La resa dei conti è rimandata a mezzogiorno di lunedì, quando il premier Giuseppe Conte si recherà alla Camera per rendere comunicazioni sulla situazione politica (martedì il passaggio in Senato). L’intervento sarà seguito dal voto su risoluzioni di maggioranza e opposizione, secondo le procedure delle votazioni ‘fiduciarie’.

Le dimissioni dal presidente del Consiglio, chieste a gran voce da Salvini e Meloni, appaiono dunque un capitolo chiuso, almeno per il momento, con Conte che ieri ha assunto l’interim del ministero dell’Agricoltura, rimasto vacante dopo l’abbandono da parte della ministra Iv, Teresa Bellanova. Un passo verso una nuova maggioranza guidata “dall’avvocato del popolo” (definizione riportata in auge da Di Maio) o verso un ‘Conte ter’, mentre Pd e M5s sondano gli animi in Parlamento e corteggiano senatori per avere i numeri sufficienti a ‘blindare’ Palazzo Madama.

Ma le parole di Salvini, questa mattina, suggeriscono che la caccia ‘ai responsabili’ sia ardua. Anzi, “tanti 5S seri stanno bussando alle nostre porte: nel centrodestra vedo più arrivi che partenze” ha detto il leader della Lega, arrivando al vertice del centrodestra, convocato per fare il punto sulla crisi di governo. Oltre a Giorgia Meloni (Fdi), Matteo Salvini e Antonio Tajani (Fi), ci sono anche Giovanni Toti (Cambiamo), Lorenzo Cesa (Udc) e Maurizio Lupi (Nci). Presenterete una mozione di sfiducia a Giuseppe Conte? “No, la mozione di sfiducia se la stanno presentando da soli” ha aggiunto Salvini.

“L’Italia ha bisogno di un governo capace di affrontare le difficili sfide che il Paese si trova davanti, non di un esecutivo zoppicante che si regge su una maggioranza raccogliticcia” si legge nella nota congiunta del centrodestra al termine del vertice. “Per seguire gli sviluppi della crisi del governo di Giuseppe Conte e concordare una strategia comune in vista di una possibile riedizione peggiorativa, i leader dei partiti della coalizione si consulteranno ogni giorno fino alla sua soluzione”, conclude.

Di tutt’altro avviso il vice segretario Pd, Andrea Orlando. “Noi abbiamo segnali di disponibilità e di attenzione da parte di molti parlamentari, vediamo se questo consentirà di mantenere una maggioranza a questo governo. La prova del nove sarà in Parlamento”.

Renzi comunque, non voterà contro ma si asterrà. Tra i bersagli di Renzi nell’intervista anche il leader del Pd: “Quando Zingaretti parla non rispondo mai alla prima dichiarazione. Se avessi ascoltato Nicola alla prima dichiarazione – nell’agosto del 2019 – oggi avremmo un Governo Salvini-Meloni”. L’ex premier ribadisce di non detestare Conte: “Abbiamo fatto delle richieste, dai soldi sulla sanità fino alla riapertura delle scuole: ci possono ascoltare o tutto deve essere ridotto a rapporto personale e alla categoria simpatia/antipatia?”. Renzi dice di voler aiutare “a cambiare il Paese. Se le nostre idee servono, ci siamo. Se non servono, ci dimettiamo” e “abbiamo detto no a chi voleva comprarci con qualche sottosegretariato”.
I fondi europei per l’ex premier dovrebbero gestirli “dei ministri capaci con i loro uffici. E per le unità speciali alcuni commissari”. Un super ministero per Mario Draghi, “mi sembrerebbe bellissimo ma riduttivo”. Renzi tornerebbe in maggioranza “se ci fosse il Mes, se si sbloccassero i cantieri, se si aumentassero i soldi per sanità e scuola, se si accelerasse sull’alta velocità”. E se a guidare il governo fosse Luigi Di Maio? “Per favore, non scherziamo” risponde. No anche a “ribaltoni e inciuci con le forze anti europeiste e sovraniste”. Renzi esclude infine che lo sbocco della crisi sarà il voto: “Non esiste” commenta.

A cura di Roberto D’Orazi – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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