Non aveva mai nascosto le sue fragilità e le sue dipendenze. Probabilmente anche questo lato di Chris Cornell piaceva tanto ai suoi fan: perché Chris era autentico, fino al midollo. Fino a far male.

Per anni aveva lottato contro i suoi demoni – l’alcol e le droghe – ma alla fine il peso di quell’oscurità l’ha schiacciato, portandolo ad impiccarsi a Detroit, nel bagno dell’albergo dove soggiornava dopo aver terminato di suonare al Fox Theatre con la sua band riformata nel 2010 dopo il successo planetario degli anni ’90.

Se n’è andato così, in maniera inaspettata e improvvisa; per diverse ore non era stata diffusa alcuna notizia in merito alle dinamiche della morte di Chris, leader dei Soundgarden, poi il medico legale ha rivelato la terribile verità: Cornell si è tolto la vita. Solo alcune ore prima, l’amatissima moglie, Vicky Karayiannis, aveva cercato di mettersi in contatto con il marito e non riuscendoci aveva avvertito un amico comune: è stato quest’ultimo a trovare Chris ancora vivo nel bagno dell’albergo, ma purtroppo per il rocker non c’è stato nulla da fare.

C’erano stati segnali? Indizi che potessero far capire cosa stesse progettando Chris? Forse solo con il senno di poi, rileggendo alcune frasi dette dal cantante si poteva presagire il peggio.

Ad esempio, dopo aver salutato il pubblico di Detroit, Chris ha detto : “Non so come spiegare alla gente quanto sia bello il pubblico di Detroit, mi dispiace per la prossima città…”. Una sorta di annuncio che quella sarebbe stata la sua ultima apparizione su un palco? Inoltre, al termine del concerto Cornell ha cantato una canzone dei Led Zeppelin: “In my time of dying”(il mio momento di morire). Ma indizi a parte, la sola cosa che ormai conta è che il mondo ha perso per sempre un artista dal talento sconfinato, con la sua voce graffiante e morbida al tempo stesso e con quei testi indimenticabili, imbevuti dell’umorismo inconfondibile del grande Chris.

A cura di Silvia Pari

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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