Charles Mingus è un contrabbassista, pianista e compositore, nato nella città di Nogales, nella contea di Santa Cruz, nello Stato dell’Arizona, il 22 aprile del 1922. Ritenuto uno dei più grandi artisti di Musica Jazz del Novecento, ha collaborato con i più grandi jazzisti del suo tempo, tra i quali Louis Armstrong il grande trombettista, il maestro pianista e Band leader Duke Ellington, il sassofonista Charlie Parker, il trombonista Dizzy Gillespie e il pianista Herbie Hancock.

Nel 1993, la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti acquisì alcuni documenti del musicista americano inclusi spartiti, registrazioni, materiale pubblicitario e fotografie.
Questa collezione, venne definita “l’acquisizione più importante di una raccolta di manoscritti relativi alla Musica Jazz nella storia della Biblioteca Nazionale americana.
La rivista Rolling Stone a inserito Charles al secondo posto tra i migliori contrabbassista di tutti i tempi.

Charles Mingus genio “pazzo e arrabbiato” per sua stessa definizione, studia il trombone e il violoncello prima di passare al contrabbasso su consiglio dell’amico e sassofonista Buddy Collette. Mingus ossessionato dagli atteggiamenti di razzismo nei suoi confronti da parte dei bianchi che dei neri a causa delle sue origini metticcie, e uno dei primi a fondare la musica e la politica nei propri brani e, inoltre, mostra subito una fortissima spinta a primeggiare. Decise così di diventare il migliore bassista sulla scena della Musica jazz e ci riuscì nel giro di pochi anni, studiando prima insieme a Red Callender, che suonò con il celebre trombettista Louis Armstrong e poi con Hernan Reinshagen – primo contrabbassista della New York Philharmonic Orchestra – nel corso della sua carriera suona con il sassofonista Illinos Jackquet, la cantante Dinah Washington; quando nel 1947 entra nell’orchestra del vibrafonista Lionel Hampton.

Mingus ebbe una prima infarinatura musicale, grazie ai canti gospel delle congregazioni religiose di Watt, quartiere a sud di Los Angeles in California in cui trascorse i suoi anni da bambino. Il blues ed il jazz dalle origini musicali sono state archetipi d’ispirazione ma non le uniche: nel corso della sua vita le sue fonti di ispirazione sono state per Mingus anche extra – jezzistiche. Egli infatti ascolta musica classica da Bach, studia l’autore e compositore Richard Strauss e Arnold Shomberg, non nasconde la passione per Cloude Debussy e Mourice Ravel e si avvicina all’intellettualismo del pianista Lonnie Tristano. Nonostante il periodo in cui iniziò a suonare, fu molto influenzato dal pianista Duke Ellington e dal sassofonista Charlie Parker. Il solo attaccamento a Duke Ellington, alla sua concezione del sound orchestrale anziché puramente solistico valsero a Charles Mingus il soprannome di Baron”.

“Inzia la sua carriera suonando con il vibrafonista e leader Red Norvo, il chitarrista Tal Ferlow, considerato uno fra i grandi chitarristi del dopoguerra, per poi entrare in contatto con I grandi beboppers neri, da Bud Powell, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Miles Davis, Oscar Pettiford.
Nel 1952 fonda insieme al batterista Max Roach la label Debut Records etichetta indipendente dell’esistenza difficile. Nel 1953 partecipa a Toronto in Canada ad un concerto con Parker, Gillespie, Powell e Roach. I grandi successi e le grandi collaborazioni Mingus le ebbe già all’inizio degli anni Cinquanta quando aveva già praticato l’improvvisazione collettiva, uno dei principali fondamenti della Musica Jazz delle origini, è fu proprio Charles Mingus che ne fece il suo cavallo di battaglia, influenzando poi i musicisti a venire a numerose correnti jazzistiche; dal 1955 comincia a realizzare incisioni con i propri gruppi che incorporavano elementi Hard-Bop e Free, da ricordare il celebre brano Pithecanthropus Erectus che fu il titolo di un celebre long playing pubblicato dalla label Atlantic Records nel 1956 e le sirene e i rumori nel brano A Foggy Day in San Francisco, e riscopre gli amori giovanili per i suoni messicani, Tijuana Mood è uno di quei brani e per la Church Music, Blues and Roots.

Si susseguono nelle sue formazioni i migliori trombettisti, da Britt Woodman, Eddie Bert, Willie Dennis, Jimmy Cleveland, i sassofonisti, Jackie McLean, John Handy, Shafy Hadi, Benny Golson, Pepper Adams e tanti altri compresi i trombettisti, Richard Williams, Johnny Coles, Don Ellis, Clarke Terry, Clarence Shaw e i pianisti Mal Waldrom, Bill Evans, Horace Perlam e il fido batterista Dannie Richmond. Sulla scia della rivoluzione musicale del sassofonista Ornette Coleman nel 1960 Mingus licenzia quasi tutti i suoi precedenti collaboratori musicisti e fonda un quartetto con il sassofonista Eric Dolphy, il giovane trombettista Ted Curson, Dannie Richmond, con i quali il contrabbassista americano realizza l’opera discografica Charles Mingus Presents Charlie Mingus, uno dei suoi dischi più riusciti contenente la versione più convincente del brano Fobles of Faubus, scritto contro il segregazionista il governatore di Little Rock nello Stato dell’Arkansas, Orval E. Faubus.

A proposito di questo brano, bisogna dire che la composizione strumentale Mingus lo aveva inserito nell’album, Mingus Ah Um prodotto nell’anno 1959, ma la Columbia Records aveva rifiutato che il musicista lo registrasse con del testo. Il contrabbassista americano non si diede per vinto e ripubbicò quello originale l’anno seguente per la propria label, la Candid Records intitolandolo Original Faubus Fables.

Con l’aggiunta in formazione del musicista Booker Ervin, sassofonista tenore, e il brano Churchy e Acrobatico, dell’ospite il pianista Bud Powell, il lavoro e l’opera discografica Antibes è forse il miglior progetto mai pubblicato – a pari merito con The Black Saint and the Sinner Lady, una suite per il balletto che riassume le radici musicali di Charles Mingus è gli elementi della sua originalità. La nascita del jazz modale, la pubblicazione del libro Lydian Chromatic Concept of Tonal Org dell’autore, arrangiatore e musicista George Rusell, fino al successo musicale di Milestones e Kind of Blues del trombettista Miles Davis, opera discografica del 1959, aprono un nuovo corso della Musica Jazz, disintossicazione sistemi tonali, sistema di principi armonici e melodici che ordinano le note e gli accordi in una gerarchia di percepite relazioni, equilibri e tensioni. Il periodo più creativo di Charles Mingus è tocco di composizioni e di sperimentazioni sia discografiche sia in concerto condotte in tutte le direzioni musicali, anche oltre il Free, si chiude in modo emblematico con la tournée in Europa dell’aprile 1964 per la quale il musicista americano ha radunato un sestetto formidabile, anche se forse non perfettamente amalgamato: la sezione ritmica composta da Mingus, Richmond e Byard, ai fiati Dolphy, Clifford Jordan al sax tenore e il trombettista Johnny Coles.

La band si esibisce in Europa, Amstardam, Oslo, Stoccolma, Copenaghen, Liegi, Germania, Italia più precisamente a Bologna e Milano poi a Parigi in due concerti alla Salle Wagram e al Theatre des Champs – Elysees, documentati nella memorabile opera discografica in un triplo long playing The Great Concert of Charles Mingus. Nonostante il gruppo suoni in maniera eccelsa, come testimoniano anche i molti Bootleg, indica una registrazione audio o video, generalmente di uno spettacolo, realizzato in forma amatoriale o professionale e distribuito in forma non ufficiale tra i fan, di norma gratuitamente e quasi sempre senza l’avallo ufficiale del detentore dei diritti, e I tre rari video registrati a Oslo, Stoccolma e Liegi di quei concerti e delle loro prove il tour è condizionato dalle interpretazioni del leader e costellato di incidenti e sinistri presagi che culminano nel ricovero d’urgenza in ospedale a Calais, Charles Mingus svennè sul palco a Parigi la sera del concerto per una emoragia interna.
Quando la formazione ritornò in America il sassofonista Dolphy non è con loro. Ha deciso infatti di fermarsi in Europa, dove formerà un suo gruppo con il pianista Misha Mengelberg, il bassista Jacques Schols e il batterista Han Bennink.

Il sassofonista Dolphy viene colto da un attacco di iperglicemia diabetica a Berlino, cade in coma e il giorno dopo muore. Una settimana prima avrebbe compiuto trentasei anni. Per una tragica ironia della sorte, uno dei cavalli di battaglia della sua ultima tournée con Mingus era un brano dal titolo So Long Eric, Don’t Stay Over There Too Long Eric: un esplicito invito rivolto dal bassista al musicista Dolphy perché tornasse stabilmente con la sua formazione, quanto prima. La morte del sassofonista avvenuta nel 1964 è come un macigno per il contrabbassista americano, e dopo un paio di insuccessi organizzativi Mingus si ritira nel suo guscio fatto di psicofarmaci fino alla fine del decennio.

Negli anni Settanta torna lentamente sulla breccia con una nuova formazione e nuove composizioni, una di queste è Change One and Two, con i musicisti George Adams, Don Pullen, Jack Waltath e Richmond.

Nel 1977 gli viene diagnosticato il morbo di Lou Gehrig e nonostante gli sforzi e i tentativi con una leggendaria guaritrice messicana, il grande musicista soccombe il 5 gennaio del 1979 all’età di cinquantasei anni. La morte lo coglie mentre lavora ad un progetto musicale congiunto con la cantautrice canadese Joni Mitchell, alla quale gli ha fidato alcune musiche, alcune anche del suo repertorio storico come Gooobye Pork Pie Hat perché lei potesse scrivere dei testi sui brani. Il disco vedrà comunque la luce e significativamente verrà intitolato Mingus”.

Dopo la morte del musicista americano, “la vedova del bassista Grahm Mingus gestisce il lascito musicale del marito attraverso la Mingus Big Band. Charles Mingus ha avuto una considerevole influenza esercitata dalla produzione mingusiana sul percorso di numerosi musicisti italiani: da Tino Tracanna, a Bruno Tommaso, da Roberto Spadoni a Giovanni Maier, tutti contrabbassisti. Il musicologo è docente universitario Stefano Zenni ha pubblicato numerosi libri su argomenti mingusiani. Uno di questi dal titolo Charles Mingus. Genio e sregolatezza, l’autore descrive il contrabbassista americano di origine messicana, come il: “Charles Mingus, straordinaria figura di contrabbassista e band-leader, è l’emblema di genio e sregolatezza, di una dissociazione psichica messa al servizio di una deformate creatività, di una “polemica” che ha fatto più volte scandalo, mettendo la società americana al centro di un “j’accuse” che ha fatto epoca […]”.
Proprio Stefano Zenni e il Comitato Unesco Jazz Day di Livorno, hanno proclamato il 22 aprile di ogni anno, la data di nascita di Charles Mingus, dal 2019 il quarantesimo della morte, “Charles Mingus Day”, in collaborazione con il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo e di Livorno, in occasione delle iniziative per l’ottava UNESCO International Jazz Day. In seguito a una ricerca promossa dal Comitato Livornese erano infatti emerse numerose prove, costituite da articoli di quotidiani dell’epoca e fotografie dell’episodio, finora ritenuto leggendario dai più, secondo il quale nei giorni della morte di Mingus avvenuta in Messico a cinquantasei anni, cinquantasei capodogli si arenarono sulla costa messicana. Altra coincidenza, vista da molti come leggendaria e invece vera, sta nel fatto che come Mingus, anche i capodogli furono cremati.
L’episodio era citato dalla cantante Joni Mitchell nelle note di copertina del suo lavoro discografico, Mingus del 1979. Per questo, la proclamazione della Charles Mingus Day è avvenuta in collaborazione con il Museo dei Cetacei, facendo eseguire dal contrabbassista Nino Pellegrini alcune composizioni del musicista americano, all’interno della balenottera Annie, fra i più grandi scheletri di cetacei esistenti conservati integralmente.

Dal mensile Musica Jazz articolo di Brian Priesly con la traduzione di Luca Conti, a cura della Redazione di Musica Jazz, del 03/05/2017, dal titolo Charles Mingus: “Ah Um”, il lirismo è la rabbia:
“Il mondo poetico nascosto sotto il titolo “Ah Um”, includeva l’ironia quanto inesorabile frustata inferta da un grande artista a un governatore razzista[…]”. “[…] Fin troppo facile, con il senno di poi, attribuire a un disco la qualifica di “classico “.
È pur vero che “Mingus Ah Um” fu accolto con entusiasmo già ai tempi della sua pubblicazione vale a dire nel settembre 1959, appena quattro mesi dopo essere stato inciso da Charles Mingus nella prima metà di maggio in due sedute convocate a distanza di una settimana.
Senza dubbio, un grosso contributo alla promozione e all’ottima accoglienza del disco fu dato dall’essere il primo lavoro migusiano per la Columbia, all’epoca la principale etichetta discografica sul mercato.

Ma ciò che davvero servì a rendere popolare l’album fu, con le buone probabilità, il modo in cui esso andavano a riunirsi i tratti più interessanti di tutto ciò che Mingus aveva saputo realizzare fino a quel momento, con un risultato allo stesso tempo sintetico e ben organizzato. All’epoca dell’incisione di “Mingus Ah Um”, il contrabbassista aveva appena trentasette anni e già attraversato diverse fasi della sua carriera. Quel che sappiamo dei suoi inizi di strumentista ci è noto soltanto grazie ad alcuni, frammentari riferimenti lasciati cadere dallo stesso Mingus, che fu citato per la prima volta dalla stampa specializzata nell’estate del 1942 quando, appena ventenne, si esibiva a Los Angeles nel gruppo capeggiato dal clarinettista Barney Bigard, fresco transfuga dall’orchestra di Ellington. Down Beat, tra l’altro, sbaglio’ a riportarne il nome, ribattezzandolo “Charlie Engels”, ma ebbe modo di rimediare otto mesi più tardi citandolo come membro del sestetto del batterista Lee Young nel quale erano transitati il ben più celebre fratello Lester e l’insegnante di Mingu, il contrabbassista Red Callender[…]”.

“[…] Tra i numerosi aspetti significativi delle prime esperienze di Mingus bisogna per forza ricordare come tutti i gruppi citati si muovessero in quell’area che adesso chiamiamo Swing. D’altronde, negli anni di guerra, era quella la musica dominante: se i primi vagiti del bebop iniziarono a, registrarsi a New York, non esiste alcuna prova che si fisserò diffusi sulla West Coast (da dove Mingus era destinato a non muoversi fino al compimento dei ventinove anni) prima del 1945, vale a dire quando apparvero da quelle parti i gruppi di Coleman Hawinks (con Howard McGhee) e di Dizzy Gillespie (con Charlie Parker). Nel frattempo, Mingus aveva avuto modo di lavorare con grossi nomi quali Roy Eldridge, Art Tatum, il succitato Bigard e persino Louis Armstrong, oltre che con piccoli gruppi da lui organizzati; mentre le sue prime sedute d’incisioni lo videro intento a scolarli una possibile nicchia come autore vaga matrice pop, nonché band-leader in un settore di più facile consumo come il Rhythm’s and Blues.
Quando il bebop iniziò a colpire le sue abitudini d’ascolto, Mingus era già ben focalizzato sui propri progetti da voler restare per il momento fedele alle sue inclinazioni Swing e pop. Anzi, fu proprio lui – in seguito – a dire che il suo primo impatto con lo stile di Parker si era rivelato addirittura negativo: musica troppo intensa, per ciò che lo stesso Mingus apprezzava all’epoca.

Non comunque dimenticare che, per tutta l’adolescenza e fino ai primi anni Quaranta, il giovane Mingus aveva ascoltato e apprezzato una gran quantità di musica classica di tradizione europea che, oltre a influenzare alcuni dei suoi successivi lavori, rappresentò per lui un ideale di creazione artistica priva di compromessi, così come dimostra il suo contributo a un sestetto che fu attivo nel primissimo dopo guerra, The Stars Of Swing, ma che non non entrò mai in sala d’incisione. Era questo un gruppo a base cooperativa, alla cui breve esistenza presero parte musicisti come il sassofonista Lucky Thompson, che da poco avevate lasciato l’orchestra di Count Basie, e il trombettista Britt Woodman, amico d’infanzia nonché primo ispiratore di Mingus, e destinato a trascorrere gli anni Cinquanta nei ranghi dell’orchestra di Ellington.

La musica che Mingus scrisse è riuscì a incidere nella seconda metà degli anni Quaranta è una miscela, in apparenza incompatibile, di pop dalle illusorie aspirazioni commerciali, di post-swing avanzato (a volte con qualche traccia di bebop) e ambiziose partiture per big band che tentano di riprodurre ciò che all’epoca stavano elaborando Ellington, Gillespie e addirittura Stan Kenton. Ma il contrabbassista non smise di lavorare come Sideman in gruppi itineranti di alto livello e stili altrettanto disperati come l’orchestra di Lionel Hampton – che non disdegna, anch’essa, alle tendenze pop w Rhythm’n Blues – e il trio del vibrafonista Red Norvo.
Proprio quest’ultimo gruppo, che comprendeva anche il chitarrista Tal Ferlow, fu un primo esempio di quell’occasione fini per essere chiamato “Jazz da Camera” e costitui’ una notevole vetrina, oltre che un ottimo trampolino di lancio, per lo stile strumentale di Mingus già pervenuto ad alti livelli di virtuosismo”. “Echi classicheggianti.
Non c’e quindi da sorprendersi se, una volta lasciato Norvo e presa residenza a New York, Mingus fu in grado di trovare ingaggi di altissimo livello con personaggi come Parker, Miles Davis, Stan Getz, Bud Powell e, ancora una volta Tatum. Numerose furono furono anche le sue sedute di registrazione con cantanti e strumentisti d’ogni genere, ma per soddisfare le proprie ambizioni composte il contrabbassista fu costretto a fondare, assieme al batterista Max Roach, una piccola etichetta discografica battezzata Debut.
Il materiale inciso a nome di Mingus, continuò ancora a mostrarsi vario, mentre l’etichetta trovò un autentico bestseller con la pubblicazione del concerto alla Massey Hall del quintetto Parker – Gillespie – Powell – Mingus – Roach.
Contemporaneamente, Mingus fu membro attivo di un cenacolo che può essere considerato il diretto discendente della Stars Of Swing il cosiddetto Jazz Composers Workshop, che annoverava tra gli altri i sassofonisti Teo Macero John La Porta e il vibrafonista e compositore Teddy Charles”.

“Come si può ipotizzare dal nome, questo gruppo rappresenta uno dei primi esempi di Third Stream Music, e servì a stabilire un contatto tra Mingus e musicisti altrettanto ambiziosi e intelligenti come i tre appena citati.

Ben presto il contrabbassista lì coinvolse, assieme ad altri, nel proprio Workshop; e, anche se Mingus si considerava ancora un compositore, non può saltare all’occhio la sottile distinzione insita nel nuovo nome della band. I tratti distintivi di questo di questo nuovo stile iniziarono a definirsi verso la metà degli anni Cinquanta, quando Mingus scelse di rinunciare alle dettagliate partiture dei suoi colleghi per affidarsi a massicce dosi d’improvvisazione, creando i passaggi d’assise (spesso di carattere contrappuntistico) mediante istruzioni in diretta, spesso elaborate tramite discussioni sul palco, o in studio, con gli stessi musicisti. I primi tentativi di questo nuovo approccio sono individuabili nelle incisioni mingusiane del 1954 per la Period e la Savoy, le prime a suo nome da oltre cinque anni, così come alcuni tra gli esiti più pregnanti si avranno nelle sedute dell’inverno 1955 -’56 per la Debut (dal vivo al cafe’ Bohemia) e per l’Atlantic Records (“Pithecanthtopus Erectus”, l’esordio di Mingus per l’etichetta degli Ertengun).

In quest’ultimo lavoro, il brano eponimo (ma anche l’intero, ambizionisismo album) ebbe su gran parte del pubblico lo stesso, identico effetto che di primo acchito Parker fece a Mingus. Anche chi seppe apprezzarne lo shock iniziale si trovò davanti a un’opera che mostrava l’influenza simultanea della musica classica (sezioni di ritmo di marcia volutamente schematica, indicazioni agogiche spinte agli estremi), del Rhythm and Blues (intonazione al massimo e overblowing da parte dei sassofonisti) e di quella sorta di improvvisazione collettiva che, di lì a poco, sarebbe stata ribattezzata “avanguardia”: e tutto questo nei soli due minuti iniziali. Se il “Tijunana Moods” inciso nel 1957 non fosse rimasto nei cassetti per altri cinque anni, il suo impatto sarebbe stato forse ancor più eclatante, mentre gli album che invece furono subito pubblicati come “The Clown” e “Est Coosting” (entrambi nel 1957) e Jazz Portraits” (inizio del 1959), si rivelarono senza dubbio di più immediata comprensione, tanto che gli ascoltatori cominciarono quasi subito a familiarizzare con lo stile e le tecniche compositive di Mingus[…]”.
(IL testo virgolettato “Charles Mingus: “Ah Um”, il lirismo e la rabbia”. Autore Brian Priestley – traduzione al testo dell’articolo Luca Conti. Dalla pagina Home di Musica Jazz Oneline a cura della Redazione, 03/05/2017).

A cura di Alessandro Poletti – Foto Getty Image

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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