Salto di specie, avanti il prossimo!

Per ora il suo nome è solo “Virus X”: è quello che, secondo gli scienziati è pronto a passare dagli animali all’uomo.

Sono gli 887 virus, al momento presenti in specie selvatiche, che sono stati caratterizzati e classificati dai ricercatori dell’Università della California sulla base del progetto Predict: un vasto programma di ricerca finanziato dall’agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale.

Un virus figura tanto più in alto quanto maggiore è la sua probabilità di fare un salto di specie, cioè di passare da animali selvatici all’uomo, a causa di mutazioni genetiche.

Come si sa, un virus può passare da una specie selvatica all’uomo più di una volta nel corso della storia, in seguito a mutazioni che lo rendono adatto a divenire nostro “ospite”.

Così non deve sorprenderci che tra i microorganismi più pericolosi ci sia proprio il Sars- Cov 2, responsabile dell’attuale pandemia, classificato secondo, e seguito da Ebola.

Al primo posto figura il virus di Lassa, che provoca una terribile febbre emorragica e fece il suo debutto nel centro Africa nel 1969.

Certo, la prossima epidemia potrebbe anche essere innescata da un altro tipo di agente patogeno, per esempio un batterio, un fungo o un prione, ma i risultati di Predict suggeriscono che sono i virus a Rna quelli da tenere d’occhio maggiormente.

Scenario troppo pessimista? Due sono i buoni motivi alla base: il primo è frutto di un ragionamento induttivo: a partire dalla febbre tifoide nella Grecia del V Secolo a,c, nella storia si sono succedute epidemie con cadenza quasi fissa, alcune con cause mai chiarite come la cosiddetta “ malattia del sudore”, che ebbe origine in Inghilterra nel 1485 e colpì l’Europa a più riprese fino al 1551.

Se il passato è stato scandito da pandemie, non c’è motivo di ritenere che il futuro sarà diverso, visto che il progresso della medicina poco può fare contro virus che mutano.

La seconda ragione è che le epidemie dovute a virus emergenti stanno crescendo con frequenza e gravità.

Ricordiamoci bene che ciò accade principalmente a causa della mala gestione di attività squisitamente umane: la deforestazione, l’intensificarsi della produzione agricola, il riscaldamento globale, tutto ciò insomma che ha rotto l’equilibrio ecologico, alterando le dinamiche di trasmissione tra le specie selvatiche e aumentando i contatti tra esse e l’uomo.

L’ordine di grandezza, a mo di esempio, dal 2010 al 2020 ce lo fornisce uno studio di Greenpeace, che dice che circa 50 milioni di ettari di foreste, pari alla superficie della Spagna, sono andate distrutte a causa dell’aumento della produzione agricola e gli effetti del riscaldamento globale.

Distruggere gli habitat naturali, come i boschi, significa costringere le specie a venire più a contatto fra loro, e a vivere in spazi ristretti vicino all’uomo.

La riflessione finale credo che debba , senza alcun dubbio, essere questa: oggi la tragedia del Covid- 19 ci deve ricordare per l’ennesima volta che i nostro destino non è indipendente da quello degli ecosistemi terrestri.

Riusciremo a ricordarcene, e a farne tesoro per il futuro dei nostri figli?

A cura di Sandra Vezzani editorialista – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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