Sarà uno dei Question Time più tesi degli ultimi mesi per il premier britannico Boris Johnson, quello previsto alla Camera dei Comuni: Boris è alle prese con gli attacchi continui del leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, su quello che ormai ha preso i contorni di un vero e proprio scandalo. È il cosiddetto “Party gate”, il caso della festa organizzata a maggio del 2020 nei giardini della residenza ufficiale del primo ministro dal capo segreteria Martin Reynolds, a cui lo stesso Johnson prese parte con la moglie Carrie e una quarantina di presenti, a fronte di un centinaio di inviti. Proprio mentre l’Europa e il mondo intero erano alle prese con la prima ondata di Covid e milioni di persone vivevano recluse nelle proprie case, in un rigido lockdown.
A Downing Street, invece, si festeggiava senza rispettare le regole sul distanziamento imposte a Londra e in tutte le capitali europee, Roma compresa.

Ciò che agita le acque del governo guidato da Johnson sta nel fatto che anche nel suo partito sta crescendo una fronda di voci critiche nei confronti del comportamento del premier, sempre più a disagio e in imbarazzo per il suo coinvolgimento in questa brutta faccenda che mescolerebbe menefreghismo ad arroganza. Alcuni esponenti conservatori si spingono a chiedere a Johnson un bagno di umiltà, con pubbliche scuse; altri sono arrivati ad auspicare addirittura le sue dimissioni

Il pressing di Ross
Ma c’è chi, come il giovane numero uno dei conservatori scozzesi, Douglas Ross, va già oltre evocando le sue dimissioni da premier se la partecipazione a quel party dovesse essere confermata. Tanto più, dice Ross, che Johnson potrebbe aver “mentito in Parlamento” nelle settimane scorse quando, interpellato su altri meeting svoltisi nel 2020 e venuti alla luce di recente, aveva assicurato di non aver mai saputo di violazioni alle regole anti-Covid a Downing Street. Cosa apparentemente incompatibile con la sua presenza diretta all’evento del 20 maggio, allargato a 40 persone. All’epoca nel Regno Unito – in base alle cautele imposte dal suo stesso governo durante la prima drammatica fase dell’emergenza – i cittadini non potevano neppure visitare i familiari morenti; il massimo consentito erano gli incontri all’aperto, in due, distanziati di due metri.

A cura di Stefano Severini – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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