Siamo, pare di capire già entrati nella campagna elettorale, con i partiti di destra, centro e sinistra che devono ancora definire i propri contorni e se a destra la questione è quella della leadership, a sinistra si è assistito alla fine del cosiddetto campo largo che comprendeva anche il movimento di Giuseppe Conte, unico responsabile sulla caduta del Governo Draghi. Il segretario del Pd Letta lo aveva chiarito immediatamente dopo lo strappo di Conte, ieri lo ha ribadito Lorenzo Guerini nonostante qualche voce dissidente, come quella di Goffredo Bettini che il campo largo se lo era ideato.
La partita politica sembra essersi spostata verso il centro, in senso geometrico, visto l’affollamento di nomi e di formazioni che rivendicano questo posizionamento, ma che tra loro non possono e non vogliono per ora avere un confronto: Calenda, Renzi, da pochi giorni anche Di Maio, ma pure Toti e altri ancora. I sondaggi sono però appaiono spietati, l’unica formazione che pare avere un consenso in crescita sembra essere Azione con +Europa, accreditati circa del 5%. Gli altri partiti che rivendicano il posizionamento centrale non vanno oltre il 2 – 2,5%, ben al di sotto della soglia di sbarramento prevista dalla attuale legge elettorale.
Calenda diventa quindi il principale protagonista del Pd che abbandona ufficialmente l’alleanza con Conte e con ciò che resta del Movimento 5 Stelle. Il corteggiamento è subito iniziato, basato sulla cosiddetta ‘Agenda Draghi‘: in sostanza sulla continuità con l’azione del governo appena caduto, europeismo senza compromessi.
Al di là delle denominazioni, il cammino per il Pd si presenta assai disagevole, l’esempio lo ha offerto proprio Carlo Calenda che intervistato ieri sera a Tg2 Post ha chiarito le sue ‘condizioni’: la fatidica ‘Agenda Draghi’, come terreno d’incontro di un ‘rassemblement’ elettorale chiama in causa “le forze che hanno la credibilità di avere scelto l’area Draghi prima di Draghi, che ha detto di fare le cose che sappiamo si devono fare”, ha concesso l’ex candidato a sindaco di Roma, e l’identikit comprende certamente il Pd perché è tra “quelli che sono sempre stati su questa linea”.
Poi ci sono gli altri interlocutori del Pd, e lì le condizioni di Calenda si fanno strette: “Con Renzi – dice allora il leader di Azione, sollecitato dal direttore dell’Agi, Mario Sechi, ospite in studio – non ho parlato molto ultimamente. Abbiamo fatto scelte molto diverse. “Con Di Maio non mi vedrete mai discutere – osserva ancora Calenda – Posso farlo quasi quasi con tutti ma con lui… Poi – annota – se ci vuole parlare il Pd…”.
Passando all’altro lato dell’dell’emiciclo parlamentare, fino a prima di mercoledì 20 luglio Calenda non aveva mai escluso di poter trovare un’intesa anche con Forza Italia, ora le cose sono cambiate, la delusione è stata forte: “mi sono moltissimo stupito di Forza Italia. Devono avere detto a Berlusconi qualcosa di sconvolgente”.
“In questo marasma, l’unico criterio è mettere giù delle priorità, ad alcune condizioni”, una serie di disponibilità condizionate che Calenda inquadra rivendicando che “stare soli, se combatti una bella battaglia, è entusiasmante. E vale sempre che è meglio stare soli che male accompagnati”. Il Pd, da Enrico Letta in giù è avvertito.
Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Imagoeconomica