Alcuni gregari lo chiamano ancora Diabolik, U siccu (il secco). Oppure Alessio, come si firmava nei pizzini ritrovati dagli investigatori nel covo di Binnu Provenzano, a Montagna dei Cavalli, luogo quasi impenetrabile. Sono questi alcuni dei soprannomi con cui è conosciuto Matteo Messina Denaro, il super boss di Cosa Nostra rimasto latitante per 30 anni e arrestato il 16 gennaio 2023 a Palermo in una clinica privata.

Matteo Messina Denaro è ritenuto il responsabile di un numero indefinito di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia.

Il boss siciliano è nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Il papà Francesco, don Ciccio, era stato l’indiscusso capo mandamento della zona. Da lui Messina Denaro ha imparato anche i segreti della latitanza: dopo anni di ricerche, l’uomo fu trovato solo nel 1998 – morto stroncato da un infarto – nelle campagne vicino al paese. Da allora ha sempre comandato il figlio.

Prima nella provincia di Trapani, poi in tutta la Sicilia. Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto del boss si è messo agli ordini di Provenzano, padrino con cui scambiava pizzini pieni di rispetto e di affetto, ma che in realtà seguiva solo in parte. Perché Messina Denaro preferiva l’azione. Poi, quando i boss sopra di lui sono caduti a uno a uno, Diabolik ha iniziato a contare sempre di più negli intrecci finanziari internazionali per acquisire armi e droga. Ed è diventato tra gli uomini più ricercati al mondo. Con questo arresto lo Stato dimostra che non esiste perdono alcuno contro la mafia. Si chiude un capitolo angoscioso che ne potrebbe aprire altri nel caso Messina Denaro decidesse di collaborare con la giustizia italiana.

Simone Tripodi

Il Direttore Responsabile Simone Tripodi – Foto fonte Corriere di Calabria

Il Direttore Simone Tripodi

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