Stop a molte varietà di pesce fresco a tavola per l’avvio del fermo pesca che porta al blocco delle attività della flotta italiana lungo l’Adriatico. A darne notizia è Coldiretti Impresapesca in occasione dell’avvio del provvedimento per risparmiare le risorse del mare.

Risorse naturali del pianeta per il 2019 già consumate
Il fermo pesca scatta proprio in occasione dell’ Overshoot day, il giorno in cui l’uomo ha gia’ utilizzato tutte le risorse naturali che la Terra puo’ rigenerare nell’intero 2019.

Stop alle attività dei pescherecci per 30 giorni consecutivi, dal 29 luglio fino al 27 agosto
Il fermo pesca – sottolinea la Coldiretti – bloccherà le attività dei pescherecci per 30 giorni consecutivi, dal 29 luglio fino al 27 agosto dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche e della Puglia. Il blocco inizialmente varrà infatti – spiega la Coldiretti – da Trieste ad Ancona e da Bari a Manfredonia, mentre lungo l’Adriatico nel tratto da San Benedetto e Termoli le attività si fermeranno il 15 agosto (fino al 13 settembre). Per quanto riguarda il Tirreno lo stop scatterà da Brindisi a Roma dal 9 settembre all’8 ottobre e da Civitavecchia a Imperia dal 16 settembre al 15 ottobre. Per Sicilia e Sardegna – spiega Coldiretti Impresapesca – sarà, invece, fissato per un mese tra agosto e ottobre su indicazione delle Regioni.

La novità: giornate aggiuntive di blocco da 7 a 17 giorni entro il 31 dicembre 2019
La novità di quest’anno è che – spiega Coldiretti Impresapesca – in aggiunta ai periodi di fermo fissati i pescherecci dovranno effettuare ulteriori giorni di blocco che vanno da 7 a 17 giorni, a seconda dalla zona di pesca alla quale sono iscritti. Le giornate di stop saranno decise direttamente dai pescatori che dovranno darne comunicazione scritta entro le ore 9 del giorno stesso. L’intero ammontare delle giornate aggiuntive dovrà essere obbligatoriamente effettuato entro il 31 dicembre 2019.

Adriatico, scatta il fermo pesca
Adriatico, scatta il fermo pesca
l’Italia importa dall’estero 8 pesci su 10, e col fermo pesca il rischio è di mangiare solo pesce estero
In un Paese come l’Italia che importa dall’estero 8 pesci su 10, nei territori interessati dal fermo biologico aumenta peraltro anche il rischio – sottolinea Impresapesca Coldiretti – di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato se non si tratta di quello fresco Made in Italy proveniente dalle altre zone dove non è in atto il fermo pesca e dagli allevamenti nazionali.

Chi può acquista il pescato delle imbarcazioni locali
Una soluzione è offerta dalla produzione locale dovuta alle barche delle piccola pesca che possono ugualmente operare. Va specificato infatti che non tutte le imbarcazioni sono interessate dal fermo pesca. Sono vietate la pesca “a strascico” (triglie, sogliole, rombi, canocchie, seppie…), e la tecnica di pesca “a volante” (con cui si catturano alici, sardine, sgombri, saraghi, cefali…) mentre sono invece liberi di rifornire il mercato ittico i medi e piccoli pescherecci equipaggiati con attrezzi e strumenti fissi, come reti da posta, cogolli, parangali, nasse…Fondamentale quando si acquista il pesce è quindi controllare i luoghi di provenienza.

Etichetta e prezzo dicono molto
L’importanza delle indicazioni in etichetta
“Per non cadere in inganni pericolosi per la salute occorre garantire la trasparenza dell’informazione ai consumatori dal mare alla tavola estendendo l’obbligo dell’indicazione di origine anche ai menu dei ristoranti con una vera e propria ‘carta del pesce'” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. Infatti sul bancone del mercato l’etichetta per legge deve già prevedere l’area di pesca (Gsa), anche se non ancora quella della data in cui il prodotto è stato pescato.

Le indicazioni Gsa. La provenienza è obbligatoria
Le provenienze sono quelle dalle Gsa 9 (Mar Ligure e Tirreno), 10 (Tirreno centro meridionale), 11 (mari di Sardegna), 16 (coste meridionali della Sicilia), 17 (Adriatico settentrionale), 18 (Adriatico meridionale), 19 (Jonio occidentale), oltre che dalle attigue 7 (Golfo del Leon), 8 (Corsica) e 15 (Malta)

Campagna Amica di Coldiretti
Ma si può anche rivolgersi alle esperienze di filiera corta per la vendita diretta del pescato che Coldiretti Impresapesca ha avviato presso la rete di Campagna Amica. Nonostante la riduzione del periodo fisso di blocco delle attività, l’apertura alla tutela differenziata di alcune specie e la possibilità per le imprese di scegliere i restanti giorni di stop, come richiesto da Coldiretti Impresapesca, il giudizio sull’assetto del fermo pesca 2019 non può essere positivo.

“Il fermo pesca da solo non risolve i problemi, servono interventi radicali perchè le risorse del mare continuano a diminuire”
La categoria ha più volte negli anni chiesto una radicale modifica di questo strumento di gestione che non risponde più da tempo alle esigenze della sostenibilità delle principali specie target della pesca nazionale, tanto che lo stato delle risorse nei 34 anni di fermo pesca è progressivamente peggiorato, come anche parallelamente lo stato economico delle imprese e dei redditi.

La produzione è crollata, e sono andati in fumo 18 mila posti di lavoro in Italia
Questo ha determinato nel periodo un crollo della produzione – conclude Coldiretti Impresapesca -, la perdita di oltre 1/3 delle imprese e di 18.000 posti di lavoro. L’auspicio è che dal 2020 si possa partire dalle novità positive per mettere in campo un nuovo sistema che tenga realmente conto delle esigenze di riproduzione delle specie e delle esigenze economiche delle marinerie.

Le importazioni dall’estero superano il miliardo di chili
Nei mari italiani si pescano ogni anno circa 180 milioni di chili di pesce cui vanno aggiunti gli oltre 140 milioni di kg prodotti in acquacoltura – spiega Coldiretti Impresapesca – mentre le importazioni dall’estero hanno ormai superato il miliardo di chili, secondo un’analisi su dati Istat relativi al 2018.

Attenzione a pangasio venduto come cernia e al filetto di brosme spacciato per baccalà
Una situazione che lascia spazio agli inganni dal pangasio del Mekong venduto come cernia al filetto di brosme spacciato per baccalà, fino all’halibut o la lenguata senegalese commercializzati come sogliola. Una frode in agguato sui banchi di vendita in Italia e soprattutto nella ristorazione dove non è obbligatorio indicare la provenienza.

I trucchi nel piatto: dal polpo del Vietnam alle vongole turche
Tra i trucchi nel piatto più diffusi in Italia ci sono anche – continua la Coldiretti Impresapesca – il polpo del Vietnam spacciato per nostrano, lo squalo smeriglio venduto come pesce spada, il pesce ghiaccio al posto del bianchetto, il pagro invece del dentice rosa o le vongole turche e i gamberetti targati Cina, Argentina o Vietnam, dove peraltro è permesso un trattamento con antibiotici che in Europa sono vietatissime in quanto pericolosi per la salute.

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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