Nella giornata dedicata alle persone con disabilità, non potendo dar voce a tutte, ho scelto di portarvi la testimonianza di un uomo, un uomo coraggioso, nato “abile” e diventato “dis-abile” per una grave malattia che l’ha colpito all’età di 36 anni. Il suo nome è Paolo Vezzani.
Paolo è un vulcano di energia, la sua voglia di continuare a vivere nonostante “gli manchi un pezzo”, come dice lui, è inarrestabile e contagiosa. E io, inevitabilmente, dal suo entusiasmo sono stata contagiata. Soprattutto perché è un entusiasmo consapevole, rispettoso, pregno di quella sensibilità che solo chi tocca con mano gli effetti nefasti dell’ineluttabilità del destino e ne porta sul corpo le conseguenze, può avere, e donare.

“Ero un uomo semplice, avevo la mia vita, il mio lavoro, una famiglia che mi amava e una fidanzata con la quale stavo iniziando a costruire un futuro”, mi racconta Paolo. “Facevo l’agente di commercio, e trascorrevo moltissime ore in auto, alla guida. Ad un certo punto ho iniziato a sentire dei dolori, facevo un po’ di fatica a camminare, ma davo la colpa alle troppe ore trascorse alla guida. Ho sopportato, finché un giorno non mi sono trovato caduto a terra. Per fartela breve il medico che ho contattato mi ha prescritto di fare tac e risonanza. Dalle quali è risultato che avevo un tumore, e pure di quelli brutti: un condrosarcoma”.

Paolo continua il racconto della sua storia, quella che l’ha portato di punto in bianco a vivere una vita che non si sarebbe mai immaginato, e che l’ha obbligato a fare i conti non solo con la malattia, ma anche con gli ospedali, quelli di cui fino a poco tempo prima aveva paura.
“Ho passato tanti di quei mesi in ospedale che non hai idea: dopo la prima operazione che ha portato alla ricostruzione del bacino, una cellula ha deciso di partire per la tangente e alla fine mi hanno dovuto amputare la gamba. Poi ho avuto una recidiva che mi ha colpito la vescica, e giù altri mesi di ospedale. E non ti credere… il fatto che ora te ne parli così con questa forza mica significa che siano stati semplici! Ho avuto dei momenti di buio e di sconforto, ma poi mi dicevo: meglio con un pezzo in meno ma vivo! Prima ancora di essere operato avevo deciso di chiudere la relazione con la mia ragazza, perché non sapevo se sarei stato in grado di garantirle un futuro sereno. Ho avuto sempre vicina la mia famiglia, in modo particolare mia mamma; ma soprattutto non ho mai smesso di credere nei miei sogni e di coltivare la mia grande passione: il motociclismo. Ce la mettevo tutta perché dovevo ristabilirmi in fretta per andare a vedere le gare di MotoGP; tanto lì c’era il Dottor Costa, carissimo amico: se avessi avuto bisogno di assistenza, con lui sarei stato al sicuro!”.

Paolo mi racconta poi che in ospedale, dopo aver subito l’ennesimo intervento, i medici, che si erano certamente accorti del suo atteggiamento positivo e propositivo, lo mettevano in stanza con persone che avrebbero dovuto affrontare operazioni importanti e delicate: Paolo, sarebbe diventato il loro faro. E ancora oggi, a distanza di anni, nonostante la sua vita sia scandita da controlli continui, Paolo si dedica a dare sostegno emotivo e motivazionale a quanti si trovano in condizioni analoghe, senza possibilità di scelta, se non quella di continuare a vivere, nonostante tutto, “perché non soffrano quello che ho sofferto io”.

Dalla sua esperienza e dal rapporto di stima che si è instaurato coi medici che l’hanno seguito fin dall’inizio, in modo particolare il Dott. Massimiliano De Paolis (primario dell’oncologia ortopedica dell’Ospedale Sant’Orsola) e il Prof. Donati (primario della Terza Clinica ortopedica con indirizzo oncologico del Rizzoli), è nata la ARCS Onlus, un’ associazione senza scopo di lucro, che promuove finalità di solidarietà sociale nei confronti di persone affette da un tumore dell’apparato muscoloscheletrico: assistenza socio-sanitaria, beneficienza, anche finanziaria, a soggetti svantaggiati e sostegno alla ricerca scientifica nel settore dell’ortopedia oncologia attraverso l’erogazione di fondi e altri contributi ad Enti che operano nel suddetto ambito per lo svolgimento di progetti di ricerca.

“Purtroppo il sarcoma è un tumore ancora poco conosciuto, e questo porta spesso ritardi nella diagnosi. Colpisce anche i bambini, e ti posso garantire che, quando succede, è straziante, anche perché alcune forme di sarcoma, come nel mio caso, sono resistenti alle cure perciò l’unica strada possibile è l’amputazione. Oggi la sopravvivenza a 5 anni è poco superiore al 50%, ma sono certo che se aiutiamo la ricerca possiamo fare grandi passi avanti”.

Paolo oggi è volontario per i diritti umani dall’International Human Right Commission, e in occasione del Disability Day dichiara: “Il tema é NON SI LASCIA INDIETRO NESSUNO. In un momento come questo difficile per tutti, la mia attenzione va ancor di più alle persone con disabilità, e a tutte le persone che ruotano intorno ad esso.
Dietro un disabile ci sono familiari che devono lottare molto spesso da soli contro ogni ingiustizia. Oggi sempre più dobbiamo porci delle domande e far in modo che nessuno rimanga indietro, perché in situazioni come queste viene facile lasciare qualcuno indietro. Io penso che saranno i disabili a portare positività sicurezza e visioni future nella società. Infine, come dico sempre, la formula è: Dove Vive Meglio un Disabile Vivono Meglio Tutti!”. 

Paolo ha raccontato la sua esperienza in un libro, “Sempre avanti mai indietro” edito da Diarkos, nel quale narra anche di alcune imprese che ha compiuto dopo l’amputazione. Il 50% del ricavato della vendita andrà in beneficenza alla ARCS Onlus, fermo restando che chi volesse contribuire alla ricerca può farlo anche con libera donazione oppure diventando socio dell’Associazione (info su www.arcsonlus.it).

A nome mio e di tutta la redazione, ringrazio di cuore Paolo Vezzani per averci fatto dono della sua storia. E mi rivolgo infine a tutti “i Paolo Vezzani” che ci sono in Italia, persone che spesso vivono all’ombra e in silenzio ma che ogni giorno lottano, perché continuano a credere nella forza della vita: se vi fa piacere, potete contattarmi. Ascolterò la vostra storia e, per quanto possibile, vi darò voce.

A cura di Sara Patron – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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