In Italia, la prassi per trovare lavoro, rimane quella del passaparola: se un amico o un parente è a conoscenza di una qualsiasi azienda che abbia bisogno di personale, il gioco è fatto.

Sono così in grosso calo le persone che hanno fiducia nel web come strumento per trovare un impiego.

Questo almeno è il quadro presentato dall’Istat, dove emerge come siano almeno otto persone su dieci coloro che si affidano alle proprie conoscenze per ottenere un impiego nel primo trimestre 2016. La speranza di trovare la dritta giusta su un’azienda che ha bisogno di personale o avere una raccomandazione appare così come la chiave per sbloccare una situazione di disoccupazione che si protrae, nella maggioranza dei casi, da oltre un anno, e che ha visto spesso fallire i canali formali di ricerca. Le persone che si rivolgono a parenti e amici salgono infatti all’84,8% di chi cerca lavoro all’inizio del 2016 dall’83,4% di un anno prima. Quelli che puntano sul web scendono al 55,4% dal 59% e quelli che inviano curriculum rimangono stabili al 69,2%.

Naturalmente questo sistema porta ad una scarsissima mobilità sociale nel nostro Paese. L’Istat, nel rapporto annuale 2016, ha inoltre calcolato come gli individui di trent’anni con uno status di partenza elevato – quelli che a 14 anni vivevano in una casa di proprietà e avevano almeno un genitore con istruzione universitaria e professione manageriale – abbiano un vantaggio in termini di reddito del 63% rispetto chi proviene da famiglie di status “basso”.

L’Italia, insieme al Regno Unito e agli Stati Uniti, risulta così uno dei Paesi Ocse con il maggiore legame tra il reddito dei figli e reddito dei padri.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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