Freedom

Quella che porta all’isola di Bastøy è una barca piccola, bianca. Tra l’interno e l’esterno si danno il cambio tre o quattro uomini con addosso delle giacche gialle. Sorridono mentre intorno non c’è che vento freddo e silenzio. Dopo pochi minuti, forse un quarto d’ora, la barca attracca. Alcuni uomini del personale staccano, il loro turno è finito. È arrivato il momento di tornare a casa. Solo che non stiamo parlando di marinai, ma di detenuti, e la loro non è una semplice casa ma una delle 88 abitazioni, rigorosamente in legno, che costituiscono questo singolare carcere norvegese, a 75 chilometri da Oslo.

A Bastøy non si arriva per caso. E questo non ha niente a che vedere col fatto che si tratta di un’isola di appena due chilometri quadrati, persa in un fiordo norvegese. Per arrivare qui, sulla solita barca che porta i visitatori, c’è la lista d’attesa. Tom Eberhardt, direttore del carcere, riceve circa 30 richieste al mese. «Non possiamo accettarli tutti» spiega. Questa non è soltanto una decisione dello staff. Per arrivare qui bisogna avere dei requisiti particolari. Innanzitutto, aver già scontato la maggior parte della pena perché sull’isola di Bastøy, come spiega Tom, si possono passare al massimo cinque anni, ma soprattutto devono avere un forte desiderio di migliorarsi e la volontà di lavorare su se stessi. 
I 115 detenuti che sono qui hanno scritto una lettera motivazionale. Non importa quale reato abbiano commesso e quanto grave sia stato. Da quando mettono piede sopra questa isola, per loro e per chi li segue e li sorveglia, il passato non conta più. Esistono solo presente e futuro. «Io non posso fare nulla per quello che sono stati e per ciò che hanno commesso – dice Tom -. Posso però fare qualcosa per quello che sono e che saranno domani».

Fonte: Il Corriere.it

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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