Da sempre l’essere umano ha avuto la necessità di trovare una forma di “evasione” dalla vita: per questo, e a questo scopo, già dai tempi più antichi venivano utilizzati i ricavati di sostanze vegetali e psicotrope. È infatti insito nella natura umana il bisogno di cercare e trovare momenti di oblio e di alienazione psichica.

Secondo alcune culture che hanno mantenuto rituali di natura ancestrale, queste sostanze venivano e vengono utilizzate tutt’oggi dall’individuo per avvicinarsi alla propria parte più intima, per entrare in contatto con la sua matrice divina.
Alcuni di questi rituali sono ancora vivi in popolazioni primitive, aborigene e indigene.

Purtroppo la società moderna, presa da mille doveri quotidiani, da problemi di varia natura, da fasi di stress continue, ha dimenticato questo “utilizzo primordiale” delle sostanze psicotrope, facendo avvicinare molte persone a forme di dipendenza di vario tipo e a sostanze stupefacenti.
Ogni forma di dipendenza in genere, sia essa tabagismo, alcolismo, tossicodipendenza da hashish, marijuana, eroina, cocaina o altro, si identifica in un denominatore comune. Se si analizzano singolarmente – e in profondità – le persone affette da questa problematica, si può infatti vedere come abbiano tutte, in comune, la mancanza di amore. Questo non inteso solo come una mancanza di affetto o amore da parte dei propri cari o delle persone che stanno vicine, bensì una mancanza parziale o totale di amore verso se stessi. Se ognuno di noi si amasse veramente, non ci faremmo gratuitamente del male.

Talvolta si attribuisce all’avvicinarsi a tali droghe una sorta di modalità per socializzare, per sentirsi parte di un gruppo, per venire accolti, ed è proprio in quel preciso momento che questo bisogno si fa sempre più grande. Questa mancanza d’amore crea un vuoto enorme in noi stessi, ma è difficile chiederci cosa ci manca dentro, perché non siamo abituati a dialogare con il nostro inconscio e a chiedergli cosa necessita; si proietta quindi la ricerca di questo vuoto all’esterno, compensandola con sostanze stupefacenti o dipendenze di altro tipo.

Le persone che utilizzano queste sostanze sono sensibili e fragili, hanno delle paure enormi – come la paura di vivere – e scelgono di annullarsi, tentano di scappare da sé stesse e pensano che la droga dia loro rifugio. Diventa però un vortice, uno stile di vita, un modo di essere.
Corresponsabili a scatenare dipendenze, insieme alla mancanza d’amore, sono anche quei traumi emozionali che si sviluppano nei primi anni di vita, tra cui i più importanti sono: l’accettazione, il riconoscimento, il rifiuto e l’abbandono.
Già nel momento della nascita la madre dovrebbe dare accettazione – quindi accogliere il figlio, e il padre dare il riconoscimento – cioè dare il giusto spazio, una collocazione fisica ed emotiva al figlio e indicargli la direzione nella vita. Quando questo non si verifica e ci sono questi due conflitti in essere, il bambino cresce cercando di occupare meno spazio possibile, quasi annullando la sua personalità per non disturbare gli altri, arrivando al punto tale da non riconoscere sé stesso, e quindi non avere direzioni nella vita.

La ferita da rifiuto si sviluppa con il genitore dello stesso sesso, e in questo senso rifiutare significa tenere a distanza una persona, non accoglierla.
Il significato della ferita di abbandono è invece lasciare qualcuno, non potersene o non volersene occupare, sia temporaneamente che definitivamente, e si sviluppa con il genitore di sesso opposto al proprio. È molto facile ricordare di aver vissuto questi traumi da bambini: i figli stessi infatti rammentano di essere stati lasciati dai nonni per esempio perché i genitori dovevano andare al lavoro, oppure in alcuni casi aver avuto necessità di ricevere cure mediche e ospedaliere da piccoli e i genitori non potevano essere sempre presenti in ospedale, o in altre situazioni – come ad esempio la nascita di fratelli e sorelle – che hanno spostato l’attenzione dei genitori sul nuovo arrivato.

Da traumi come questi si iniziano a sviluppare ferite che si ripercuoteranno indelebili nella vita di ognuno di noi. Trauma dopo trauma si arriva ad una mancanza di autostima e di amore verso se stessi, che in alcuni casi sfocia nelle dipendenze.
I sintomi più comuni dovuti all’utilizzo di sostanze stupefacenti sono inizialmente la necessità sempre maggiore di assumere una determinata sostanza e l’incapacità di portare a termine gli obiettivi quotidiani, per passare poi ad una fase di isolamento e depressione nei periodi di astinenza.

A seconda delle sostanze che la persona utilizza gli effetti sono diversi: per esempio nel caso di ecstasy e sostanze chimiche si accusano alterazione della vista, del gusto, perdita di coscienza, di memoria, tachicardia e sonnolenza.
I sintomi dovuti all’utilizzo di marijuana e hashish sono ipertensione, fame chimica, occhi arrossati, riflessi rallentati, tachicardia e vuoti di memoria.

Nel caso di sostanze stimolanti come cocaina, eroina e anfetamina i principali effetti sono anoressia, danni alle mucose, irritabilità, paranoie, sudorazioni eccessive, sbalzi d’umore, disturbi del sonno, problemi articolari e digestivi.
La sospensione dell’utilizzo di sostanze stupefacenti è la fase più difficoltosa perché gli effetti collaterali sia fisici che psicologici sono rilevanti: a questo proposito i medici suggeriscono di non lasciare mai sola la persona nel periodo di dissuefazione, facendo seguire una terapia farmacologica, meglio ancora se assistita in strutture specifiche e idonee al recupero da tossicodipendenza.

Nonostante negli ultimi tempi i media abbiano screditato l’operato di alcune strutture specializzate al recupero di persone tossicodipendenti, bisognerebbe anche considerare effettivamente quante persone devono ringraziare tali strutture per essere ancora in vita, avere un cuore che batte, aver riacquistato la propria dignità, avere costruito una famiglia e avere un lavoro.

A cura di Barbara Comelato – Foto Imagoecoomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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