Auto incolonnate al porto di Dover nello Stretto della Manica

Il 2022 non passerà alla storia come una “buona annata” per l’automotive italiano: secondo i consuntivi di Unrae (l’associazione dei costruttori esteri che operano in Italia), infatti, l’anno che si avvia a conclusione sarà archiviato con circa 1,3 milioni di immatricolazioni. Dato che corrisponde a un calo del 10,8% sul 2021 e del 5,9% sul 2020. E, addirittura, del 32,2% rispetto ai livelli pre-pandemici del 2019. E, soprattutto, un livello talmente basso da richiamare i numeri degli anni ’70.

E se è vero che per il 2023 è prevista una leggera ripresa (il computo dovrebbe chiudersi a 1,4 milioni di unità, in crescita del 7,7%), siamo tuttavia ancora lontani da cifre che garantirebbero una piena tutela dei livelli occupazionali del settore.

Ancora battute d’arresto, poi, per la transizione verso l’elettrico, mentre le ibride non ricaricabili cresceranno ulteriormente. “Nel 2023 la quota dei modelli elettrici ed ibridi plug-in crescerà, anche se nel 2022 le elettriche pure scenderanno dal 4,6% del 2021 al 4%”, sostiene il direttore generale dell’Unrae, Andrea Cardinali. Nel 2023, quindi, la quota di mercato delle ibride plug-in toccherà il 6,8% mentre le elettriche pure dovrebbero rappresentare il 6%. Più forti gli incrementi attesi per le ibride mild e full, per cui si prevede una fetta di mercato che passerà dal 29% del 2021 al 34% del 2022 e, successivamente, al 36,6% del 2023. Mentre benzina e diesel potrebbero chiudere il 2023 rispettivamente al 25,4% e al 16,7%.

Unrae, comunque, tiene il punto su quelli che, secondo l’associazione, sono i requisiti fondamentali affinché il settore torni in salute: in linea col principio della neutralità tecnologica, Unrae richiede di mantenere e potenziare gli incentivi all’acquisto di vetture a basso impatto ambientale. Elaborare una politica infrastrutturale per la ricarica elettrica e il rifornimento a idrogeno, nonché rivedere l’impianto fiscale del settore automotive, in particolare attraverso una revisione di detraibilità IVA e deducibilità dei costi in base alle emissioni di CO2 per le auto aziendali. Infine, pianificare una riconversione industriale della filiera automotive, al passo con l’elettrificazione del settore.

Nel frattempo, il Presidente dell’Unrae, Michele Crisci, ha inviato una lettera aperta al premier Giorgia Meloni per sensibilizzare il Governo sul delicato periodo che sta attraverso il settore: “L’introduzione ormai definitiva di nuove tecnologie motoristiche che riducano fortemente l’impatto ambientale, di tecnologie legate, all’elettronica, al digitale, all’intelligenza artificiale, stanno profondamente sfidando la capacità dell’Italia di tenere il passo. I sacrosanti target ambientali dettati dall’Europa impongono una riconversione industriale rapida ed efficiente, basata su queste nuove tecnologie e non sulla difesa del passato”.

Nella missiva Crisci sottolinea che la questione è strettamente legata anche al mondo della componentistica: “Oltre il 60% del fatturato delle aziende italiane si sviluppa verso le aziende estere che UNRAE rappresenta.

Le chiedo cosa succederà alle nostre aziende italiane quando le loro clienti estere, come sta accadendo, si concentreranno velocemente sul fabbisogno solo di queste nuove tecnologie? Come saranno in grado le aziende della componentistica italiana di rispondere a questa sfida per mantenere quel 60% di fatturato… senza il quale è facile prevedere la loro chiusura e la perdita di migliaia di posti di lavoro? Difendere il passato non significa proteggere l’Italia dagli “invasori esteri” come qualcuno continua a dire in giro… piuttosto ahimè significa consegnare le nostre aziende ad un futuro… senza futuro”.

E allora: come velocizzare questa riconversione? “Dando direzioni chiare al mercato (operatori e clienti, sia aziende che consumatori) sull’accoglimento delle nuove tecnologie. Perché solo un mercato in salute (e quello italiano non lo è più da tempo) può rappresentare un’interessante area dove investire, sia per le nostre aziende che per quelle estere. Sì, perché quello a cui stiamo assistendo in Italia è una serie di provvedimenti poco pragmatici, quasi di facciata o che spesso, per non si capisce quale “fine ultimo sociale”, restano incompiuti e inefficaci”.

Il presidente dell’Unrae fa riferimento agli incentivi basati sulle classi di CO2, “che prima sono stati ben pensati su base triennale e poi sono stati rovinati da limitazioni senza senso, quali le soglie di prezzo o l’esclusione delle aziende, che di fatto ne hanno completamente sterilizzato l’efficacia. Ma mi riferisco anche e soprattutto alla ormai cronica assenza di una revisione fiscale sull’automotive, per le auto aziendali e non solo”.

Inoltre, “L’Italia deve poter contare su infrastrutture di ricarica in grado di convincere gli italiani di quale sia la scelta da fare, con impianti di ricarica potenti, capillari su tutto il territorio italiano, su tutte le autostrade e le strade di maggior traffico. Oggi per l’elettrificazione, domani o forse prima, per l’idrogeno. Investire sulle infrastrutture sarà una grande opportunità per le aziende italiane, esattamente quelle che vogliamo difendere”.

Una transizione in cui le vetture elettrificate avranno un compito importante: “Le auto legate ai cicli omologativi ante euro 5 (4,3,2,1) vanno gradualmente ma velocemente sostituite, aiutando chi non è in grado di farlo con scivoli verso ibridi o piccoli endotermici nuovi e/o usati di ultima generazione, virtuosissimi rispetto alle auto che guidano, che invece vanno inderogabilmente rottamate. Non possiamo pensare e nemmeno aspettare che sia l’elettrico o l’idrogeno la soluzione in questo caso specifico perché la legge della domanda e dell’offerta e i costi relativi non lo consentirebbero”.

A cura di Renato Lolli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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