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Federico Fellini da Rimini rimane il più celebre regista italiano, fino al punto tale che mi viene fin troppo facile definirlo un “mostro sacro” della influenza neorealista. Federico, per noi romagnoli potrebbe essere assimilato al suo grande amico Tonino Guerra, due poeti visionari, ma la diversità predominante e che il regista gira film onirici, difficili da catalogare. Esiste però la parte dell’autobiografismo la sua identità stilistica più marcata.

Nasce a Rimini in una famiglia piccolo – borghese e manifesta velocemente una voglia di fuga verso Roma che è ben esposta in “I Vitelloni” (1953), ritratto vero e veritiero della vita in provincia attraverso le giornate di cinque fannulloni che s’inventano il quotidiano. L’inverno a Rimini è soltanto noia e rimpianto del tempo perduto, tra amici che si sposano, scappatelle, aspirazioni mai raggiunte, sogni del tutto infranti tra le onde che si agita.

Fellini si trasferisce in capitale e ama da subito via Veneto, frequentatissima, lì fa il disegnatore umoristico in riviste come “Marc’Aurelio”, comincia a lavorare alla radio e come sceneggiatore cinematografico. Nel 1943 s’innamora e sposa Giulietta Masina, conosciuta alla radio. Per campare vende disegni umoristici fino a quando il grande Roberto Rossellini lo invita per collaborare a Roma città aperta. Il regista più importante del neorealismo instaura con il giovane Fellini un rapporto che darà grandi frutti, lo vuole accanto anche per Paisà, L’amore (scrive l’episodio Il miracolo) e Francesco giullare di Dio.

Fellini inizia a scrive sceneggiature anche per altri personaggi cinematografici come Lattuada, Germi e Comencini, ma è solo nel 1950 che dirige il suo primo film in collaborazione con Alberto Lattuada. Si tratta di Luci del varietà, racconto di illusioni e delusioni di un capocomico di una piccola compagnia di avanspettacolo. Il primo film di Fellini con autonoma responsabilità di regia è Lo sceicco bianco (1952), interpretato da un giovanissimo Alberto Sordi che caratterizza un meschino divo dei fotoromanzi, molto diffusi in quegli anni.

Un altro lavoro importante del maestro è La strada, una favola commovente interpretata da Giulietta Masina, umile e ingenua donna innamorata che cerca di rendere migliore il rozzo Zampanò insieme a un assurdo personaggio chiamato Il Matto. I protagonisti sono tre attori girovaghi come Gelsomina (il sentimento e l’ingenua dolcezza), Zampanò (la forza bruta, la violenza, la bestialità) e Il Matto (la follia che diventa saggezza).

Fellini realizza poi un’opera poetica che vince l’Oscar come miglior film straniero e il Leone d’Argento a Venezia. Il bidone nel 1955, racconta le imprese di un gruppo di truffatori, ma soprattutto di Augusto che vorrebbe cambiare vita ma non ci riesce, alla fine cade in un giro peggiore e non scampa alla propria sorte. Il film contiene tutti i temi autobiografici cari al regista: i vitelloni, la provincia, la strada, il fatalismo, tanta introspezione drammatica e una religiosità di fondo conosciuta nella sua città natale, ancor giovanissimo.

Arriva Amore in città, un film sperimentale a episodi, scritto da Cesare Zavattini, nel quale Fellini si segnala per il surreale Agenzia matrimoniale, che racconta la storia di una donna che sposa un licantropo. Le notti di Cabiria invece è la storia di una prostituta ingenua e dal cuore d’oro (Giulietta Masina) che pensa di poter cambiare vita sposando uno sconosciuto. Vince l’Oscar per il miglior film straniero e la Palma d’Oro a Cannes, anche per le mirabili interpretazioni di Giulietta Masina e Amedeo Nazzari.

Fellini costruisce un film ironico e tragico ambientato nelle borgate romane, aiutato da Brunello Rondi e Pier Paolo Pasolini per i dialoghi, una sorta di apologia non strumentale sulla grazia e sulla redenzione, ma soprattutto sulla durezza della vita. Il capolavoro registico sta nell’aver saputo mettere la maschera ingenua e clownesca di Giulietta Masina a confronto con le brutture e le nefandezze della vita.

La dolce vita nel 1960, un vero capolavoro, racconta le gesta del giornalista Marcello Rubini interpretato da Marcello Mastroianni che ha abbandonato ogni ambizione letteraria e vaga per via Veneto a caccia di emozioni romantiche. Gli sceneggiatori Tullio Pinelli, Brunello Rondi, Ennio Flaiano e Federico Fellini descrivono incontri erotici, orge e folli avventure. Il film è un viaggio nella notte sfrenata di Roma, all’interno di una società corrotta dove crollano miti, valori e convenzioni. La dolce vita è una pietra miliare della carriera di Fellini, ma anche della storia del cinema, perché rompe con un vecchio modo di fare cinema.

La pellicola suscita enorme scandalo, sia per la famosa scena del bagno nella Fontana di Trevi della affascinante Anita Ekberg, sia per l’orgia finale con spogliarello, sia per alcune scene di amori extraconiugali. Si pensi che Oscar Luigi Scalfaro scrive due articoli come “Basta!” e “La sconcia vita” per mettere all’indice il film su “L’Osservatore Romano”, proprio mentre in parlamento si discute sulla moralità dell’opera.

Giunge dopo tre anni Otto e mezzo, film che vede ancora una volta primo attore Mastroianni nei panni di Guido, regista in crisi di ispirazione, ancora una volta alter ego di Fellini. La stupenda colonna sonora di Nino Rota resta nella storia del cinema ed è un motivetto suadente che spesso riecheggia nella memoria.

Non finisce mai il lavoro di Fellini, gira Giulietta degli spiriti nel 1965 è il primo film a colori e affronta il tema della distruzione delle certezze di un’esistenza. Una signora borghese, tradita dal marito, va in crisi, anche per colpa di un’educazione cattolica che la condiziona e le fa vivere visioni angosciose. La soluzione finale sarà la solitudine, non servono sesso, psicanalisi e rimedi esoterici. Poi Satyricon (1969) si ispira all’opera di Petronio Arbitro è una “Dolce vita” ai tempi dell’antica Roma che racconta l’educazione sentimentale di Encolpio e Ascilto. Il regista filma un delirio onirico di amore e morte in una Roma imperiale fatta di cene infinite, sesso, assassini, minotauri ed ermafroditi.

I clowns (1970) è un film insolito tra la parodia del documentario e l’omaggio al circo che amava sin da bambino.

E, poi ancora; Amarcord del 1974. Un’autobiografia lirica, il film più poetico di Fellini, un punto di arrivo difficile da superare, dopo questo film la carriera del registra diventa una parabola discendente. Fellini scrive Amarcord insieme a Tonino Guerra, ripensa alle proprie origini e mette in scena i ricordi della Romagna al tempo del fascismo in una struggente saga da strapaese. Il film miscela amore, odio e nostalgia, rilegge il passato fascista in maniera acuta e interessante, mostra la mediocrità del regime, ma anche del popolo che l’ha accettato. Vediamo i fascisti con l’olio di ricino, ma anche i maschi che insidiano donne, inventano balle e fanno scherzi feroci. Le musiche sono di Nino Rota e contribuiscono a dare valore a una pellicola che guadagna l’Oscar come Miglior film straniero.

Nell’ultimo periodo della carriera di Fellini ricordiamo l’atipico: E la nave va del 1973, che non ha niente di autobiografico ma resta un film prezioso per la cura della confezione scenografica.

Il Casanova di Federico Fellini del 1976 esprime sin dal titolo che non si tratta della solita storia su Casanova, ma una rilettura in chiave onirica e fantastica tipica del regista. Fellini compie un viaggio surreale nei più strani corpi femminili e ironizza su un Casanova che sogna una donna automa e vorrebbe essere ammirato più come poeta che come amante. La storia dell’ascesa e della decadenza di un grande seduttore è scandita dalle poesie di Andrea Zanzotto e di Tonino Guerra.

Prova d’orchestra del 1979 è il ritratto graffiante di un’Italia sospesa tra vecchio e nuovo, punta il dito contro il sindacalismo e la difesa dei particolarismi.

Ginger e Fred del 1983 è un attacco allo strapotere televisivo ma è anche un ricordo del tempo passato e una ricognizione lucida della società contemporanea.
Intervista del 1987 è un lavoro autocelebrativo con Fellini intervistato a Cinecittà.

La voce della luna del 1990 è un film geniale e bizzarro interpretato da Roberto Benigni e Paolo Villaggio, due folli individui che vogliono catturare la luna. La voce della luna è l’ultimo film del regista romagnolo che riporta alle atmosfere oniriche di Amarcord e vuole essere una critica feroce all’Italia berlusconiana.

Federico Fellini è un autore fondamentale e atipico del cinema italiano, sinonimo di regista geniale, simbolo di fantasia, leggerezza, umorismo, sentimentalismo, ironia graffiante e grande originalità.

Federico Fellini è nato il 20 gennaio 1920 a Rimini e ci lascia nella tristezza il 31 ottobre 1993 all’età di 73 anni a Roma.
E’ sepolto nella sua città natale al fianco della donna che ha amato.

Nel 1993 ha ricevuto il premio alla carriera al Premio Oscar. Dal 1954 al 1993 Federico Fellini ha vinto 21 premi: David di Donatello, Festival di Cannes, Festival di Venezia Nastri d’Argento.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Palmas

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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