Altri due ricercatori hanno lasciato Google: si tratta di David Baker, ingegnere da 16 anni in attività presso l’azienda, e Vinesh Kannan, sviluppatore di software. La loro decisione sarebbe risposta ed espressione del dissenso al licenziamento, ritenuto assolutamente ingiusto, della collega Timnit Gebru, ricercatrice del team di etica dell’intelligenza artificiale, avvenuto lo scorso dicembre.

La Gebru aveva contributo alla lavorazione di un articolo che rilevava i bias (pregiudizi) presenti in alcuni software responsabili per l’analisi di enormi database linguistici, sottolineando la necessità di evitare che tali software andassero ad acuire pregiudizi di genere e usassero un linguaggio offensivo.

Dopo aver espresso la sua opinione, la Gebru sarebbe stata “caldamente consigliata” dal suo manager di rimuovere dall’articolo alcuni dati sensibili; la Gebru si è rifiutata di farlo, proponendosi solo di eliminare il proprio nome dall’articolo, in cambio di un confronto col proprio manager al fine di discutere, anche a fini futuri, quale sarebbe stato il modo corretto di gestire questioni etiche, e affermando che se l’azienda si fosse rifiutata se ne sarebbe andata in un secondo momento. Ebbene, non solo Google ha rifiutato il confronto con la donna, ma ha diffuso una comunicazione interna ai dipendenti informando che la Gebru si era dimessa e che le sue dimissioni erano state accolte. Dimissioni che la stessa Gebru dichiara di non aver mai dato.

“L’uscita di Gebru ha spento il mio desiderio di continuare come googler” dichiara Baker in una lettera in mano all’agenzia Reuters “Non possiamo dire di credere nella diversità e nel contempo ignorare la vistosa assenza di molte voci tra le nostre mura”. Stando alle sue parole si tratterebbe quindi di un chiaro segnale dei conflitti interni su ricerca, pregiudizi ed etica.
Kannan affida invece le sue riflessioni a Twitter: “Ho lasciato l’azienda perché è stata ingiusta in due casi, quello della ricercatrice Gabru e quello della ricercatrice April Curley che afferma di essere stata licenziata senza ragione”.

A dicembre, ossia all’epoca del licenziamento della Gebru, oltre 1200 ricercatori avevano già firmato una lettera aperta in suo sostegno in cui si accusa Google “di una censura senza precedenti e di un atto di ritorsione”, lettera che ad oggi hanno firmato in almeno 2600. Inoltre quasi un migliaio di dipendenti hanno aderito ad un sindacato per la tutela del proprio posto di lavoro, chiedendo in modo particolare libertà accademica e cambiamenti nella gestione aziendale.

Per fare luce sull’intera vicenda, va aggiunto infine un particolare, un dettaglio che potrebbe, secondo alcuni, illuminare le vere ombre del colosso informatico: sia la Gebru che la Curley si dichiarano black, persone di colore nero.

A cura di Sara Patron – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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