Angelo Panebianco, professore universitario, è stato nuovamente contestato, questa volta a causa di un articolo da lui firmato e pubblicato sul Corriere della Sera.
Alcuni appartenenti al collettivo Cua (Collettivo universitario autonomo), hanno “attaccato” Panebianco interrompendo, con striscione e volantini, la sua lezione alla facoltà di Scienze politiche, in Strada Maggiore a Bologna.
La Procura attende di ricevere ora gli atti dalla Digos: verrà infatti aperto un fascicolo d’indagine e si potrebbe procedere per i reati di violenza privata e interruzione di pubblico servizio.
Non è certo la prima volta che il professore è vittima di proteste: nel gennaio del 2014 era stato il collettivo Hobo ad imbrattare l’ingresso del suo ufficio in ateneo e pochi mesi dopo, a luglio, a murare la porta dell’ufficio e scrivere sui muri con vernice rossa.
Panebianco, nel suo editoriale del 14 febbraio, si è espresso in merito alla questione libica; secondo i suoi antagonisti, il docente avrebbe preso una “posizione reazionaria e sciovinista”, essendo “un professore da sempre legato agli interessi bellici nostrani”.
Gli appartenenti al collettivo Cua, brandendo degli striscioni con scritto sopra “Fuori i baroni della guerra dall’università”, hanno fatto irruzione in aula e hanno diffuso in sottofondo i rumori di guerra con uno stereo, arrivando poi a definire il professore un “assassino”. L’iniziativa è durata qualche minuto, poi Panebianco ha discusso con gli antagonisti che hanno annunciato altre contestazioni per l’inaugurazione dell’anno accademico, il 29 febbraio.
Solidarietà è arrivata dal rettore dell’Alma Mater, Francesco Ubertini, che ha parlato di un comportamento “in netto contrasto con le più basilari regole della vita democratica. La libertà di espressione è un valore centrale e fondamentale per l’idea stessa di Università – ha aggiunto – e ogni tentativo di sopprimerla troverà sempre una dura e severa condanna da parte dell’intera comunità universitaria”.