Nonostante le restrizioni dovute alla pandemia con oltre 122.000 morti causati dal Coronavirus, la “festa” scudetto vinto dall’Inter di Conte non si è fatta attendere. I festeggiamenti sono iniziati con quattro giornate d’anticipo dal termine del campionato 2020/2021, dopo nove anni dal “triplete” targato Mourinho, futuro “re” di Roma. Eccessi e assembramenti hanno caratterizzato piazza Duomo a Milano che ha visto trentamila persone, tra tifosi e ultrà interisti, esultare per il 19esimo titolo conquistato.

Contro i contagi solo la responsabilità individuale poteva e doveva prevalere. Gli effetti negativi causati del mancato distanziamento – senza l’uso della mascherina – potranno comunque essere rilevati solo nelle prossime settimane. A tutto questo va aggiunto anche il non rispetto del coprifuoco con l’intervento delle forze dell’ordine. E’ inutile negarlo, il tifo per una squadra è una malattia. Simpatico ricordare che con il termine “tifo” si può anche intendere una vera e propria patologia. E da qui che poi ha preso vita il termine tifoso, ossia parteggiare per qualcuno o qualcosa in modo così acceso da sembrare in preda ad attacchi di febbre, come accade a chi contrae il tifo.

Questa piccola premessa serve per capire alcune cose. Soprattutto per quale motivo il tifo per il calcio sia così esteso. Il tifoso non è mai imparziale e lucido.
Tifa la propria squadra senza se e senza ma. Non guarda e non giudica quasi mai in maniera obiettiva. Ora questa passione nel calcio si è modificata a livelli esasperati e consolidati. E come sempre accade, finché non succede qualcosa di strepitoso, tutti fanno finta di non conoscere determinati problemi. Pandemia a parte, un esempio per tutti, il vecchio caso di “Genny‘ a Carogna”.

Sappiamo come “funzionavano” le curve prima della chiusura degli stadi. Gli ultrà, categoria specializzata del tifoso, hanno sempre avuto poteri e concessioni da parte di alcune squadre d’élite. Insomma un mondo parallelo ben conosciuto ma tollerato e molte volte incentivato proprio dalle stesse società.
Ed è proprio il lasciar fare che ha alimentato questo circolo imperfetto. Tornando al 2 maggio. Con quale diritto i tifosi hanno potuto fregarsene delle regole? Se lo fa il comune cittadino o il responsabile di un’attività produttiva è subito identificato e multato. Allora perché il tifoso può comportarsi diversamente da ogni altra classe sociale di cittadini? Stupisce vedere come nel nostro bel Paese si usino pesi e misure diverse in una situazione di emergenza sanitaria. Un sistema consolidato grazie all’indifferenza e al non controllo da parte di chi non ha la volontà o la capacità di intervenire e risolvere il problema. Una tolleranza dovuta anche ai troppi interessi che circolano nel mondo del pallone.

Calcio scommesse e criminalità organizzata sono da qualche tempo troppo legate e troppo infiltrate per fare finta di niente. Insomma certi ambienti esistono perché fanno comodo a tanti. Il colmo riconoscere a tutto questo l’attenuante o la scusante proprio del tifo, ossia di una patologia che condiziona il comportamento umano. Le malattie si curano, altrimenti contagiano altre persone.

E nonostante il tifo (malattia vera e propria) è stato debellato con le giuste medicine, il mondo dei tifosi continua tranquillamente a non avere paura, per se e per gli altri, delle conseguenze che oggi ha provocato il virus. Così, via alla seconda puntata davanti a San Siro con 5000 tifosi, tutti o quasi con la mascherina, senza però evitare l’assembramento. A seguire è stata la volta della Salernitana di mister Fabrizio Castori. Tantissime persone si sono riversate in strada per festeggiare il ritorno in serie A dopo ventitré anni. Inevitabilmente sono saltati distanziamenti e mascherine, mentre la città si prepara alle prossime manifestazioni.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Lapresse

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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