio, aveva esortato agli amici intimi di Bologna: Nulla è eterno. E, così come un paradosso lo è anche per i Rolling Stones. È morto ieri, alle prime luci del mattino Charlie Watts. Il celebre batterista della più grande rock band del pianeta,  aveva 80 anni ma non li dimostrava. Il volto affilato ed elegante, il sorriso enigmatico, la postura composta dietro ai tamburi, si diceva fosse uno che non amava troppo le  feste, vizi si , il lato meno trasgressivo della linguaccia. Aveva confessato di aver sbandato un po’ negli anni 80 causa confidenza eccessiva con droga e WISKY, ma Watts era quello con la passione per i vestiti dei sarti di Savile Row (altro che le paillettes di Mick o il look piratesco-tzigano di Keith), quello che alle groupie preferiva la fedeltà alla moglie Shirley, conosciuta prima del successo e sposata nel 1964, quello meno presente nel gossip e nelle cliniche di rehab.

Watts era nato a Londra nel 1941, aveva subito messo le mani sui dischi jazz che giravano in famiglia e a 14 anni aveva iniziato a suonare la batteria. Negli anni del liceo erano arrivate le prime band e nelle frequentazioni dei locali rhythm and blues di Londra aveva conosciuto Jagger, Richard, Jones e Stewart, il nucleo originario dei Rolling Stones cui si sarebbe unito nel 1963 per dare vita alla rivoluzione che ha travolto non solo la musica ma anche la società. In parallelo ai mega tour con gli Stones, Watts aveva mantenuto la sua passione per il jazz. Nei momenti di stacco dalla grande macchina si dedicava a progetti come l’ultimo «ABC&D of Boogie Woogie» che lo aveva portato ad esibirsi nel 2011 anche al Blue Note di Milano. E da qui nasceva più che il virtuosismo o la muscolarità la capacità di essere ricercato senza darlo a notare.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Getty Image
Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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