Grandi cantanti ha avuto la Musica Jazz, dalle prime espressioni vocali quelle che cantavano Blues, lo stile di una canzone che si può definire Country, cioè Folk, perché era una canzone rurale e che poi trasmetteva tutta la tristezza, la disperazione o un amore non corrisposto o un amore finito in tragedia, o con un delitto provocato da un marito geloso.

“[…] Un’altro elemento degli elementi di mitologia che si è lentamente infiltrato negli studi del jazz delle origini è l’idea che il jazz derivi dal Blues, e che i due generi musicali siano congiunti come fratelli siamesi. Essa, come ha dimostrato Paul Oliver analizzando numerose storie del jazz e del blues, sembra essersi auto perpetrata tra gli studiosi finendo, perciò, col conferire “solide fondamenta a un argomento assai traballante”.

Analizzando in profondità i punti di vista espressi da quegli autori, così Oliver riassume la massa di contraddizioni che emerge dai loro libri; Come caratteristiche, fu musica rurale, musica urbana, parte della preistoria del Jazz, un’influenza importante nella formazione del jazz, parte di un fenomeno di convergenze nel processo formativo del jazz, assimilato dal jazz dopo la fase delle Marchin Bands; suonato assieme al ragtime prima che le jazz band suonassero jazz… […]”.
“[…] Naturalmente, questa è solo una parte della storia, poiché qualcosa di leggermente più complesso, è sicuramente più interessante, di questa elementare biforcazione avvenne nei teatri e nei tent show attraverso gli Stati Uniti, e portò alla formazione una genuina forma ibrida, un tipo di canzone da vaudeville. Era una forma ibrida sia nel senso della sua provenienza che delle sue pratiche performative.

Questo genere di canzone, che Perry Bradford utilizzò intensamente, è ciò che divenne noto col nome di “Classic Blues”.
Generalmente questa denominazione è applicata ai lavori delle cantanti come Bessie Smith, Ma Rainey, Ida Cox e Mamie Smith.
Le loro canzoni non si limitavano a ripetere l’onnipresente struttura a dodici battute di molti blues arcaici, con le relative strofe di tre versi.

Al contrario, il materiale veniva prelevato dai repertori dei songster e da quello del teatro musicale afroamericano, in pieno e rapido sviluppo sulla scia dell’era minstrel del XIX secolo. I minstrel show continuarono con successo nei primi Venti anni del secolo successivo, anche se musicalmente perpetuarono un vecchio stile, invece di svilupparne uno nuovo […]”.
(Il testo virgolettato è tratto dal libro dal titolo: “Nuova storia del jazz”, titolo originale: “A new history of jazz”, autore Alyn Shipton 2011 Giulio Einaudi Editore s.p.a. – Torino. Capitolo, Blues e Voudeville pag.43).
Adesso andiamo ad esaminare il canto jazz fino al 1950.

In questo periodo si vedano nascere le nuove voci del canto jazz moderno, molti sono i nomi che calcheranno i palcoscenici americani e internazionali, Ella Fitzgerald una delle prime lady della canzone jazz moderna e la prima ad eseguire i suoi brani in una forma innovativa per l’epoca, lo Scat, è un virtuosismo canoro nato all’interno della Musica Jazz, con l’imitazione vocale di strumenti musicali tramite la riproduzione di fraseggi simili a quelli strumentali.
Non prevede però l’uso di parole compiute, bensì di fonemi del suono accattivante che il cantante utilizza in chiave ritmica oltre che melodica. I brani in cui si può ascoltare lo Scat sono di solito veloci e allegri, e non di rado esso viene utilizzato in chiave grottesca e caricaturale.

“[…] Era il 1926 quando André Scheaffner pubblicò le sue osservazioni sul modo in cui gli strumentisti di Jazz afroamericani erano diventati <>; Alyn Shipton dice: “io stesso, nei capitoli, di questo libro ho sottolineato come, in alcune incisioni dell’anno precedente, la cornetta di Louis Armstrong presentasse analogie con il canto Blues di Bassie Smith. La sua prassi esecutiva, insieme a quella di altri musicisti quali il trombonista Charlie Green, assimilò elementi del timbro, dell’informazione e della forza emotiva delle cantanti di Blues Classico, usandoli per arricchire il linguaggio improvvisativo del jazz. Ma, se si accetta il paradosso di Joachim Berendt citato qualche riga sopra, è anche vero che all’incirca nello stesso periodo i cantanti cominciarono ad appropriarsi almeno in parte della nuova libertà ritmica e melodica introdotta dagli strumentisti […]”.

“[…] La Watters era sofisticata e raffinata, capace, allo stesso tempo e in eguale misura, di iniettare in una canzone ironia, doppi sensi e ricercatezze; le colleghe all’altezza della sua classe, per quel che riguarda la raffinatezza, erano artiste di rivista come Elisabeth Welch e Adelaide Hall, mentre per l’energia emanata era più vicina a cantanti blues come Alberta Hunter. A parte queste vocalist, conosciute professionalmente in parallelo con la Waters, molte altre cantanti afroamericane degli anni Venti basarono il loro stile direttamente sul suo, compreso l’uso precoce delle sillabe “scat”.
Un primo esempio degno di nota di canto scat senza parole e la performance di Edith Wildon su Dixie Blues, del 1922, che anticipa il successivo utilizzo da parte di Duke Ellington della voce femminile in un ruolo strumentale.

Il critico Henry Pleasants descrisse con grande efficacia la Waters e le sue colleghe definendole <> piuttosto che cantanti di Blues “classico”, nel senso che la maggior parte delle loro canzoni era tratta dalla tradizione del vaudeville anziché dal blues.
Nella sua accurata storia del canto jazz, Will Fried Wald sostiene che quest’aspetto della loro produzione “si allontanava dallo stile nero indigeno per diventare sempre più albino”.
A mio modo di vedere questo significa inaugurare l’importanza del signififyn (g) nella loro espressività.
Non importa che alcune delle forme e dei testi che cantavano arrivassero direttamente da Tin Pan Alley: la consapevole ironia con cui venivano esposti e le allusioni contenute nelle parole servono generalmente a “raccontare una storia” a diversi livelli.

Questo di applicarla nella maggior parte della produzione di Ethel Waters sin dai primi anni Venti, ma è particolarmente vero per un numero selezionato di sue contemporanee, cantanti che a partire dalla metà del decennio” del Novecento, “andarono in Europa per esibirsi di fronte a un pubblico prevalente bianco.
Friedwald sostiene che “ripulirono gli aspetti più grezzi della tradizione afroamericana e intrinsecamente raffinato e consapevole” […]”.
(Il testo virgolettato è tratto dal libro, dal titolo: “Nuova storia del jazz”, autore Alyn Shipton, a cura di Vincenzo Martorella, titolo originale: “A new New History of Jazz”, 2007 Alyn Shipton, 2011 Giulio Einaudi Editore S.P.A. – Torino).
Ora abbiamo visto come la canzone Blues è nata.

Ora vediamo come la canzone moderna nasce, nasce nel dopoguerra, nel 1950, nascono nuove interpreti che daranno un altro modo di interpretare i brani, questi sono brani che gli autori scrissero nella maggior parte per i film, per commedie e per i musical americani, essi vengono chiamati Standards.
Le cantanti che le interpretano sono, Sheila Jordan, Anita O’Day, Sarah Vaughan, Betty Carter, Carmen McRae”.
Ma anche cantanti uomini uno tra questi l’italoamericano Frank Sinatra, che fu anche attore. Un cantante dalla voce da crorner e confidenziale. Così negli anni Cinquanta e Sessanta, o ci si dedicava al repertorio leggero, oppure si rimaneva semplici intrattenitori. Ben pochi rimasero tanto flessibili da riuscire così a giocarsi tra il genere Musica Jazz e la Musica Leggera: lo fu, negli anni Cinquanta la regina dello Scat, Ella Fitzgerald, con la sua serie discografica, “Song Book”, per la label Verve Records del produttore, Norman Granz, e in seguito lo furono altri cantanti orientati al genere Bop, con un fraseggio spiritoso, sofisticato e in qualche modo sassofonistico.

Ma, come già in passato, l’essenza dei cantanti jazz di quest’epoca non risiedeva dell’imitazione dei fiati ma nell’interpretazione personale e spontanea, nella trasformazione talvolta curiosa delle canzoni e nella valorizzazione delle qualità sottili, espressive uniche della voce umana.
Ecco abbiamo visto come lo stile colorito si è evoluto nel tempo. I primi chiamati metaforicamente parlando, i primitivi del canto, gli afroamericani che inventarono questo stile canoro, il Blues e dando via poi agli altri stili moderni della canzone leggera.

Non solo i cantanti negli anni Cinquanta cantavano il Blues, ma venne in voga anche lo stile chiamato col il nome di Voci Post Guerra.
Ed ora è la volta di parlare di un cantante, che è stata chiamata Lady Day, Billie Holiday.
Billie nacque una notte d’amore tra il sedicenne Clarence Holiday, un suonatore di banjo e la tredicenne Sadie Fagan, ballerina di fila il 7 aprile del 1915, a Philadelphia.
Il padre non si occupò quasi mai di lei, abbandonandola quasi subito dopo la nascita per seguire le orchestre itineranti con cui suonava.

La Holiday trascorse i primi anni a Baltimora, spesso indicata come citta di nascita, ma recenti ricerche hanno indicato che era nata in realtà a Philadelphia, dove sua madre Sadie lavorava come domestica, trattata duramente dalla cugina della madre, a cui questa aveva affidato la figlia mentre lavorava come domestica a New York.
Ancora bambina, raggiunse la madre a New York, e cominciò a procurarsi da vivere prostituendosi in un bordello clandestino di Harlem, guadagnando qualche soldo più pulendo gli ingressi delle case del quartiere; non si faceva pagare solo dalla tributaria del bordello, che in cambio le lasciava ascoltare i dischi di Bessie Smith e Louis Armstrong sul fotografo del salotto. Quando la polizia scoprì il bordello, Billie fu arrestata e condannata a quattro mesi di riformatorio. Rimessa in libertà, per evitare di tornare a prostituirsi cerco lavoro come ballerina in un locale notturno. Non sapeva ballare ma fu assunta immediatamente quando la sentirono cantare, e a quindici anni iniziò la carriera di cantante nei club di Harlem.
In questo periodo le colleghe iniziarono a chiamarla Lady, la signora perché si rifiutava di ricevere le banconote delle mance dei clienti, come facevano tutte, infilate nella camicetta.

“[…] Fu tra il 1900 e il 1920 che i linciaggi raggiunsero l’apice della violenza. Come spiegò H.L. Mencken, giornalista e umorista sardonico che viveva a Baltimora a quei tempi, la vita al Sud forse non offriva molti diversivi e i linciaggi spesso prendono il posto delle giostre, dei teatri, delle orchestre sinfoniche e di altri passatempi propri di comunità più ampie.
Migliaia di persone si presentavano per assistere a quegli spettacoli, venivano ben pubblicizzati, e i ministri del culto battista e metodista operavano fianco a fianco con il Ku Klux Klan, pronunciando sermoni che incitavano a una escalation di odio e violenza razziali. Benché la mistificazione della volontà di proteggere le donne bianche dai maschi di colore si fosse perpetuata, spesso un linciaggio veniva scatenato dalla minima indicazione di un atteggiamento arrogante, per esempio se un nero cercava un impiego superiore alla sua condizione, dall’uso di un linguaggio offensivo o di frasi tronfie. Persino la marcata esibizione di un successo materiale, come l’acquisto di una macchina nuova o il ritorno a casa di un militare con una medaglia al valore, poteva essere interpretata come un segno di arroganza […]”.

“[…] Nel 1938, Billie si unì all’orchestra tutta bianca di Artie Shaw e andò in tournée insieme a loro. Ciò implico che spesso le venisse rifiutato l’ingresso negli alberghi in cui stavano gli altri musicisti, l’impossibilità di mangiare insieme a loro nei ristoranti o di bere con loro nei bar. Nel Sud, si era trasformata in una fuggiasca, impossibilitata persino a utilizzare i bagni pubblici e sempre pronta a nascondersi in caso di pericolo. Fu nel corso di quella tournée che si trovò coinvolta in più di uno scontro violento e potenzialmente pericoloso, ogni volta uno del pubblico chiedeva alla negretta di cantare un’altra canzone. In seguito Artie Shaw descrisse l’intera esperienza nel Sud come un incubo, dal principio alla fine. Quando l’orchestra faceva ritorno a New York, suonarono al Lincoln Hotel e persino lì, in un edificio intitolato alla memoria del Presidente che aveva proclamato l’uguaglianza di tutti gli americani Billie venne trattata come una cittadina di serie B.

In seguito dichiaro: Non mi veniva mai consentito di andare al bar o al ristorante. Ero costretta a entrare e uscire dalla cucina e dovevo restarmene sola nel mio stanzino per tutta la sera, finché non venivo chiamata a fare il mio numero. L’orchestra inoltre era impegnata in una serie di programmi radiofonici, ma la ditta di tabacchi che li promuoveva insistete che la voce di Billie non venisse passata via etere e così fu rimpiazzata dalla cantante bianca Helen Forrest”. Pensate che frustrazione potesse essere per i musicisti professionisti, come in questo caso Artie Shaw lavorare in queste condizioni, così difficili. “Billie, disgustata, ci rinunciò e andò a lavorare in un club appena aperto che si chiamava Cafe’ Society. Era gestito da Barney Josephson, un ex venditore di scarpe ebreo che voleva un posto in cui il pubblico bianco e quello nero potessero mischiarsi con dignità e rispetto reciproco. A Billie piaceva l’atmosfera e così ci rimase per nove mesi. Barney Josephson la descrisse come una persona sensibile e orgogliosa che faceva quello che le andava.
“Sapeva raccontare delle belle barzellette. Se la prendevi per il verso sbagliato, te lo faceva capire a chiare lettere. Quando ti diceva di andare al diavolo, non scherzava affatto: bianco, nero, ricco, povero!”

Nell’aprile del 1939, un giovane insegnante ebreo di nome Abel Meeropol venne invitato al cafè Society. Aveva scritto una canzone intitolata Strange Fruit, la sua reazione di fronte alla fotografia di un linciaggio.
Josephson desiderava che Billie la cantasse così Meeropol si accomodò al pianoforte insieme a lei e insieme affrontarono la canzone.

Secondo Josephson, a cui piaceva sempre quel tipo di battuta, Billie dapprima non capì “cosa diavolo volesse dire quella canzone” e solo in seguito il significato fece breccia in lei. Ma Meeropol racconto un’altra versione della sua reazione. Disse che inizialmente “non sembrava molto a suo agio con quella canzone perché era così diversa da tutte le altre canzoni a cui era abituata. È comprensibile”. Gli chiese che cosa volesse dire la parola “pastorale” e lui fece del suo meglio, da insegnante quale era, per spiegarle che si riferiva a pastori maschi e femmine e a prati verdi e che in questo caso era usata in tono ironico, al fine di scioccare l’ascoltatore.

Meeropol disse che rivide Billie pochi giorni dopo e che fece un’interpretazione stupefacente, estremamente sofferta ed efficace, che sarebbe stata in grado di scuotere qualsiasi pubblico. Ed era esattamente quello che volevo che la canzone riuscisse a fare, nonché il motivo per cui l’avevo scritta. Lo stile di Billie si sposava perfettamente con l’amarezza la qualità traumatizzante che speravo la canzone potesse avere. Il pubblico le tributo’ un’ovazione intensissima.
La gente iniziò a venire al cafe’ Society solo per sentire quella canzone. E, per il resto della sua vita, Billie la canto in tutta l’America e in tutta Europa.

Fece persino inserire una clausola nei suoi contratti in base alla quale l’avrebbe cantata anche in quei club dove avrebbero preferito che si attenesse a un repertorio di canzoni d’amore felici e infelici. Sostenne sempre che “Strange Fruit” era uno dei motivi per cui l’Agenzia Federale per i Narcotici e l’FBI la perseguitano con tanta ferocia. Disse che non era un caso che avesse sfidato l’ordine di non cantarla all’Orale Theaater di Philadelphia e che il giorno seguente fosse stata arrestata sulla base di accuse che avrebbero portato alla sua incarcerazione.

Lena Horne disse che con “Strange Fruit” Billie tradusse in parole ciò che molta gente aveva visto e sperimentato in prima persona. Era come se intraprendere con melodia e parole le stesse cose che io sentivo nel mio cuore. Leonard Feather la definì la prima protesta significativa espressa in parole e musica, il primo grido non attenuato contro il razzismo, e per il produttore discografico Ahmet Ertegun si trattò di una dichiarazione di guerra… l’inizio del movimento per i diritti civili. Il batterista Max Roach era convinto che fosse più che rivoluzionaria. La sua era una dichiarazione che, in quanto gente di colore, noi condividevamo tutti. Non c’era nessuno che facesse sentire la propria voce. Quella bellissima donna che cantava e sapeva emozionarti si unì a chi stava lottando.

Nello stesso anno in cui il disco venne pubblicato, ne furono mandate alcune copie a tutti i membri del Senato degli Stati Uniti, come forma di protesta contro i linciaggi. L’attivista per i diritti civili Walter White mandò una lettera a Billie e si complimento’ con lei per ciò che aveva fatto. Girò persino la voce che potesse esserle conferito il Premio Spingarn, attribuito ogni anno a una persona di colore che si fosse distinta per azioni straordinarie, però non se ne fece nulla perché le autorità religiose disapprovavano la gente dello spettacolo.

Billie dichiarò spesso che quella canzone le ricordava di come suo padre era stato “ucciso dalle leggi (leggi segregazioniste) del Sud di Jim Crow” e che era il suo ricordo a bagnarle gli occhi di lacrime mentre la cantava. Mal Waldrom, il suo pianista, disse che spesso decideva di cantarla per farsi coraggio quando si sentiva esposta a una minaccia. Oppure quando il suo camerino non era troppo bello o se la polizia la stava aspettando o l’aveva fermata o qualcosa del genere. Esiste una sequenza filmata di Billie che canta “Strange Fruit” al Chelsea Palace Studios di Londra nel febbraio del 1959. Billie si è fatta terribilmente sottile e l’abito che indossa pioggia sull’impalcatura spigolosa delle spalle.

A i capelli pettinati all’indietro e raccolti in una lunga coda di cavallo. Ha un aspetto austero e meraviglioso e il suo viso ha assunto l’iconografia astratta di una divina maschera. Benché si esibisca di fronte a un pubblico, hai l’impressione che sia persa nei suoi pensieri e che sia incurante di ciò che le intorno. Canta molto lentamente, caricando ogni parola della massima intensità, consentendo alla terribile forza delle immagini di crescere […]”.

(Il testo è tratto dal libro dal titilo: “Lady Day, la vita e i tempi di Billie Holiday. Capitolo diciassette, Strange Fruit, pagg. 125, 126, 128. Autore Julia Blackburn. Traduzione di Sebastiano Pezzani, ricerca iconografica di Flavia Abbinate, Julia Blackburn, 2005, Gruppo Editoriale il Saggiatore S.p.A., Milano 2007).

Nel 1933, Billie Holiday diciottenne, mentre cantava nel locale Log Cabin, fu notata dal produttore John Hammond, che le organizzò alcune sedute in sala di incisione con il suo cognato, il musicista Benny Goodman.
Tra il 27 novembre e il 3 dicembre incise i suoi primi due dischi con l’orchestra del clarinettista Goodman: il titolo dei brani, Your Mother’s Son-in-low e Riffin’ the Scotch, che passarono purtroppo inosservati. Ma Hammond continuò a credere in Billie Holiday, e nel 1935 il produttore le procurò un contratto con il pianista Teddy Wilson per alcune incisioni sotto la label Brunswick Records, che ebbero successo e fecero conoscere la cantante. Si imponeva per la sua voce intensamente drammatica, per la capacità di “volare” sul tempo e per l’emozione che sapeva trasmettere anche sui testi banali.

L’anno dopo Billie cominciò a incidere col proprio nome per una nuova label, la Vocalion Records. Successivamente lavoro nelle grandi orchestre, con grandi musicisti come Count Basie, Artie Shaw e Lester Young, al quale fu legata da un’intensa rapporto d’amicizia e per il quale gli coniò il soprannome Prez, il Presidente, mentre egli inventò per lei il nome di Lady Day. All’inizio degli anni Quaranta la cantante sposata, soffrì per il matrimonio tormentato e per la morte della madre. Ciò non le impedisce di continuare la sua carriera professionale di cantante e realizzare così eccellenti incisioni per la label Commodore Records, con l’orchestra del pianista Eddie Heywood, come il singolo Embraceable you nel 1944, con il quale la cantante Billie Holiday vinse il premio Grammy Hall of Fame Award, nel 2005.

Fu protagonista anche di un film partecipò ad un musical, dal titolo La città del jazz nel 1947 accanto al trombettista Louis Armstrong, la cantante poi assunse un nuovo impresario, Norman Granz, che le procurò scritture con importanti musicisti, trai quali Benny Certer, Oscar Peterson, Ben Webster, Coleman Hawkins, Buck Clayton, Toni Scott e il pianista Mal Waldron, che negli ultimi anni l’accompagnò in tutti i concerti.

Nel 1954 la cantante si trasferì in Europa, fece una tournée, venne anche in Italia una sola volta nel 1958, a Milano dal 3 al 9 novembre, si esibi in un teatro di avanspettacolo. Il pubblico, non abituato non gradi’ la Musica Jazz e lo spettacolo e la Holiday non pote nemmeno cantare tutti i brani in scaletta, e dopo il quinto pezzo fu fatta tornare in camerino.
L’ultimo giorno di permanenza della cantante a Milano il 9 novembre, fu organizzato da appassionati e intenditori di Musica Jazz uno spettacolo riparatore al Teatro Gerolamo, in piazza Beccaria, grazie al fido Mal Waldron, il pubblico le tributo’ una vera ovazione.

All’inizio dell’anno 1959 la cantante Billie Holiday scoprì di essere affetta da cirrosi epatica. Su invito del medico, decise di smettere di bere, ma riprese di nuovo a farlo, poco tempo dopo. Nel mese di maggio il suo peso scese di 9 chili, molte persone che le erano vicine, tra cui il suo manager, il giornalista Allan Morrisone e diversi amici, cercarono di convincerla a ricoverasi in ospedale, senza successo. Il 15 marzo poi venne a mancare il suo vecchio amico, il sassofonista Lester Young, i parenti del musicista non fecero cantare Billie Holiday al funerale di Young, questo fece sì di turbarla molto.
Il 31 maggio dello stesso anno la cantante fu trovata a terra incosciente nel suo appartamento di New York. Fu immediatamente ricoverata ma anche arrestata perché nella sua stanza avevano trovato della droga. Al Metropolitan Hospital Center le analisi evidenziarono problemi al fegato e disturbi cardiovascolari.

La carriera e la vita della cantante Billie Holiday furono segnate dell’ostilità dei suprematisti bianchi, dalla dipendenza dall’alcol e dalla droga, da relazioni burrascose e da problemi finanziari. Anche la sua voce ne risentì, e nelle sue ultime registrazioni l’impeto giovanile lasciò il rimpianto.
Il suo impatto sugli artisti fu comunque notevole in ogni fase della carriera.

Tra le canzoni più famose del suo repertorio della Holiday vanno ricordate, God Bless the Child da lei composta, questa vinse il premio Grammy Hall of Fame Award nel 1976, Lover Man del 1945, premiata sempre con il Grammy Hall of Fame Award nel 1989, I Loves You Porgy e The Man Love del compositore e musicista George Gershwin, Billie’s Blues, Fine and Mellow, Stormy Weather, Strange Fruit. Quest’ultima canzone fu negli anni Quaranta l’inno della protesta per i diritti civili, in un’epoca in cui il suprematismo bianco era estremamente forte, i neri non avevano diritto al voto né ad un giusto processo, i linciaggi di neri ad opera di bianchi non erano rari. Il brano ebbe un’enorme impatto e per questo venne osteggiato, in quanto fu la prima canzone popolare a parlare esplicitamente di tali temi.

Billie Holiday nel 1956 scrisse la sua autobiografia, Lady Sings the Blues. In Italia e stata pubblicata dalla Casa Editrice Longanesi nel 1959, con il titolo in italiano: “La Signora Canta il Blues”, nella traduzione di Mario Cantoni.
All’inizio del nuovo Millennio il 2002, l’album Lady Day: The Complete Billie Holiday su label Columbia Records 1933-1944, vince il Grammy Award for Best Historical Album.
Il 15 luglio la cantante Billie Holiday ricevette l’estrema unzione secondo il rito cattolico; due giorni dopo morì. Erano le 3:10 antimeridiano del 17 luglio 1959. Il referto medico della morte evidenziò un edema polmonare e un’insufficienza cardiaca.

POST Scriptum.
Agli appassionati di Musica Jazz e di canto, consiglio questo libro dal titolo:” Lady Day La vita e i tempi Billie Holiday, autore Julia Blackburn, traduzione di Sebastiano Pezzani. Ricerca iconografica di Flavia Abbinante, Gruppo Editoriale il Saggiatore S.p.A, Milano 2007.

A cura di Alessandro Poletti – Foto Redazione

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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